29/07/2013 09:56 CEST - Personaggi

Cosa resterà di Fernando Gonzalez?

TENNIS - Fernando Gonzalez compie 33 anni. Ripercorriamo i suoi primi anni a Miami, l'incontro con Stefanki,  e gli Australian 2007. Riscopriamo i suoi record olimpici (è l'unico tennista ad aver vinto oro, argento e bronzo a cinque cerchi) grazie agli articoli di Ubitennis.

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Fernando Gonzalez (Ryan Pierse Getty Images)
Fernando Gonzalez (Ryan Pierse Getty Images)

“Ha visto bene suo figlio?” dice un ginecologo a una sua paziente che ha portato con sé il suo bambino di sei anni perché non sapeva a chi lasciarlo. “No, perché? Che ha fatto?” chiede con un po’ di apprensione. “Non ha fatto niente. Ma con la sua struttura ossea sarà una stella dello sport”. Aveva visto lontano, quel medico. La donna, infatti, era Patricia Ciuffardi. E quel bambino di sei anni diventerà “el Bombardero della Reina”, vincerà tre medaglie olimpiche (unico tennista ad aver conquistato oro, argento e bronzo a cinque cerchi) e undici titoli di singolare.

Gli anni di Gonzalez a Miami

Fernando Gonzalez arriva la prima volta a Miami a otto anni, nel dicembre 1988. Due anni prima, Patricia e suo marito, che si chiama Fernando come suo figlio, avevano comprato una nuova casa. Avevano deciso in una settimana: non per lo stile, non per l’arredamento, ma per il campo da tennis sul davanti. Il papà di Fernando si era innamorato del tennis a 20 anni, ma non avrebbe mai sognato per suo figlio una carriera da big mondiale. Ma quando, sempre nel 1986, vede una videocassetta con Agassi a sei anni cambia idea. “Non perché sono suo padre” ha spiegato al quotidiano cileno El Mercurio, “ma Fernando giocava meglio di Andre alla sua stessa età. Chiunque lo guardava in Cile rimaneva incantato”.

A Miami arriva perché suo padre contatta Patricio Apey, coach cileno che ha aperto un’accademia in Florida con 120 ragazzi,un quarto dei quali stranieri. Apey ha già visto il piccolo Fernando, a Vina del Mar qualche mese prima, convinto da suo fratello Jorge che era rimasto impressionato da quel ragazzino con un movimento già rapido per scagliare il dritto. All’Orange Bowl, Fernando presenta il figlio a Stan Smith che gli fa una sola domanda: “Gioca il rovescio a una mano?”. “Sì”, risponde Gonzalez padre che inizia a scambiare con Fernando e in poco tempo si ritrova sotto 0-5. Il giovane Fernando resta lì due mesi, gioca cinque tornei e ne vince quattro.

Torna più volte a Miami tra il 1988 e il 1992. Il tennis è l’unica cosa che conti, per lui. Apey, che all’epoca allena Gabriela Sabatini, riceve la chiamata di Gonzalez padre che gli chiede di diventare il coach del figlio. “Ero felice, mi piaceva molto l’approccio di Fernando e la qualità del suo gioco in rapporto all’età” spiega. Apey compra un appartamento, che ora è di sua proprietà, a 200 metri dalla sua accademia a Key Biscayne. Il mutuo costava 1600 dollari, la famiglia Gonzalez paga solo le spese. Fa firmare a papà Gonzalez un contratto che è una scommessa sul futuro di Fernando. Non chiede soldi subito, ma il 10% dei guadagni sportivi e il 15% degli introiti derivanti da contratti pubblicitari e esibizioni una volta iniziata la carriera professionistica.

L’inizio, però, non sembra certo incoraggiante. I Gonzalez atterrano a Miami nel settembre 1992, una settimana dopo l’uragano Andrew, il secondo più distruttivo nella storia degli Stati Uniti, che provocò 65 morti e danni per oltre 25 miliardi di dollari.

A 13 anni, Apey lo porta per la prima volta in Francia al “Les Petits As”. L’impatto è brusco. Fernando è un po’ in sovrappeso e il coach gli dice che non lo seguirà più se non farà qualcosa per recuperare la forma. Lo conferma anche alla mamma che lo convince a mettersi a dieta. L’anno dopo, nel 1994, tornano a Tarbes. E stavolta Fernando arriva in finale. Perde da Juan Carlos Ferrero ma una parte di lui non si dispiace. La tradizione, infatti, vuole che il vincitore conceda un ballo davanti a tutti con la vincitrice del torneo femminile, che quell’anno è Ana Kournikova. Fernando è talmente timido che sembra quasi contento di aver perso e di non doverlo fare.

Nel 1995 i rapporti tra il papà di Fernando e Apey iniziano a deteriorarsi. Secondo Fernando padre, il coach non ha mai insegnato a suo figlio a prendere decisioni autonome in campo e questo ha avuto un effetto negativo sul suo rendimento. A 16 anni era ormai abbastanza chiaro che Fernando, campione del mondo under 14, sarebbe diventato una stella. Il padre, durante un tour negli Usa, lo porta in un ristorante e gli fa un discorso. Gli dice che quello è il momento delle scelte, perché sarebbero arrivate le distrazioni, le ragazze le feste. Gli dice che tocca a lui decidere se continuare a giocare a tennis oppure no. Ovviamente Fernando dice di sì.

Gonzalez padre chiama Apey e gli annuncia che da quel momento non è più il coach del figlio. Ne nasce anche una controversia legale per mancati pagamenti previsti dalle clausole del contratto che si chiude con un patteggiamento: Apey riceve 65 mila dollari.

Nel 1996, Fernando Gonzalez lascia Miami.

I primi successi

I quattro anni a Miami fanno da preludio a una brillante carriera da junior. Numero 1 under 14 e under 16, vince il Roland Garros in finale su Juan Carlos Ferrero. A 17 anni, nel 1998, debutta in Davis: perde in quattro set dall'argentino Squillari, ultimo mancino capace di sconfiggere Roger Federer prima di Rafa Nadal. La prima svolta arriva a Palermo, nel 2002. La vittoria in semifinale su Bogdan Ulirach gli permette di salire al numero 18 del ranking, detronizzare Marcelo Rios e diventare il nuovo numero 1 di Cile. In finale supera Acasuso, con cui condivide lo stesso coach, Horacio de la Pena. Erano già arrivati gli ottavi agli Australian Open e i quarti a Flushing Meadows. Un mese dopo avrebbe perso da Nalbandian in finale a Basilea.

Cuore cileno: il record alle olimpiadi

“Fernando è stato un grande atleta in campo e uno splendido ambasciatore del Cile" ha detto Francesco Ricci Bitti, presidente ITF.." E’ un peccato che i suoi infortuni lo abbiano portato a ritirarsi prematuramente”. Un ambasciatore, per restare alla definizione di Ricci Bitti, che si esalta quando gioca per rappresentare il suo paese. Una nazione cui regala il primo oro olimpico della sua storia, a Atene 2004. Un'edizione indimenticabile dei Giochi: prima il bronzo in singolare, grazie al 6-4 2-6 16-14 a Taylor Dent. Poi, due ore e mezza dopo, torna sul centrale per la finale di doppio Nicolas Massu, che così ha commentato il ritiro di Gonzalez: “Se ne va il mio migliore amico nell’ambiente, quello con cui ho condiviso tante battaglie. Per me è un duro colpo, sentirò un vuoto profondo quando andrò a un torneo e non lo troverò più. Prima di trovare un tennista e una persona come Fernando Gonzalez, il Cile dovrà aspettare parecchio tempo”

E' un trionfo. Battono i tedeschi Kiefer e Schuttler 6-2 4-6 3-6 7-6 6-4 in 3 ore e 43 minuti, salvano quattro match point nel tiebreak del quarto set, vinto 11-9 e risalgono da sotto 1-3 nel quinto. Giocano l'ultimo punto quando ad Atene sono le 2.39 di mattina. Né Massu né Gonzalez avevano mai vinto un titolo in doppio prima dei Giochi.

Durante la cerimonia di premiazione, continuano a parlarsi, sembra quasi non si rendano conto della situazione. Nemmeno sentono l'annuncio dei loro nomi. E' Ivan Ljubicic, medaglia di bronzo, che si gira e fa segno con la testa che è proprio il loro turno, che devono salire sul gradino più alto del podio per ricevere stretta di mano, bouquet di fiori e soprattutto le medaglie.

Quattro anni dopo, "Nando" e Massu perdono in doppio al primo turno. Ma in singolare, Gonzalez raggiunge la finale. Il match di semifinale contro Blake, che nei quarti aveva eliminato Federer, è combattuto e controverso quanto basta da restare nella memoria. Blake vince il primo 6-4, Gonzalez si aggiudica il secondo 7-5. Nel terzo è battaglia. Mano de Piedra salva tre palle break in avvio, poi annulla tre match point sul 6-5 Blake. Poi succede tutto. Primo punto del 18mo game, Gonzalez serve sotto 8-9. Scende a rete, l'americano "tira alla sagoma", Gonzalez si sposta, la palla finisce lunga. Punto Gonzalez. Ma Blake non ci sta. Sostiene che l'avversario abbia comunque sfiorato la palla con la racchetta. L'arbitro non ha visto, l'Hawk-Eye non può aiutare. "Sei alle Olimpiadi, tutti parlano dello spirito olimpico, del fair play, certe cose devi dirle, devi chiamarle da solo" commenta frustrato Blake. "E' difficile uscire così, quando perdi non solo la partita ma anche un po' di fiducia nel tuo avversario".

Si difende Gonzalez: "Non ero certo di averla sfiorata. Se avessi avuto anche solo il dubbio di averla toccata, l'avrei detto". Nell'ultimo game, Blake salva quattro match point ma alla fine affossa una risposta in rete. Per un game, il match non eguaglia il record di durata ai Giochi (Max Mirnyi contro Jiri Vanek a Sydney 2000, durata 43 game).

In finale non c'è storia. Nadal domina 63 76 63. Gonzalez diventa l'unico tennista ad aver vinto oro, argento e bronzo a cinque cerchi.

L'incontro con Stefanki

Nel 2006 "Mano de Piedra" si rivolge a Larri Stefanki in cerca di qualcuno che possa aiutarlo a migliorare il suo gioco. Stefanki viene subito colpito dalla determinazione del cileno e accetta, così, di sedere al suo angolo. "A 25 o 26 anni Fernando era ancora disposto ad apportare dei cambiamenti al suo gioco." Il frutto del lavoro è evidente sin da subito: Gonzalez diventa di colpo più solido e migliora anche dal lato del rovescio, suo lato debole, affidandosi non più sistematicamente allo slice.

Il dritto di Mano de Piedra

La prima cosa che il coach americano disse, parlando di Gonzo, fu “sarebbe un reato toccare il suo diritto”. E lo sarebbe stato davvero. Il diritto di Fernando era dinamite pura, un perfetto connubio di velocità e rotazione. La posizione aperta delle gambe e la presa semi-western sono l’unica cosa “normale” di questo processo. Ciò che si può facilmente notare è l’ampiezza del movimento: in fase d’apertura la racchetta viene portata molto indietro e in alto rispetto all’asse del corpo. Questo permetteva (ci manchi anche tu, Gonzo) al cileno di generare velocità ed accelerazione insensate. Prima dell’impatto la racchetta viene portata sotto il livello della palla in modo da colpire, in modo corretta, dal basso verso l’alto. La rotazione esplosiva del busto e la velocità di braccio, unite ad un impatto perfettamente proiettato in avanti rendevano possibili queste cose.

Il miglior torneo e la miglior partita

Sul finire di stagione raggiunge una dietro l'altra la finale a Vienna, Madrid e Basilea pur uscendo sempre sconfitto. In Australia nel 2007 ha giocato il suo miglior torneo e la sua miglior partita. Ha demolito Haas in semifinale (45 vincenti e 3 errori il bilancio a fine match), ha trovato un Federer ingiocabile in finale ma è comunque salito in top-5. Nel 2009, al terzo turno, vince una maratona con Gasquet che resta tra i momenti migliori nella storia recente dello Slam down under. Sulla Margaret Court Arena il francese vince i primi due set in 63 minuti, nel terzo rimonta due break ma fallisce il tie, in cui spreca anche un match-point, con tattiche suicide. Gonzalez risale, vince il quarto, annulla una serie di palle break nel quinto. Gasquet salva un match point con un gran dritto incrociato ma alla fine, servendo per l'ottava volta per rimanere nel match, crolla. Finisce 3-6 3-6 7-6 6-2 12-10 in 4 ore e 9 minuti. A separarli nel punteggio solo cinque vincenti (Gonzalez 85, Gasquet 80) e sette errori (58 per il francese, 51 per il cileno).

Un risultato, questo, che gli permette di raggiungere il suo best ranking in quinta posizione. È il quarto giocatore a tagliare un simile traguardo con Stefanki allenatore, dopo Rios, Kafelnikov ed Henman. L'anno prosegue con la finale nel Master Series di Roma, persa con Nadal, e con la vittoria nel torneo di Pechino, battendo Robredo. Agli Australian Open 2008, Gonzalez, non riesce a ripetere l'impresa dell'anno precedente perdendo, così, punti pesanti in classifica, ma fino alle Olimpiadi di Pechino gioca comunque una buona stagione, vincendo i tornei di Vina Del Mar e Monaco di Baviera e conquistando a sorpresa la medaglia d'argento a Beijing (sconfitto da Nadal). L'eliminazione al quarto turno agli Us Open per mano di Andy Roddick rappresenta per Stefanki una sorta di passaggio di consegne.

Con Gonzalez, infatti, Stefanki sente di aver terminato il proprio lavoro, di non avere nient'altro da dare, nient'altro da aggiungere per poter migliorare il gioco del cileno. Ci sta, fa parte del normale ciclo allenatore-giocatore. Così, decide di tentare una nuova sfida.

I due si lasciano senza alcun rimorso, il rapporto d'amicizia che si è instaurato negli anni è solido come non mai, Gonzalez ha solo parole buone per Larry: "Nella mia carriera i miei migliori ricordi sono con Larry. È stato il miglior coach che io abbia mai avuto. Mi ha insegnato tanto sul tennis. Con lui ho imparato a vincere anche quando non giocavo il mio miglior tennis. Larry è un grande allenatore, specialmente quando stai cercando di arrivare al top."

L'ultimo gesto d'amore per il Cile

Prima dell'addio, ha regalato alla sua nazione un ultimo slancio di amore. Ha giocato lo spareggio di Davis di Santiago del Cile contro l'Italia. Del campo, della terra e della maglietta rossa, non era rimasto niente. Delle tensioni sportive e politiche che segnarono la finale del 1976 non c'è traccia. Il Bombardero si concede un ultimo match. Ma quando si accascia contro Fognini, quando il ginocchio cede per un'ultima volta, è il segno della fine.

Addio a Miami

Nel 1996, Fernando Gonzalez ha lasciato Miami. Il legame, però, è rimasto. Ha comprato una casa a Brickell, il distretto finanziario della città. Qui sua sorella Patricia, dopo aver studiato sociologia grazie a una borsa di studio e tentato la strada dello spettacolo, gestisce la sua fondazione. Suo padre è diventato socio di un ristorante giapponese.

Per questo ha scelto Miami come luogo dell'addio. Ha permesso a Mahut di entrare nella (piccola) storia del tennis anche per una vittoria. Adesso è anche l’ultimo ad aver battuto el bombardero de la Reina, e non più solo lo sconfitto nella partita più lunga di sempre.

Mamma Patricia è l’unica che continua a vivere nella vecchia casa di famiglia a La Reina. Quello è il suo posto. Quella è casa sua.

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