18/10/2013 15:27 CEST - Personaggi

Navratilova e il coraggio di essere se stessi

TENNIS - Nel 1981, Martina Navratilova raggiunge per la prima volta la finale agli Us Open. Fa coming out come Billie Jean King. Ottiene la cittadinanza Usa. Inizia a lavorare con Nancy Lieberman e Renée Richards. Perde, ma finalmente sente che il pubblico la ama. E oggi festeggia 57 anni. Alessandro Mastroluca

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Martina Navratilova
Martina Navratilova

“Tornatene in Russia!” grida uno spettatore dalle file più alte del Louis Armstrong Stadium. Ce l'ha con Martina Navratilova, sotto di un break nel terzo set della semifinale degli Us Open 1981 contro la rivale di sempre, Chris Evert. È un'edizione memorabile: il mondo del tennis e la sua vita non saranno più gli stessi.

1975: la defezione di Martina
Sei anni prima, sempre a New York, in un'affollata conferenza stampa a Forest Hills, Martina Navratilova aveva annunciato la sua decisione di prendere la cittadinanza Usa. Ha iniziato a pensarci già nell'autunno del 1974, ma in quel mondo di guerre fredde e cortine di ferro i vertici del tennis cecoslovacco fanno di tutto per ostacolarla. Arrivano anche a minacciarla (“O fai come diciamo noi o ti distruggiamo”) per evitare una terza defezione di spicco dopo l'emigrazione di Drobny e Cernik.

Nel 1975, Navratilova guida la Cecoslovacchia al suo primo titolo in Federation Cup. Sotto la guida di Vera Sukova, Martina e Tomanova giocano tutte le partite: battono Olanda, Germania Ovest e Francia e in finale, contro l'Australia, non lasciano nemmeno un set alle favorite Goolagong e Gourlay. Ottiene il permesso per giocare il Virginia Slims Circuit. Dopo la vittoria a Boston, decide di rimanere negli Usa un'altra settimana per disputare il torneo di Amelia Island, ma non avvisa nessun rappresentante della federazione in patria. Prima della finale, riceve un telegramma dalla federazione che le richiede di tornare immediatamente in Cecoslovacchia. Martina però parte solo dopo la finale, persa contro Chris Evert. A Praga, le ordinano di socializzare solo con colleghe cecoslovacche o comunque di nazioni dell'Est. Solo a queste condizioni, le concedono il permesso al Roland Garros.

Martina gioca il doppio con Chris Evert e, cosa ancora più grave agli occhi dei rappresentanti federali, con lei divide la camera. I problemi continuano, prima e dopo Wimbledon. Solo la mediazione di una leggenda del tennis cecoslovacco, Jan Kodes, che con lei aveva giocato in doppio misto ai Championships, arrivando in finale, le permette di prendere parte agli Us Open. Prima di partire, Martina confessa  a suo padre la sua intenzione di non tornare. Non può realizzare il suo sogno, le sue ambizioni, sotto la sorveglianza delle autorità sportive cecoslovacche, piegate alla dottrina comunista, che più volte hanno minacciato di “tarparle le ali” se non si fosse piegata alla volontà del sistema.  “Qualunque cosa succeda” le risponde papà Mirek, “non tornare a casa. Potrebbero usare noi per supplicarti di tornare, ma non darci ascolti. Non tornare qui!”.

A 18 anni, durante un'affollata quanto caotica conferenza stampa a Forest Hills, Martina Navratilova annuncia: “Ho chiesto asilo politico negli Stati Uniti”. La sua decisione, spiega, non è ideologica né politica. “Mi interessa solo la mia carriera. E se non posso essere libera di giocare i tornei più importanti, non potrò mai provare a diventare la migliore giocatrice al mondo”.

Due settimane dopo, la federazione cecoslovacca annuncia: “Martina Navratilova ha subito una sconfitta agli occhi del proletariato. La Cecoslovacchia le ha offerto tutti i mezzi per il suo sviluppo ma lei ha preferito una carriera da professionista senza certezze e un ricco conto in banca”. Solo tre mesi dopo, nel dicembre 1975, il New York Times sottolinea le prime conseguenze di quel conto in banca: “indossa un cappotto di pelliccia” si legge in un articolo dell'epoca, “una camicetta a fiori di Giorgio's, la boutique di Hollywood. Indossa quattro anelli e altra gioielleria assortita. Ha comprato una Mercedes coupé da 20 mila dollari […], e da indisciplinata buongustaia, è sovrappeso”.

Un anno dopo, quando torna a Forest Hills per gli Us Open 1976, il mondo di Martina è sul punto di esplodere. Ha tagliato ogni legame con la famiglia a Praga, è sola nella Grande Mela: “Era come se tutto il mondo ce l'avesse con me” ha spiegato anni dopo al Washington Post. Troppo, per le spalle ancora strette della 19enne Martina, che perde al secondo turno, in tre set, dalla quasi sconosciuta Janet Newberry. A fine partita scoppia in un pianto che sembrava non dover finire mai. È proprio Janet a passare dall'altra parte del campo per andare ad abbracciarla, a consolarla. “Spero di non dover vedere mai più qualcuno in quelle condizioni” ha detto.

Nei successivi cinque anni Navratilova, un po' come Ivan Lendl, diventa più americana degli americani, anche se deve aspettare sei anni per ottenere la nazionalità Usa. Nel 1978 vince il suo primo slam, a Wimbledon, in finale su Chris Evert. “Allora non ero più una cecoslovacca, ma non ero ancora americana. Non potevo tornare a casa, perché non avevo più una casa, una nazione” ha ricordato al Telegraph. “In quegli anni volevo disperatamente essere amata, volevo sentire il calore del 'pubblico di casa' di cui ora gode Murray a Wimbledon. Ma ero un outsider, e ho impiegato moltissimi anni a conquistare l'affetto dei tifosi”.

Con quella vittoria, Navratilova arriva per la prima volta al numero 1 del mondo. L'anno successivo difende il titolo ma per tutti era ancora lontana dal realizzare il suo potenziale. Notata da Rod Laver quando aveva 16 anni, come McEnroe e Nastase il suo tennis si nutriva di istinto e, la sua tecnica brillava di grazia e fluidità, ma il genio si accompagna spesso alla sensibilità e per anni le emozioni hanno frenato le ambizioni della giovane Martina.

Nel 1981, la carriera di Martina Navratilova tocca forse il punto più basso. A marzo, a Amelia Island, perde 60 60 da Chris Evert. È il momento della svolta. Perché lì incontra Nancy Lieberman, “Lady Magic”, la più grande giocatrice nella storia del basket. Cresciuta al Queens, attraversava New York in metro di sera per sfidare i ragazzi di Harlem. Nel 1976, poco dopo aver compiuto 18 anni, conquista l'argento olimpico a Montreal nella prima edizione dei Giochi in cui compare il basket femminile. È a lei che Martina si affida per dare una svolta alla sua carriera e per conquistare New York dopo tre semifinali perse da Wendy Turnbull, Pam Shriver e Tracy Austin, e l'eliminazione agli ottavi nel 1980 contro Hana Mandlikova.

A Flushing Meadows, nel 1981, c'è una Navratilova diversa in campo, con una sconosciuta passione per la preparazione atletica, per l'allenamento, e un progetto chiaro, aiutato dalle iniezioni di pensiero laterale garantite da Renée Richards, transessuale eliminata al primo turno che scambia con Martina, assiste agli allenamenti e alle partite, e le dà una serie di consigli strategici, stupita dalla poca attenzione che la due volte campionessa di Wimbledon metteva agli aspetti tattici del suo gioco. Il duo Lieberman-Richards diventa subito il Team Navratilova e i primi risultati arrivano proprio nella semifinale degli Us Open 1981 con Martina capace di rimontare da 2-4 nel terzo set e chiudere 6-4 al terzo. È l'inizio di una rivoluzione per Navratilova, che vincerà 442 partite perdendone 32 tra il 1981 e il 1989.

La finale
Quando Martina Navratilova scende in campo per la finale degli Us Open 1981, gli Stati Uniti conoscono da otto mesi la “Reaganomics”, l'energica politica del presidente Reagan ispirata culturalmente dalla lobby cristiano-evangelica Maggioranza Morale, fondata dall'ex predicatore tv Jerry Falwell, che sosteneva valori tradizionali e si opponeva all’aborto, al femminismo, alle rivendicazioni dei diritti degli omosessuali. Intanto, proprio a maggio, Marilyn Barnett, una parrucchiera di Los Angeles, fa causa a Billie Jean King dichiarando di aver intrattenuto con lei una lunga relazione negli anni Settanta. Rapporto che King conferma qualche giorno dopo in una sobria conferenza stampa.

Martina Navratilova non ha mai nascosto la sua sessualità, si è dichiarata “bisessuale” nella domanda per l'acquisizione della cittadinanza Usa, anche se temeva possibili ripercussioni negative per il circuito femminile. Il 20 luglio 1981 Navratilova ottiene la cittadinanza statunitense. Dieci giorni dopo compare sul New York Daily News un articolo a firma di Dan Goldstein, giornalista con cui Martina aveva parlato tempo prima anche della sua relazione con la scrittrice Rita Mae Brown. “Se faccio coming out e inizio a parlare” spiegava Navratilova, “sarà un danno per il tennis femminile. Ho sentito che se un'altra top player facesse coming out, allora Avon non accetterebbe più di sponsorizzare il tour”. Una profezia destinata ad avverarsi nel 1982.

In finale, Navratilova affronta la 18enne Tracy Austin. Bionda, occhi azzurri, la più giovane di otto fratelli, è la classica bambina prodigio: in copertina su World Tennis a 4 anni e su Sports Illustrated a 13, ha debuttato a Forest Hills nel 1977, a 14 anni ricevendo la telefonata di congratulazioni direttamente dal presidente Carter. Al momento di giocarsi il titolo, Austin ha tutti i record di precocità: è la più giovane ad aver vinto un torneo da professionista, ad aver giocato Wimbledon e gli Us Open, ad essere entrata nelle prime 10 del mondo, ad aver guadagnato 1 milione di dollari.

Martina vince il primo set 6-1, ma nel secondo inizia ad essere sempre più infastidita dal vento. Comincia a parlare da sola, a sbagliare smash e facili volée. Si incarta in 13 doppi falli mentre Tracy Austin allunga fino al tiebreak del terzo set, che per la prima volta nella storia decide una finale femminile agli Us Open. Austin, che ha spinto col dritto incrociato dall'inizio della partita, fa la differenza con tre lungolinea vincenti. La storia, che già aveva rimandato l'inevitabile una settimana prima quando Gerulaitis riesce a eliminare Lendl in ottavi, in un ultimo sussulto del passato delle racchette di legno sul futuro dei muscoli e del progresso, deve aspettare ancora. Ma la storia è come la locomotiva di fronte al bufalo, non può scartare di lato, non può cadere, ha la strada segnata. Tracy Austin, condizionata da un infortunio alla schiena, a soli 18 anni ha giocato la sua ultima finale in uno slam.

Il pubblico, però, applaude Martina Navratilova che intanto piange a bordo campo. “Non stavano applaudendo Martina la Lamentosa” scriverà anni dopo, “o Martina la Cecoslovacca, o Martina la Perdente, o Martina la Transfuga Bisessuale. Stavano applaudendo me. Non avevo mai sentito niente del genere in vita mia. Accettazione, rispetto, forse perfino amore”. Per la sua partner di allora, Rita Mae Brown, la sua onestà riguardo la sua identità sessuale in quel periodo l'ha resa definitivamente libera. “La trasformazione di Martina” ha scritto anni dopo, “è iniziata allora perché ha detto una volta per tutte chi era, punto”.

Alessandro Mastroluca

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