18/09/2013 16:33 CEST - L'INTERVISTA

Monaco, nostro prossimo rivale, si allenava con una sola palla!

TENNIS - Il tennista argentino, anche lui di Tandil come Del Potro, giocherà contro l'Italia dal 31 gennaio al 2 febbraio in Coppa Davis. Racconta i sacrifici dei tennisti argentini. E Ubaldo sottolinea certe differenze di mentalità con i nostri giocatori, i nostri coach, i nostri centri di allenamento... Ubaldo Scanagatta

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Juan Monaco
Juan Monaco

LA VITA DURA FORMA LA PERSONALITA' DEL CAMPIONE

Più che il lavoro delle federazioni (tanto più inadeguate quanto migliore è la condizione di vita e i privilegi che i dirigenti riservano a se stessi più che ai ragazzi che dovrebbero tirar su) sono i sacrifici, l’abitudine ad affrontarli, la forza d’animo necessaria a sopravvivere, la personalità, la volontà dei singoli la chiave del successo per affermarsi nel campo del tennis e anche in tutti gli altri campi della vita.

Come non considerare altamente istruttive le tante, tantissime storie vissute da chi nel tennis ha “sfondato” principalmente grazie a se stesso, alla propria forza di volontà.

Alludo - e ne cito solo una piccolissima parte - alle storie di vita vissuta di Ana Ivanovic e Jelena Jankovic, che a Belgrado giocavano nel campo ricavato da una ex piscina, priva di out laterali che le obbligava a giocare sempre dritto per dritto; di Maria Sharapova “sbarcata” in Florida con papà Yuri e un suo gruzzolo di 700 dollari (e 3 anni senza poter vedere la madre); di Marcelo “El Chino” Rios, la cui famiglia non vedeva 100 pesos in una settimana ed era sempre esposto agli sfottò indirizzati agli indios (e lui non lo era, al di là dell’aspetto che poteva farlo sembrar tale); delle due sorelle Williams, miracolosamente sopravvissute alle sparatorie quotidiane del ghetto nero di Compton; di Ivan Ljubicic, scappato in mezzo alle bombe della feroce guerra dei Balcani dalla Bosnia con altri ragazzi per trovar affannato rifugio al circolo delle Pleiadi di Bucciero con il solo tennis che poteva fargli da lasciapassare ad una vita “normale”; di Jelena Dokic, figlia di un imbarazzante padre camionista che sapeva annegare i propri ricordi soltanto nell’alcool e nella violenza; di David Ferrer, che a un certo punto si era ritrovato a fare l’imbianchino e il muratore prima di ributtarsi a corpo morto nel tennis nel quale si era distinto fin da junior; di Jennifer Capriati, figlia di un italiano emigrato negli USA a far la controfigura (stuntman) del cinema; di Michael Chang, Pete Sampras e Andre Agassi, figli di emigrati cinesi, greci e iraniani privi di una qualsiasi educazione “normale”; dei francesi “adottati” dalla colonie, N’Godrella, Noah, Tsonga, Monfils, Ouanna; dei rumeni che non sapevano come sbarcare il lunario come Tiriac, Nastase, Voinea, delle afroamericane cresciute nei campi pubblici Garrison e McNeil; dei giocatori dell’Est il cui primo problema era come sfuggire ai controlli e alle vessazioni dei regimi comunisti, Chesnokov, Zvereva, Navratilova, Kodes, Mandlikova, Lendl; delle spagnole d’estrazione sociale modestissima e poverissime come Conchita Martinez; delle serbe come la Seles; degli svizzeri d’importazione ceco-slovacca con storie familiari pesantissime alle spalle come Hingis, Hlasek, i marocchini Arazi, Alami allenati da Alberto Castellani…ma, a livelli molto meno…eroici eppur significativi per sottolineare la determinazione a voler arrivare in alto, anche di un Andrea Gaudenzi, che lascia gli affetti familiari e i tortellini magistralmente cucinati dalla mamma per andare ad allenarsi come un forsennato nella tristissima Austria con lo stakanovista Muster (straordinario esempio di grinta feroce e abnegazione mostruosa), di una Sara Errani che a 12 anni affronta (come prima Raffaella Reggi) l’esperienza solitaria alla Tennis Academy di Nick Bollettieri a Bradenton per poi stabilirsi per 8 anni a Valencia, di Flavia Pennetta che si trasferisce anche lei in Spagna rinunciando alla vita ben più agiata e piacevole che avrebbero potuto garantirle papà Oronzo e mamma Concita.

Nei giorni scorsi ha compiuto 29 anni Juan “Pico” Monaco, uno dei giocatori più simpatici del circuito, top-ten lo scorso anno, un po’ in crisi quest’anno quando è sceso a n.19 del ranking, ma probabile protagonista del match di quarti di finale al Parque Roca di Buenos Aires contro la Francia di capitan Clement. Nell’Argentina non giocherà Juan Martin Del Potro e quindi, anche se ci sarà David Nalbandian, sarà più dura qualificarsi per la quinta semifinale consecutiva di una manifestazione, la Coppa Davis, che l’Argentina non ha mai vinto pur avendo disputato 4 finali ed avendo avuto a cavallo degli anni ‘70-’80 due top-five come Guillermo Vilas e Josè Luis Clerc (che però si amavano poco e non riuscirono che poche volte a far squadra insieme)..

Ma se vi parlo di Monaco non è tanto per festeggiare il suo compleanno - gli auguri comunque Ubitennis glieli ha già fatti…e con un tweet affettuoso anche Flavia Pennetta - quanto per ricordare a) che oggi ormai si diventa più competitivi se non si è eccezionalmente dotati sui 28-29 anni (“Eh sì. David Ferrer, Mardy Fish, Janko Tipsarevic  hanno fatto grandi progressi a quell’età e mi sono detto: ‘Ma perché non potrebbe succedere anche a me? E così l’anno scorso ho vinto quattro tornei, Vina del Mar a febbraio, Houston ad aprile, Amburgo a luglio e Kuala Lumpur  a settembre”) b) che anche se Juan era entrato tra i top 20 già nel 2007 quando vinse i suoi primi 3 tornei, non bisogna mai smettere di lavorare e di credere in se stessi per “sfondare” c) che aver fatto tanti sacrifici da ragazzino forma la mente, la testa, educa al lavoro e porta prima o poi a raggiungere certi risultati.

L’INTERVISTA A JUAN MONACO

Ho recuperato una intervista realizzata da Anne Champomier alla vigilia di Argentina-Francia. Mi è sembrata interessantissima ed istruttiva.

“Il mio grande amore, come per quasi tutti i giovani argentini, è sempre stato il calcio…e il tennis invece più la mia professione, anche se è una professione che adoro - racconta Juan Monaco - Fino a 14-15 anni facevo tutti e due, poi ho cominciato ad avere buon risultati nel tennis e ho cominciato ad andare all’estero perché i miei maestri dicevano che avevo le qualità per fare una carriera da professionista”.

- Curioso il fatto che tanti tennisti argentini siano venuti fuori da una piccola città come Tandil (360 km da Buenos Aires, in piena regione della Pampa)…e fra questi Juan Martin Del Potro, no?

“Beh sì, ma anche Diego Junqueira, Maximo Gonzalez e prima di noi Mariano Zabaleta, Guillermo Perez Roldan (finalista di un’edizione degli Internazionali d’Italia vinta da Ivan Lendl)…e anche il calciatoro Mauro Camoranesi che ha vinto i mondiali con l’Italia nel 2006 e giocava con la Juventus…e anche tanti altri atleti sono venuti fuori da Tandil…”

IL MIRACOLO DI TANDIL E DEI SUOI CAMPIONI

- Come lo spieghi? Com’è il tennis club di Tandil?

“E’ piccolissimo ed ha pochi mezzi. Ci sono 7 campi in terra battuta, nessuno in duro e nessuno coperto. Mi ricordo che in certi inverni, con zero gradi di temperatura (nella Pampa le condizioni possono essere anche terribili) bisognava allenarsi all’aperto con i campi coperti dalla brina ghiacciata…a volte dovevamo aspettare anche tre ore prima che sgelasse e ci si potesse allenare”

- Vi allenavate con a tandil con Juan Martin, con Maximo Gonzalez e gli altri?

“Sì, avevamo Marcelo Gomez come allenatore, è lui che ci ha fattoo cominciare e insegnato i primi colpi. Ma non si limitava a formarci tennisticamente: ci ha aiutati anche a diventare uomini,a costruirci una personalità. (questa è una di quelle cose che,a giudicare dai comportamenti di diversi dei giocatori usciti - o non usciti…sarebbe più giusto dire - da Tirrenia si ha la sensazione che sia mancata; mentre allenatori tipo Riccardo Piatti e Alberto Castellani si sono distinti proprio per queste identiche caratteristiche…e si sono visti i diversi risultati; nota di UBS). Oggi quando torno in Argentina è la prima persona che vado a trovare. Lo considero come un padre (Ivan Ljubicic dice la stessa cosa di Riccardo Piatti…), lui non sopporta di viaggiare e quindi non lo si vede mai sul circuito, ma è davvero un coach d’oro”.

Ma veniamo, adesso alla parte che ha suggerito tutta la mia lunga premessa in testa a quest’articolo:

- Al di là delle proibitive condizioni atmosferiche e dei pochi campi a disposizione, avevate sufficienti mezzi economici per allenarvi?

SI ALLENAVANO CON UNA SOLA PALLA: GUAI A SBAGLIARLA!

“Macchè! Non avevamo niente, né soldi né mezzi. Mi ricordo alcuni allenamenti con Juan Martin e gli altri in cui non avevamo che una sola palla per giocare. E questa cicostanza ci ha…insegnato a tenere sempre la palla in campo, a non sbagliare, per evitare di dover andare sempre a raccattarla e a interrompere i palleggi, gli scambi. Vi giuro che quando si ha una sola palla, quella non la si sbaglia, si è capaci di palleggiare anche all’infinito se è necessario! La federazione non aveva mezzi per aiutarci (e se li avesse avuti non li avrebbe investiti a milioni in una tv per accontentare i soci; n.di UBS), il Paese vive a una terribile crisi economica, il tennis non rappresentava certo una priorità per gli investimenti. Ci dovevamo arrangiare e dovevamo imparare anche ad aiutarsi vicendevolmente (Altra cosa che da noi in Italia ci si guarda bene dall’insegnare! Mi sono sempre meravigliato quando vedendo i nostri junior impegnati in tornei all’estero, il più delle volte non c’era nessuno che andasse a vedere i match degli altri, per incoraggiarlo, così come per imparare: ne ho visti tanti venire per 10 minuti, per pochi games, per poi sparire a farsi i fatti propri. Questo secondo me non dovrebbe essere tollerabile, nessun coach dovrebbe permetterlo; nota di UBS)”.

I SACRIFICI ALLA BASE DI TUTTO (senza lamentarsi per palle, campi e gettar racchette)

- Un’esperienza che vi ha marcato ed è stata fondamentale per tutta la vostra carriera vero?

“Certo che sì, è per questo che abbiamo tutti in comune una grande voglia di lottare, di battersi, di non arrendersi mai. Il fatto di non avere niente, ci ha alla fine dato qualcosa di speciale. Quando abbiamo giocato i nostri primi tornei all’estero non trovavamo mai nulla da ridire sulle condizioni di gioco (e se sapeste quante volte ho sentito invece i nostri giovani e meno giovani giocatori lamentarsi in continuazione “Campo di m…da!” “Palle che fanno schifo, non ci si può giocare!” “Con questo vento, con questa luce…” e giù racchette rotte, spaccate…; nota di UBS), ritrovarsi con un’intera scatole di palle, e a volte perfino nuove, e addirittuta i raccattapalle, che lusso!)”

- E dopo tanti anni vissuti nel circuito siete ancora spesso insieme, sempre amici, voi di Tandil?

“Certo, tutti ci ricordiamo da dove siamo venuti, cosa abbiamo fatto per arrivare. Siamo rimasti molto amici, molto legati, ci si allena ancora regolarmente insieme. E ci piace andare a cena insieme quando è possibile, fare dei barbecues. E se torniamo a Tandil ritrovarsi ancora.  Si va al nostro vecchio tennis club, si guardano i ragazzini che giocano, ci tiriamo qualche palla”.

L’ISPIRAZIONE DEL FRATELLO MAGGIORE ZABALETA

- Hai ricordato Mariano Zabaleta, che era già professionista quando voi eravate ragazzini, il suo esempio vi è stato d’ìspirazione?

“Quando io avevo 15 anni lui ne aveva 21 ed era classificato intorno al ventesimo posto. Mi dava consigli su tante situazioni e circostanze.Era una motivazione per me il tentare di imitarlo (altra cosa che da noi in Italia succede raramente: sono pochissimi i giocatori italiani che vengono messi a contatto con i nostri giovani, fino a che non si affermano…e allora c’è il capitano di Coppa Davis Barazzutti che non è però un mago di generosità o di comunicazione, e prima di lui Renzo Furlan, di tutti gli altri si è creduto di poter fare a meno; nota di UBS). Considero Mariano come una sorta di fratello maggiore, è sempre stato presente con tutti noi e ci ha molto aiutato. Capitava anche che tornasse dai suoi tornei portandoci le scarpe da tennis che non avevamo, magliette e pantaloncini, le racchette che certamente non potevamo permettersi di rompere, ci chiedeva di fargli da sparring-partner negli allenamenti, ci insegnava tante piccole cose che ci hanno permesso di fare progressi”.

- Siete sempre in contatto con lui?

“Sì, è un amico e uno che ti dà i consigli più giusti. Lavoro dal 2010 con il mio coach Gustavo Marcaccio ma se devo prendere una decisione chiederò semrpe a Mariano un suo parere. Oggi è lui che allena la squadra di Coppa Davis ed è importante per me averlo nella squadra perché mi conosce benissimo”.

LA “FUGA” IN SPAGNA E I PIANTI COME SARA ERRANI

- A 15 anni sei partito per la Spagna, ci racconti?

“E’ stato un periodo bizzarro per la mia vita, eravamo in piena crisi economica in Argentina, 2000-2001. Tutti i tornei professionistici sul circuito principale e secondario erano stati annullati per mancanza di soldi. Così sono andato a Barcellona all’Accademia di Sanchez e Casal. Ci sono rimasto due anni. Per la mia famiglia è stato un sacrificio immenso, ma i miei genitori sapevano che se io fossi rimasto in Argentina non avrei mai potuto continuare ad allenarmi nelle condizion i più giuste. E’ stato un periodo molto triste della mia vitaperchè ero ancora giovanissimo. Piangevo tutte le sera al telefono con la mia famiglia (un po’ come Sara Errani quando era da Bollettieri; nota di UBS) e loro mi dicevano: ‘Lotta per realizzare il tuo sogno!’. Così sono cresciuto più presto di tanti miei coetanei ed oggi so che ne valeva la pena”.

LA VITTORIA DI DEL POTRO ALL’US OPEN 2009 E LE REAZIONI DI TANDIL

- La vittoria di Juan Martin Del Potro all’US open del 2009 a Tandil fu salutata con un entusiasmo enorme, ci sono state delle ricadute positive da quell’episodio?

“Beh sì, all’epoca fu una cosa enorme. E non ha mai smesso di esserlo: la gente parla molto di tennis e tutti sono orgogliosi che i due primi giocatori argentini siano nati e cresciuti a Tandil. I ragazzini vogliono tutti iscriversi al club, è davvero una follia. Ed è incredibile vedere tutti così motivati… (Questo è accaduto anche in Svezia dopo i primi successi di Bjorn Borg, quando le scuole di tennis venivano prese d’assalto fin dalle 5 del mattino, prima che i ragazzi andassero a scuola…e la conseguenza fu l’arrivo dei vari Wilander, Nystrom, Jarryd, Sundstrom, Johansson, e più tardi Bjorkman, Larsson, Kulti, Enqvist; è riaccaduto in Germania con Boris Becker e Steffi Graf …solo in Italia non siamo stati capaci di gestire a livello politico-federale i nostri momenti di gloria legati ai Panatta, Barazzutti, Bertolucci  che con Zugarelli raggiunsero 4 finali di Coppa Davis in 5 anni; nota di UBS)…Anche se non diventeranno tutti n.1 del mondo, o top-ten, ci sarà sicuramente qualche ragazzo che oggi ha 12,13 o 14 anni, che prenderà il bastoncino della staffetta e entrerà tra i top-100. Anch’io, come faceva Zabaleta, adesso quando torno a Tandil, porto vestiario, scarpe, racchette grazie anche all’Adidas, mio sponsor, che mi aiuta dopo che io gli ho fatto presente quest’esigenza (Anche qui: credete che si amai successo una cosa del genere in Italia, che un ex campione abbia regalato racchette e roba da tennis ai ragazzini più appassionati? Che qualcuno abbia fatto capire che, già al momento in cui i nostri top-100 o top 50 firmano dei contratti, potrebbero aiutare tanti ragazzini ad avvicinarsi al tennis, quando magari hanno giocato per 10 anni nel circuito dei grandi? Io vi posso dire che alcuni tennisti italiani erano famosi per non avere mai offerto neppure un caffè a chicchessia, potrei farvi un elenco di nomi di “tirchi” ed “egoisti” lungo come non potete lontanamente immaginare anche fra tennisti e tenniste che hanno guadagnato milioni di euro! Se avessero sofferto loro stessi agli inizi, se avessero avuto dei buoni esempi come Zabaleta per gli argentini, se qualche dirigente o maestro li avesse educati ad essere diversi…probabilmente non sarebbero stati così tanti; nota di UBS).

- Ma anche oggi a Tandil, e in altre città argentine, la situazione è quella dei vostri tempi?

“Beh, ci sono più maestri e più scatole di palle, ma i campi sono sempre gli stessi, campi coperti non ce ne sono, i servizi sono sempre gli stessi”. (Forse alla fine è quasi un bene che siano così, i nostri ragazzi sono troppo più viziati, o hanno i genitori ricchi, o hanno la federtennis che come tiri tre palle di là ti manda a svernare in Argentina…perché nessuno ha capito che i problemi sono altri, sono di mentalità, di educazionem di insegnare la voglia di soffrire, di non rendere le cose troppo facili; Quante volte ho visto i genitori dei nostri ragazzi che portavano le loro sacche dal campo agli spogliatoi e viceversa! Quei figli non sono mai diventati campioni... nota di UBS).

L’AMICIZIA CON RAFA NADAL

- Sei uno degli amici più cari di Rafael Nadal, sei anche andato ad allenarsi a casa sua a Majorca quando lui si stava apprestando a tornare sul circuito…A quando risale la vostra amicizia?

“L’ho incontrato quando sono andato in Spagna. Ci siamo conosciuti molto prima di diventare professionisti. La prima volta che l’ho visto io avevo 15 anni e lui 13. Ci siamo scontrati in un match fra circoli, abbiamo cominciato a parlare e si è instaurato tra noi un buon rapporto. La prima volta l’ho battuto, ma avevo due anni di più, ecco perché. Era ancora un bambino ma io sapevo di già che sarebbe diventato un campione straordinario. Aveva già qualcosa di speciale, nel suo gioco certo, ma anche nel suo viso. Poi abbiamo continuato ad incrociarsi nei tornei Futures e fra i professionisti abbiamo cominciato a giocare nello stesso periodo”.

- Vi sentite ancora spesso, anche quando non siete sullo stesso torneo?

“Ci scambiamo messaggi due tre volte al giorno. E’ uno dei primi ad inviarmene uno dopo un match…e viceversa. Se trascorri del tempo con lui, con Nole o con Roger, impari un sacco di cose, vedi come si allenano, come lavorano. Rafa ha passato uno dei momenti più difficili della sua carriera, lo scorso autunno, sono andato a Majorca e abbiamo vissuto insieme dei bei momenti”.

- Che cosa avete fatto insieme?

“Ah con lui non ti fermi un momento, Ti svegli alle 7 del mattino, si va a pescare e sulla spiaggia, siamo usciti con amici. Dividiamo la grande passione per il calcio, lui per il Real Madrid io per l’Estudiantes de la Plata. Guardiamo i match in tv, ma non siamo ancora riusciti ad andare insieme a vedere il Real. Quando avremo chiuso la nostra carriera di giocatori…avremo il tempo di ritrovarsi e di andare al Santiago Bernabeu insieme”.

Ubaldo Scanagatta

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