30/10/2013 18:41 CEST - ATP World Tour Finals

Storia del Masters:gli anni a New York, l'era tedesca

TENNIS - Prima parte. La prima edizione vinta da Stan Smith nel 1970. L'epoca aurea del Masters, gli anni dal 1977 al 1989 al Madison Square Garden: i trionfi di Connors, McEnroe, Borg, Lendl. Gli anni di Becker, Sampras e Stich tra Francoforte e Hannover. Luca Pasta

| | condividi
Pete Sampras e Boris Becker, protagonisti della finale 1996 del Masters
Pete Sampras e Boris Becker, protagonisti della finale 1996 del Masters
Contenuti correlati

Un torneo che cambia spesso nazione, città, sede, impianto, campo centrale, formula e perfino il nome può avere un’anima, una storia, una tradizione? Può essere percepito come un evento classico? Di solito no. Ma vi è un’eccezione a confermare la regola.

Ormai abbiamo perso il conto, non  ricordiamo più in quante nazioni e città si è giocato, le denominazioni che ha assunto, gli stadi che ha popolato. Ma tutti noi che amiamo il tennis una cosa certamente sappiamo: quando il circuito maschile esala il suo ultimo respiro e il suo ultimo torneo “regolare“ si conclude, al malato di tennis rimane un ultimo (finale di Davis a parte), succulento boccone  da assaporare: quel piccolo grande torneo che per tutti, nome ufficiale di turno a parte, è il Masters.

Torneo con otto giocatori soltanto (raramente saliti a sedici), competizione per anni non foriera di punti validi per la classifica…Solo una settimana di gala quindi, una esibizione di lusso, una passerella? No signori, un fior di torneo che ha visto svolgersi match leggendari ed epiche lotte. Dopo i quattro Slam, si mettano il cuore in pace i signori dei mille, il titolo più prestigioso che si possa ottenere a livello individuale nel tennis maschile.

Tutto cominciò a Tokyo nel 1970, dove vinse Stan Smith, ma non grazie ad una vittoria in finale, bensì, udite, udite, perchè concluse in testa il girone all’italiana, alla pari con Laver, battuto nello scontro diretto. Per il tennis una follia di formula, che sarà ripetuta l’anno dopo per poi essere abbandonata. Dal 1973 ad oggi, tranne che nel 1982 e nel 1985 quando si tentò la soluzione del tabellone normale a sedici giocatori, decisamente troppi per rappresentare la “crema del circuito“, la formula è sempre stata la stessa: due gironi  all’italiana composti da quattro giocatori, semifinali incrociate con protagonisti i primi due classificati di ciascun girone, quindi la finale. Formula contraria allo spirito del tennis? Probabile. Favorisce piccole “pastette“ e rende talvolta inutili alcuni  incontri dell’ultima giornata della fase a gironi, il cosidetto Round Robin? Vero. In questo modo può vincere anche chi ha ceduto un match magari battendo in seguito colui dal quale aveva perso nel girone? Certamente. Rino Tommasi docet. Lui auspicava una formula come quella delle finali Wtc di Dallas, con 8 giocatori e regolare tabellone d eliminazione diretta, con quarti, semifinali e finale, tutti al meglio dei cinque set. Eppure, nessuno può negare che i due gironi, la fase di Round Robin, i conteggi frenetici di games e set persi per capire chi si qualificherà per le semifinali sono diventati un marchio di fabbrica del Masters, lo caratterizzano, ne rafforzano la tradizione, lo rendono unico. Ed alla fine, formula buona o non buona, è il suo albo d’oro a parlare da solo.

Dopo la vittoria iniziale di Stan Smith, dal 1971 al 1975, quell’istrione geniale di Nastase vince quattro edizioni su cinque, in quattro città diverse, Parigi, Barcellona, Boston e Stoccolma, perdendo solo nel 1973 con Vilas nell’unico Masters giocato in Australia sull’erba del glorioso stadio di Kooyong in una notevole finale vinta da Guillermo per 6-4 al quinto. Il Masters per un pò, verrà perfin chiamato da un giornalista Masters-Nastase. Nel 1976 una breve tappa del torneo a Houston, dove Orantes piega Fibak. A Houston, vedremo, si ritornerà, seppur in uno stadio diverso.

Dal 1977 al 1989 il Masters vivrà quella che rimane tuttora l’epoca aurea del torneo, ed il Madison Square Garden di New York ne sarà straordinaria cornice. Davvero con l’ambientazione nella Grande Mela, il torneo acquista quel sapore magico, di regalo, di strenna finale particolarmente elettrizzante. Stelle dalla luce abbagliante lo illumineranno per più di un decennio.

E‘ qui che nel nel gennaio 1978 (dal 1977 al 1985 il Masters venne giocato nel gennaio successivo all’annata di cui era coronamento) Connors si prende una piccola ma grande soddisfazione piegando Borg per 6-4 al terzo (le finali saranno al meglio dei tre set dal 1977 al 1979) , nel bel mezzo di una interminabile serie di bocconi amari che lo svedese gli sta facendo ingurgitare. Ed è sempre qui che nel gennaio 1979 il giovane Mac vince il suo primo titolo di grande prestigio, a precedere il primo Slam, che arriverà nel settembre successivo. In finale ha ragione di Arthur Ashe solo per 7-5 al terzo, in un match che è una delle ultime gemme offerte dal grande afro-americano. Il Masters vede poi due vittorie dell’Orso Borg, che non ha pietà nè del solito Connors nel gennaio del 1980 nè del giovane Lendl un anno dopo. Quello del gennaio 1981è il primo Masters giocato da Lendl, il “chicken“, il pollo che Connors deride, mentre perde più o meno apposta il suo match contro di lui a livello di Roun Robin, allo scopo di evitare Borg in semifinale.

Eppure Lendl diventerà l’imperatore del Masters nel corso di tutti gli anni ottanta. Il ragazzo timido ma arrogante, pauroso e scostante allo stesso tempo, a cui il veterano Jimbo ha fatto e farà sentire ancora a Flushing Meadows in due finali la voce del padrone, darà luogo dal 1981 al 1988 ad una incredibile e tuttora ineguagliata serie di 9 finali consecutive. La prima in particolare, quella del Masters 1981 giocata nel gennaio del 1982, rimarrà una delle più belle finali della storia del torneo. Di fronte a Lendl uno scatenato Vitas Gerulatis, al culmine della sia ispirata irruenza, al quale Lendl annulla anche un matchpoint con uno smash per poi trionfare in cinque set.

Dal Masters 1982 al Masters 1984, sarà sempre e solo Lendl-McEnroe. Nel gennaio del 1983, Lendl domina Mac in tre set, ma nelle due successive finali deve subire il McEnroe perfetto al vertice delle sua arte: due vittorie nette di Mac in tre set. In quella del gennaio 1985 in particolare, mostra un livello nel gioco d‘attacco e di volo che nella intera storia del tennis non si era mai vista nè tantomeno si vedrà in seguito. Purtroppo sono gli ultimi fuochi del Mac divino che tornerà più, se non per qualche fugace serie di games, come a Roland Garros nel 1988.

Dal Masters 1985 al Masters 1987 il torneo è proprietà del Lendl imperiale che catatterizza il  suo triennio da dittatore del tennis mondiale. Il sovrano però non può mai vivere tranquillo. Il vero Mac è andato via? Beh in compenso c’è un ragazzone tedesco dal servizio devastante a contrastarlo, Boris Becker. Nel 1986 i due si contendono ben due finali del Masters, la prima, a gennaio, relativa al 1985, la seconda, a dicembre, relativa al 1986. Il torneo, a partire da questa edizione, trova così la sua più naturale collocazione, cioè alla fine della stagione, ed acquista, giocato ai primi di dicembre, un sapore quasi natalizio. In entrambe le finali del 1986, un Lendl perfetto e spietato non lascia al giovane virgulto teutonico neppure un set. Il campo è diventato blu, e dal dicembre 1986 anche senza i corridoi, sullo sfondo capeggia non più la Volvo, ma la scritta Nabisco Masters; rimangono in questi anni impresse sulla Rai le telecronache di Bisteccone Galeazzi, acerrimo estimatore di Boris, costretto a commentare con voce spenta insieme a Panatta le disfatte del suo nuovo idolo. Nel 1987 Lendl si aggiudica il suo quinto ed ultimo Masters; questa volta Becker è battuto nel Round Robin, mentre in finale il povero Wilander raccoglie sette games in tre set. Il torneo in Italia, passa al gruppo Fininvest, e le indimenticabili voci di Rino Tommasi, Gianni Clerici e Ubaldo Scanagatta lo descrivono ai telespettatori italiani su Rete4, Italia1 e sulla mitica Koper Capodistria.

Proprio quando Lendl appare imbattibile, arriva per lui un 1988 davvero nero, il primo dal 1983 senza titoli di Slam vinti. Quale migliore occasione del Masters per rivalersi? E Lendl infatti giunge puntualmente in finale, la  sua nona consecutiva, dopo essere stato sull’orlo del baratro nel Round Robin, nel quale ha perso con la rivelazione svizzera Hlasek e rischiato grosso contro il giovanissimo e scatenato Agassi, al suo primo Masters. Ma in finale, nel 1988, è tornato anche Becker, che è reduce da una stagione autunnale indoor clamorosa ed è forse al culmine della sua forza. E‘ molto più maturo e completo rispetto al ragazzo potente ma ingenuo di un paio di anni prima. Tiriac è sempre al suo fianco. Ed infatti sarà la più straordinaria finale della storia del torneo, e si concluderà in un modo incredibile: dopo quattro ore e quaranta minuti, i due grandi attori e registi di questo meraviglioso film daranno luogo alla drammatica e sorprendente scena conclusiva: sul 6-5 per Becker nel tiebreak del quinto set, uno scambio furibondo di 37 colpi si concluderà con un rovescio di Bum Bum che dopo aver colpito il nastro precipiterà inerte nella metà campo di Lendl, impotente e beffato. E‘ il primo dei tre trionfi di Becker nel torneo, un numero che lo certifica come uno dei più grandi giocatori da tappeto indoor della storia. L’anno dopo Becker sarà ancora in finale, ma cederà in quattro set ad un eccellente Stefan Edberg, che vince il suo unico Masters. E‘ l’edizione, quella del 1989, che dà l’addio al Madison Square Garden, ed anche a John McEnroe.

I primi anni novanta segnano l’epoca d’oro del tennis tedesco, con Becker, Graf e presto anche Michael Stich sugli scudi. Ed allora anche il Masters (chiamato a seguito della riorganizzazione del circuito ATP Tour World Championship o ATP Finals) emigra dal 1990 in Germania. Per cinque edizioni il palazzetto che accoglie il torneo è la Festhalle di Francoforte, una sorta di teatrino raccolto, con il carpet blu al centro. Nella edizione inaugurale del nuovo corso, Andrè Agassi coglie la sua unica vittoria al Masters. E‘ quello, l’Agassi ancora ritenuto dai più un perdente e comunque inadatto alla superfici molto rapide. Eppure, a rivedere oggi la finale contro Edberg, si colgono i segni premonitori di quello che sarebbe stato, una anno e mezzo più tardi, il suo inaspettato trionfo sull’erba di Wimbledon.  Su una superficie veloce, Agassi comincia a mostrare al mondo non solo un servizio  più pesante di quanto molti credessero, ma soprattutto grandiosi passanti, straordinarie risposte, eccezionali riflessi e sublime capacità di incontrare la palla dell’avversario con movimenti contenuti ed impatti di perfezione stupefacente. 

Storicamente altrettanto importante è l’edizione del 1991, perchè segna l’inizio di un duraturo dominio, quello di Pete Sampras. Pistol Pete è perfetto per giocare sulle rapide superfici indoor: servizio devastante, diritto esplosivo, rapidità ed intuito nel scendere, tocco raffinato nel gioco di volo. In semifinale si trova di fronte Lendl, colui che solo pochi anni prima lo ha ospitato nella sua villa del Connecticut nel ruolo di professore da cui andare umilmente a ripetizione. Ma l'allievo ha imparato presto, se già nei quarti del 1990 agli Us Open ha estromesso in cinque set l'ex-numero 1 del mondo. Adesso il passaggio di consegne è definitivo: un duro 6-2 6-3 per Pietrino che gioca un tennis stellare a velocità supersoniche, troppo per il Lendl quasi trentaduenne. In finale poi l’onorevolissimo “fabbro“ Courier resiste quattro set. E‘ il primo Masters di colui che dominerà il decennio, Pete Sampras appunto. Si apre, in questa fase tedesca, il duopolio tra Pistol Pete a l’eroe della nazione ospitante, Boris Becker. Nel 1992, Un Sampras distratto cede a Courier, che seppur a disagio sui terreni molto rapidi, è nei suoi anni ruggenti e con il diritto mena fendenti  micidiali. In finale però Bum Bum non dà scampo a Big Jim. La Festhalle in quegli anni, è una specie di Maracanà con il Brasile in campo, la simbiosi tra Becker e il pubblico tedesco è totale, l’esaltazione assoluta, la teutonica  presunta freddezza dimenticata. Boris esalta la folla con i suoi servizi spaventosi, i suoi tocchi al volo (la sua mano davvero “poteva esse fero o piuma“), l’irruenza nell’avanzare verso la rete anche sul servizio avverso, a volte con incredibili attacchi di rovescio piatti, con polso fermo e schiaffo alla palla magari direttamente sulla risposta al servizio. L’eccezione al co-dominio Sampras-Becker, che si potrarrà fino al 1997, si limita al solo 1993, quando un ispiratissimo Stich piega l’americano in finale, vincendo entrambi i tiebreak. I tedeschi esultano, certo, ma l‘ “Airone“ non sarà mai in grado di accendere quella passione sanguigna che solo il suo più illustre connazionale sa suscitare. Eppure Stich è uno spettacolo di giocatore, dal rovescio sublime, il servizio letale, il raffinato gioco di volo. Ma non accende gli animi.

Nel 1994 Sampras torna a vincere, inesorabile, e, tra il disappunto del pubblico, Bum Bum è piegato in quattro set. Nel 1995 Becker ottiene il terzo titolo, Michelino Chang gli ha tolto di mezzo un distratto Sampras in semifinale, e Boris lo piega in set con due tiebreak in finale. Troppo il divario tra di loro sul tappeto, nonostante l’eccezionale attitudine mentale di Chang.

Il Masters e Becker salutano la Festhalle e Francoforte, dal 1996 si giocherà sempre in Germania, ma ad Hannover.  E sarà proprio la prima edizione di Hannover ad essere teatro di un’altra straordinaria finale, forse seconda nella storia della competizione soltanto alla finale del 1988. Come allora in campo c’è Boris Becker, e di fronte a lui ovviamente Pete Sampras. E‘ una sorta di ultima canto di Becker, di ultima testimonianza, di ultimo atto d’amore verso il suo pubblico. Sampras è solidamente da anni il numero uno del mondo, ma Boris vuol mostrare a Pietrino ed al mondo che in un pomeriggio ispirato su un tappeto indoor, l’esaltazione lo può condurre  ovunque. E così è: si tratta di un match monumentale, con Sampras che dopo aver perso il primo set si aggiudica i due set successivi al tiebreak. Nel quarto set il momento più drammatico e straordinario: il terzo tiebreak consecutivo del match e due matchpoint per Sampras non bastano a piegare l’orgoglio di Becker: nella bolgia di Hannover, Bum Bum chiude 13-11 al quinto set point. Sarà solo nel set finale che Becker cederà 6-4, dopo altri due match point annullati, mettendo in rete  un rovescio dopo un ultimo scambio stellare. E‘ l’addio per lui, e l’ennesima conferma che Sampras è il giocatore del decennio. Nel 1997 Sampras vince ancora, il povero Kafelnikov raccoglie sette games in finale.

Nel 1998 il Masters vive una strana parentesi, una incredibile finale che parrebbe più adatta a Montecarlo per esempio o ad Amburgo, in definitiva alla terra, che ad un Masters indoor: un match tutto iberico. Alex Corretja (che ha piegato un appannato Sampras in semifinale) doma 7-5 al quinto set Moya e vince, lui, privo di Slam, il titolo più importante della sua carriera. Nel 1999 l’addio ad Hannover è segnato dal quinto ed ultimo titolo di Sampras, che vince netto su Andrè Agassi in finale. Per il Masters si chiude un’era.

Luca Pasta

comments powered by Disqus
QS Sport

Si scaldano le trattative di mercato: Milan e Juventus attivissime, la Roma blinda Florenzi; Thohir dice no all'Atletico Madrid per Icardi e Handanovic. Maxi Lopez è del Chievo, Trezeguet torna al River Plate

Ultimi commenti