21/12/2013 11:08 CEST - Personaggi

Chiedi chi era Chris Evert

TENNIS - Chris Evert compie oggi 59 anni. E' stata una delle più grandi tenniste di tutti i tempi. Ha vinto 154 titoli, è stata numero 1 dal 1974 al 1978 e dal 1980 al 1981. La sua rivalità con Martina Navratilova ha cambiato il tennis per sempre. Alessia Gentile

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braccio di ferro tra Chris Evert e Martina Navratilova
braccio di ferro tra Chris Evert e Martina Navratilova

Una canzone degli Stadio di diversi anni fa s’intitolava “Chiedi chi erano i Beatles” e immaginava un confronto generazionale in cui veniva fatta proprio questa domanda a una ragazzina di 15 anni; la sua risposta era “ma chi erano mai questi Beatles?”. In questa canzone, ovviamente, i Beatles erano usati come metafora per raccontare il passato e per guardare il mondo che cambia. Ecco, proviamo a chiedere a una ragazza di 20 anni o poco più: “conosci Chris Evert?” e possiamo subito immaginare i suoi occhi sgranati e le sue dita che corrono veloci sullo smartphone a cercare su Google chi mai fosse questa Chris Evert, e scopriamo subito che quando Christine Marie Evert giocava non c’erano smartphone, internet, mp3, Skype e neanche i cellulari (a meno che non vogliamo considerare tali quelle specie di valigette con attaccata una cornetta e dal costo esorbitante).

Prendendo in considerazione solo l’aspetto che ci interessa, e lasciando da parte la vita privata e i pettegolezzi vari, possiamo dire che Chris è semplicemente una delle più grandi tenniste di tutti i tempi, e proprio oggi compie 59 anni. La sua carriera ha attraversato un ventennio (è infatti passata professionista nel 1972 e ha disputato la sua ultima stagione nel 1989), e in questo periodo è stata costantemente ai vertici del tennis mondiale, stabilendo numerosi record, alcuni dei quali sono ancora imbattuti. E’ stata anche l’artefice di quello che sarebbe diventato il modo prevalente di giocare a tennis negli anni successivi e fino ai giorni nostri: il suo gioco era caratterizzato da grande regolarità, precisione assoluta nel portare i colpi e, soprattutto, un efficacissimo rovescio a due mani (fino ad allora quasi inesistente ad alti livelli). A questo proposito il papà Jimmy – maestro di tennis e sua prima guida – dichiarò di non averle insegnato il rovescio a due mani, ma che era stata Chris a colpire la palla in quel modo perché troppo piccola e debole per tirarlo a una sola mano. Disse anche di aver sperato che la figlia cambiasse impostazione ma, visti i risultati, di non poter assolutamente lamentarsi di questa scelta.

Subito ai vertici delle graduatorie juniores, si impose all’attenzione del grande pubblico già nel 1970 quando, a soli 15 anni e mezzo, sconfisse nella semifinale del torneo di Charlotte nientemeno che Margaret Court, la campionessa australiana che aveva appena completato il Grande Slam ed era numero 1 del mondo. Da quel momento l’attenzione verso questa ragazza fu in continua ascesa, anche perché all’epoca nel circuito non erano presenti atlete di 15-16 anni; Bud Collins, il grande giornalista sportivo statunitense, disse durante gli US Open del 1971 che gli organizzatori non avrebbero potuto fare a meno di mettere la Evert sul campo centrale, visto l’interesse sempre crescente che suscitava nel pubblico: “a star is born”, sentenziò. E fu così che la piccola ragazzina di Fort Lauderdale in Florida divenne ufficialmente la fidanzata d’America. L’anno successivo fu grande protagonista in semifinale a Wimbledon: contro la campionessa uscente - l’australiana Evonne Goolagong - si trovò avanti per 6-4, 3-0; la Goolagong dovette impegnarsi al limite per riuscire a batterla per 6-4 al terzo set, in quella che fu considerata una delle più belle partite mai giocate.

Due anni dopo stabilì il record di 56 vittorie consecutive e 10 tornei di fila vinti (che diventeranno 16 alla fine della stagione, compresi Roland Garros e Wimbledon), con il 94% incontri che l’hanno vista prevalere. Tutti numeri che, inevitabilmente, la porteranno ad occupare la prima posizione quando venne creata la classifica ufficiale della WTA nel novembre del 1975, anno in cui vinse il suo secondo Roland Garros e gli US Open. Alla fine della sua carriera gli Slam vinti saranno 18, con almeno una prova del Grande Slam vinta per tredici anni consecutivi. Probabilmente il suo palmarès avrebbe potuto essere molto più nutrito, considerato che la Evert non partecipò a diverse prove del Grande Slam: non andava molto volentieri in Australia (troppo a ridosso delle festività natalizie, che Chris preferiva passare in famiglia) e saltò anche 3 edizioni degli Open di Francia, dal 1976 al 1978, proprio nel periodo in cui era al vertice della classifica mondiale e praticamente imbattibile sulla terra.

Papà Jimmy ebbe un ruolo fondamentale nella carriera di Chris non solo dal punto di vista tecnico ma anche (o forse, soprattutto), nell’insegnarle ad affrontare e dominare le situazioni difficili in campo. Fin da quando era bambina aveva cercato di farle capire quanto fosse importante l’aspetto mentale del gioco, dicendole di non far mai trasparire le proprie emozioni, perché questo si sarebbe inevitabilmente tradotto in un vantaggio per la sua avversaria. Fondamentale era dare l’impressione di avere sempre tutto sotto controllo… ed ecco che alla fidanzata d’America si affiancò la fanciulla di ghiaccio, con un gioco fatto di pochi, fondamentali elementi: concentrazione, intelligenza tattica, profondità di palla; un insieme di solidità e geometrie che sembrava non contemplare l’errore. Forse ciò che spiega meglio il tipo di gioco di Chris Evert e la sua visione del match è una definizione di Billie Jean King, che di lei ha detto: “Quello che fa di Chris Evert una così grande campionessa è la sua capacità di giocare non i game o i match, ma i singoli punti” (l’ormai famoso “giocare punto dopo punto” non è certo stato inventato negli ultimi 10 anni…).

E’ proprio questa capacità ad isolare ogni singolo punto che permette a Chris di sviluppare quella sorta di “killer instinct”, che lei stessa definirà come “la sensazione che, in un dato momento, non c’è niente di più importante che vincere il prossimo punto”. E così, un 15 dopo l’altro, Chris mette in fila ben 5 stagioni consecutive in cui non ha praticamente avversarie, con percentuali impressionanti di vittorie, tra il 94 e il 96%.

Già da qualche tempo, però, aveva cominciato ad affacciarsi nel circuito una giocatrice cecoslovacca, tanto dotata per il serve and volley quanto Chris aveva talento per il gioco di difesa a fondocampo: questa ragazza si chiamava Martina Navratilova, e insieme daranno vita a quella che probabilmente è la rivalità per antonomasia. Le grandi rivalità sono caratterizzate, appunto, da forti contrasti e loro apparentemente erano all’opposto su tutto. Martina, fuggita dalla nativa Cecoslovacchia per rifugiarsi negli Stati Uniti, con un gioco che la portava continuamente a cercare la rete, con una grande preparazione fisica, con delle fragilità caratteriali che a volte non riusciva a nascondere neanche in campo; Chris, l’abbiamo visto, esattamente all’opposto. E’ anche inutile parlare di tutte le volte che queste due campionesse si sono incontrate (alla fine saranno 80, con un bilancio di 43 a 37 in favore di Martina); ciò che rendeva indimenticabili queste partite (anche agli occhi di una bambina di 10 anni o poco più che le vedeva giocare) è che il livello tecnico era altissimo e,  se entrambe erano in forma e determinate a vincere, si poteva vedere l’intera gamma dei colpi riportati sui manuali del tennis. Il pregio delle grandi rivalità è quello di portare ogni giocatore a superare i propri limiti, ed è quello che è successo anche a loro; parlando dei loro risultati e delle loro innumerevoli sfide, tempo fa Chris ha detto che “con Martina ci siamo spinte a vicenda a dare sempre il massimo di noi stesse, e alla fine credo che la nostra rivalità ci abbia portato a raggiungere più vittorie di quante ne avremmo potute ottenere se ognuna di noi avesse giocato in epoche diverse”.

Ha anche contribuito ad allungare la carriera di Chris Evert; recentemente ha dichiarato che, se non ci fosse stata la rivalità con Martina, probabilmente avrebbe chiuso prima la sua carriera. Invece, a 31 anni, seppe reagire ancora. Ad un’età in cui la maggior parte delle sue colleghe avrebbe cominciato a pensare seriamente al ritiro, ecco riaffiorare quella grandissima testardaggine e forza di volontà che ha caratterizzato tutta la sua carriera. Nel 1985, dopo una serie di 13 sconfitte consecutive contro Martina, decide che è il momento di cambiare: torna in palestra e comincia a collaborare con Dennis Ralston, che le impone ritmi di allenamento durissimi, convinto com’è che “se a 20 anni possono bastare cinque ore di allenamento, a 30 ne occorrono sette”, il tutto finalizzato a tenere Martina il più lontano possibile dalla rete. La finale del Roland Garros del 1985 è la perfetta realizzazione di questi schemi di gioco. Di fronte alla Martina straripante di quegli anni, Chris riesce non solo a rintuzzare gli attacchi della rivale ma addirittura a proporsi in attacco. Il risultato sarà 6-3, 6-7, 7-5 ma, soprattutto, sancirà quello che fu definito “il ritorno della Regina sul trono”; grazie a quella vittoria, infatti, Chris tornò ai vertici delle classifiche mondiali.

Inevitabile che tra le due s’instaurasse un rapporto che negli anni è diventato di profonda amicizia e che dura nel tempo. In un bellissimo film-documentario trasmesso qualche anno fa su ESPN Classic, Evert e Navratilova hanno ripercorso la loro storia personale e professionale, sottolineando proprio quanto la loro rivalità sul campo si sia trasformata in un rapporto autentico, certe di poter contare in qualunque momento l’una sull’altra.

Nel 1986 vinse la sua ultima prova del Grande Slam, ancora il Roland Garros (alla fine saranno 7), ancora contro Martina Navratilova; ma fu forse in quel momento che nella testa di Chris cominciò a farsi strada l’idea del ritiro, quasi come se al termine di quel Roland Garros si fosse chiuso un ciclo, cominciato proprio su quei campi. Anche in questo frangente fu molto lucida nel rendersi conto che le ragazzine che si trovava ad affrontare avevano quella fame di vincere e lottare su ogni punto che lei non aveva più (e, tanto per fare qualche esempio, le ragazzine avevano nomi come Steffi Graf, Gabriela Sabatini, Arantxa Sanchez, Monica Seles, Conchita Martinez). Il quarto di finale agli US Open del 1989 contro la connazionale Zina Garrison sarà l’ultimo match della carriera di questa grande giocatrice, che entrerà nella Hall of Fame nel 1995.

Attualmente si divide tra la sua attività di commentatrice sportiva, varie iniziative benefiche e la gestione della Evert tennis Academy, fondata nel 1996 insieme al padre e a suo fratello John. In fondo, niente male per la bambina della Florida cui il papà raccomandava semplicemente: “porta la racchetta indietro, girati lateralmente, entra in campo quando colpisci”.


I suoi risultati:
n. 1 delle classifiche mondiali dal 1974 al 1978 e nel biennio 1980-1981;
154 titoli vinti;
18 vittorie nei tornei del Grande Slam (2 Australian Open, 7 Roland Garros, 3 Wimbledon, 6 US Open);
125 vittorie consecutive sulla terra battuta;
90% di incontri vinti su quelli giocati;
almeno una prova del Grande Slam vinta per 13 anni consecutivi.

Dall'archivio di Ubitennis:
Un sabato sera con Chris e Martina
I 55 anni della Evert (profilo tratto da “The Bud Collins history of tennis”, Roberto Paterlini)

Alessia Gentile

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