19/09/2013 18:33 CEST - Tennis e dollari

Tanti dollari per pochi tennisti ma le donne...

TENNIS - Il quotidiano americano USA Today ha effettuato uno studio scientifico per calcolare la concentrazione della ricchezza negli ATP Tour e WTA Tour. E' il circuito femminile a ricompensare le più forti con una percentuale più alta di guadagni, eppure le proteste più vibranti in favore di una maggiore equità arrivano dagli uomini. I casi di Roger Federer, Samantha Stosur, Katarina Srebotnik  Vanni Gibertini

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Tennis and money
Tennis and money

Gli ultimi diciotto mesi sono stati caratterizzati, soprattutto nel tennis maschile, da una presa di posizione piuttosto netta da parte dei rappresentanti dei giocatori nell’ATP Players Council in relazione all’ammontare premi assegnati a chi viene eliminato nei primi turni dei tornei maggiori (Masters 1000 e Slam). A seguito di una più o meno velata minaccia di sciopero che avrebbe dovuto avere luogo in occasione dell’ultimo Australian Open, i tennisti sono riusciti ad ottenere sostanziosi aumenti di montepremi (nell’ordine del 20-30%), per lo più volti ad arrotondare considerevolmente il prize money destinato agli sconfitti nei turni preliminari, tutto ciò in nome di una più equa redistribuzione della ricchezza prodotta dal “sistema tennis” che consenta anche a chi naviga nelle retrovie della classifica ATP di guadagnare quanto basta per pagarsi le spese ed ottenere un giusto ritorno dalla pratica della professione.
Queste rivendicazioni, come già accennato, sono arrivate quasi esclusivamente dagli esponenti “sindacali” del circuito maschile, a partire dall’ucraino Sergyi Stakhovsky per arrivare fino a Roger Federer, il quale andando forse contro i suoi personali interessi, ha appoggiato con grande vigore la campagna per una più equa distribuzione dei montepremi. Segnali molto più deboli in questo senso sono invece arrivati da parte della WTA, la quale ha ovviamente accettato con grande entusiasmo gli aumenti dei premi in denaro richiesti ed ottenuto dai colleghi maschi, ma le cui giocatrici hanno mostrato una sostanziale indifferenza alla questione.

Per capire se effettivamente la situazione sia significativamente diversa nei due circuiti per quanto concerne la distribuzione della ricchezza, il quotidiano americano USA Today, in collaborazione con un ricercatore della Florida State University, ha realizzato uno studio sulla concentrazione dei montepremi nell’ATP e nella WTA nel periodo 1990-2012. Questo studio ha calcolato l’indice di concentrazione di Gini (un indicatore che offre una misura della concentrazione di variabili quantitative trasferibili) del montepremi distribuito ai primi 100 giocatori ed alle prime 100 giocatrici delle classifiche mondiali in ognuno degli anni presi in esame. Dallo studio si evince come in tutte e 23 le stagioni analizzate la concentrazione del montepremi nel circuito femminile è stata maggiore di quella nel circuito maschile. Il divario tra ATP e WTA è andato diminuendo in maniera pressoché stabile nel corso del periodo in esame: infatti si è passati da un divario di ben 0.18 nel 1990 (0.51 per la WTA contro 0.33 per l’ATP) ad uno di solamente 0.04 nel 2013 (0.48 contro 0.44). L’indice di Gini è una quantità sempre compresa tra 0 ed 1, e risulterebbe pari a 0 nell’eventualità puramente teorica di una perfetta equidistribuzione della ricchezza (ovvero se ognuno dei top 100 avesse guadagnato esattamente la stessa cifra) mentre sarebbe pari ad 1 nel caso (altrettanto teorico) in cui tutta la ricchezza venisse assegnata ad un solo giocatore.
 

 

Secondo Doug Robinson di USA Today le possibili spiegazioni di questo fenomeno sono molteplici. Innanzitutto il livello generale del tennis maschile è più omogeneo: c’è molta più differenza tra le prime della classe e le altre nel circuito femminile di quanto non accada tra gli uomini, di conseguenza sono soltanto poche “regine” a spartirsi la maggior parte dei premi importanti.
Un altro possibile fattore può essere rappresentato dal fatto che nel circuito WTA ci sono più tabelloni con bye al primo turno, facilitando quindi l’accesso delle più forti ai match con premi in denaro più pesanti. Tuttavia è abbastanza probabile che l’effetto globale di questa situazione non sia determinante.

 

Un punto di vista diverso viene fornito da Pam Shriver, ex n.4 del mondo ed oggi commentatrice televisiva per la ESPN: “Il prize money nel circuito femminile è stato uno strumento di marketing molto più importante di quanto non sia accaduto nel tennis maschile”. Seconod la campionessa americana, dunque, i super-premi in denaro corrisposti alle vincitrici dei grandi tornei servivano anche, se non soprattutto, a far conquistare titoli sui giornali per aumentare il profilo e la visibilità del tennis in gonnella e per solidificarne la legittimità nel panorama degli sport professionistici.
Fa parte dell’ordine naturale delle cose - ha confermato Samantha Stosur, vincitrice degli US Open 2011 – bisogna ricompensare chi arriva nei turni importanti dei grandi tornei, ed è logico che queste giocatrici ricevano la fetta più grande dei guadagni. Tuttavia è necessario far in modo che anche chi si affaccia sul circuito possa contare su inroiti che consentano di sopravvivere prima, e di vivere poi , giocando a tennis. All’inizio della carriera è quasi necessario fare affidamento sul prize money vinto in un torneo per arrivare al torneo successivo”.

Interpellata a proposito dei risultati di questo studio, il CEO della WTA Stacey Allaster ha confermato, in piena coerenza con lo stile ‘capitalistico’ della sua organizzazione, sempre pronta ad inseguire nuove opportunità di guadagno (basti vedere l’assegnazione dei WTA Championships a Istanbul e Singapore), che “la cosa più importante è ricompensare adeguatamente le più forti, ma allo stesso tempo dobbiamo fare in modo che la nostra formula permetta al tutte le giocatrici di livello mondiale, come sono tutte quelle incluse nella Top 100, di poter pagare bollette, viaggi e coach”.

I due circuiti ATP e WTA utilizzano formule leggermente differenti per distribuire i premii tra i vari turni, tanto che fino alla stagione 2011, nei tornei combined americani di primavera (Indian Wells e Miami), nonostante un montepremi identico per uomini e donne, le vincitrici dei tabelloni femminili (singolare e doppio) ricevevano premi in denaro superiori ai loro corrispettivi nei tabelloni maschili. Infatti, la vincitrice del BNP Paribas Open 2011 Caroline Wozniacki intascò per quella vittoria ben 700.000 dollari, mentre Novak Djokovic, che aveva dovuto sconfiggere Federer in semifinale e Nadal in finale, venne ricompensato con “solamente” 611.000 dollari.

Questa “anomalia” è stata poi corretta a partire dal 2012, ma rimane comunque il fatto che per i motivi strutturali e filosofici appena descritti, il circuito maschile appare comunque più “comunista” rispetto a quello femminile, e ciononostante le lamentele per una maggiore equità nella distribuzione dei premi arrivano quasi esclusivamente dai ragazzi e non dalle ragazze. E’ vero che sia nel tennis maschile, sia in quello femminile i nomi che fanno cassetta sono sempre quelli, ed il resto serve meramente a fare da contorno allo spettacolo. Ne sono una dimostrazione gli straordinari profitti macinati con regolarità dai grandi tornei che possono contare sulla presenza di tutte le stelle del firmamento tennistico, profitti che fanno da contraltare alle enormi difficolta fronteggiate dagli organizzatori di tornei minori, per i quali è diventato ormai quasi obbligatorio sborsare garanzie a cinque o sei ‘zeri’ al fine di assicurarsi la partecipazione dei giocatori di richiamo. Dal punto di vista economico è molto più lucroso organizzare una mega-esibizione con i vari Federer e Nadal (come è stato fatto lo scorso anno in Sud-America per il campione svizzero, accolto da un mare di folla ad ogni sua apparizione) che non organizzare un torneo ATP 250, per non parlare di Challenger e Future. Ma le esibizioni non sono tennis, ed è necessario riuscire a trovare una formula di “redistribuzione dei profitti” (per quanto alieno il concetto possa sembrare alla realtà delle americane ATP e WTA) per assicurare la sopravvivenza del sottobosco di tornei che costituisce un’insostituibile palestra per i campioni di domani.

A nostro avviso il motivo principale per cui i tennisti sono più attivi delle tenniste nella ricerca di un equilibrio più stabile è da ricercare nella diversa posizione del tennis nel panorama di tutte le discipline professionistiche maschili e femminili. Come già sottolineato in altre occasioni su questo sito, il tennis è di gran lunga lo sport professionistico più remunerativo a livello femminile: nella classifica tra le prime 10 sportive più pagate al mondo, sette sono tenniste; la sportiva più pagata in Slovenia nel 2012 è stata Katarina Srebotnik, che in carriera al massimo è arrivata al n.20 della classifica di singolare e che sicuramente non è una giocatrice che può fare “cassetta” in alcun torneo. A livello maschile, invece, solo Roger Federer è saldamente nella Top10 degli atleti più pagati, mentre tutti gli altri sono in posizioni di rincalzo, inclusi Nadal e Djokovic (rispettivamente 28° e 30° della classifica della rivista Forbes). Un tennista intorno alla 150° posizione nel ranking ATP fa fatica a sbarcare il lunario, mentre un equivalente giocatore nelle leghe professionistiche americane porta a casa in media più di un milione di dollari l’anno, al netto di tutte le spese.

Ragion per cui, anche se il tennis femminile è meno “egalitario” di quello maschile, il “giocattolo” attuale rappresenta comunque un’allettante sbocco professionale per le donzelle con racchetta, perchè le alternative per chi vuole guadagnarsi da vivere facendo sport sono molto meno attraenti, per non dire inesistenti.

Vanni Gibertini

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