29/10/2013 15:28 CEST - ATP

Tursunov denuncia: "Sono n.30, ma a stento copro le spese"

TENNIS - C'è chi lavora con sei zeri, oltre la top-ten secondo il russo - intervistato dalla CNN - c'è una voragine. I viaggi, gli stipendi, gli alberghi: si risparmia molto poco, a volte nulla, anche dall'alto della sua buona classifica. Davide Uccella

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Dmitry Tursunov
Dmitry Tursunov

Il tennis lo sappiamo, si fa storia e leggenda grazie ai campioni: sono loro che con la loro presenza fanno alzare gli incassi, sono loro che entusiasmano con il loro gioco, spesso sono il primo seme che gettato nella nostra testolina di ragazzini, o di ingenui spettatori, ci porta a pensare che quella racchetta possa far parte della nostra vita, da amatori o da professionisti. Ma se è vero come nell'arte che ci sono i Raffaello, i Michelangelo, i Caravaggio o i Tiziano, è anche vero che un mondo artistico come quello dello sport vive anche di tanti piccoli pittori, che credono in ciò che fanno, e che per questo sperano di poter vivere della loro passione, con il giusto impegno.

Spesso però del tennis ci si occupa parlando solo di grandi tornei, Premier e Masters 1000, Slam, parties e incontri ad altissimo livello, ma cosa c'è dietro i grandi palcoscenici? E' tutto rose e fiori? Il grande nasce sempre nel piccolo, si sa, ma se degli eccessi di chi è grande è il piccolo a farne le spese, questo non va. 

Uno di questi piccoli era Josh Goodall: un best ranking da n.184 del mondo, l'ormai ex n.2 britannico annunciava quasi dodici mesi fa che avrebbe smesso. Notizia che non dovrebbe far scattare qualcosina nella coscienza di chi dirige il circuito o rappresenta il movimento giocatori , se non per il fatto che la causa del suo forfait non fosse legata al fisico troppo debole o alla testa che non girava, ma alle tasche fin troppo vuote. Ciononostante il suo ritiro definitivo, dello scorso luglio, è piombato nell'indifferenza generale.

Ma cosa aveva combinato? Giocava poco? Giocava male? No. Goodall come tanti giocava, con la sua continuità, la sua regolarità, fatta di vittorie e di sconfitte: semplicemente arriva la rassegnazione, a un certo punto, con l'amara verità per cui famiglia e responsabilità sulle spalle, non si proprio può vivere di tennis, a meno che non si stia nel gotha o si salga nell'olimpo: solo lì a quanto pare il tennis è anche indipendenza economica, oltre che passione e talento.

Insomma o tutto o niente, questa è la morale del tennis di oggi. Ed è morale proprio perchè al contrario di quanto si dica nelle federazioni (nazionali e non), non è un caso isolato. Infatti ieri Goodall - magari un "signor nessuno" per il grande pubblico - a parlare stavolta è Dimitri Tursunov. 30enne, russo, Tursunov in quelle élite c'è anche stato, con la sua n.20, nel febbraio del 2006, ed è tuttora lì lì, al n.29. Ottavi per due anni di fila a Wimbledon (famosa la storica vittoria su Tim Henman nel 2005, ammutolendo il Centre Court), sette tornei ATP, uno che potrebbe definirsi "sistemato", anche lui non esclude nulla.  

Difficile tirare la carretta, andare avanti, con spese che risucchiano anche buoni montepremi (quest'anno per lui poco o più di 600mila dollari), così anche stavolta di cerca un supporto nei media, perchè si faccia davvero qualcosa, prima di un'umiliante bandiera bianca di fronte a questo problema di "equità".

Sceglie allora la trasmissione "Open Court" della CNN, il n.2 russo, per dire la sua sulla situazione economica del tennis, dal punto di vista dei giocatori. "Sono nei primi trenta del mondo, ma credo di parlare a nome di tanti giocatori, nei primi 100 ma non solo, e la verità è che per restare ai massimi livelli i costi crescono sempre di più, se non riesci ad avere con te un grandissimo sponsor". Parole chiare e dirette, ma anche dettagliate, fin nei minimi particolari: "Oggi spendiamo almeno 100mila dollari per i viaggi, con un aumento del 10% negli ultimi due anni, e si fa tutto in economy, naturalmente, affrontando fusi e notti insonni. Allora possono anche darci un contentino più cospicuo ai primi turni, ma se non si contengono le spese è inutile fare certa propaganda".

Ci sono poi le voci per lo staff, con il coach e fisioterapista, compresi i viaggi e gli stipendi: "Il minimo è 200mila dollari l'anno, queste sono tutte spese a carico nostro: non siamo nel calcio o nel basket, in cui ci pensa la tua squadra, la tua società, e magari capita che tanti miei colleghi più in basso viaggino senza coach. Come si fa ad allenarsi, pensare di poter battere i grandi, creare le condizioni per un ricambio? Si pensa allora a vivere, e a farlo male, quando magari c'è chi come Federer si porta non solo il fisio o il coach, ma l'incordatore e tutto un seguito che ha poco a che fare con lo sport".

Semplice invidia, la frecciatina verso lo svizzero, o un riferimento come un altro per spiegare un panorama fatto di eccessi da un lato, e di ristrettezze dall'altro?

Forbes Business Magazine, nell'ultimo numero di ottobre, ha tracciato delle cifre abbastanza indicative: tra giugno 2012 e giugno 2013 infatti, i 10 tennisti più pagati del globo (tra questi ovviamente i Fab Four, Juan Martin Del Potro, Serena Williams, Maria Sharapova e Vika Azarenka), hanno accumulato un qualcosa come 60 milioni di dollari di montepremi; scendendo invece nello specifico, troviamo le punte proprio di Federer, che dal 2002 ha raccolto 72 milioni di dollari di soli sponsor, o di Masha, che negli ultimi 10 anni ha fatturato 29 milioni di dollari.

Nella selva delle cifre, su cui ognuno può dire di tutto e di più, una sola verità: evitare che un caso Goodall si ripeta ancora.

Davide Uccella

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