05/03/2014 12:42 CEST - approfondimenti

Björn Borg, made in Sweden

TENNIS – Quarant'anni fa, nel 1974, Björn Borg vinceva il suo primo torneo. Ma il 1974 non è stato un anno decisivo solo per Borg, è stato anche l'inizio dell'affermazione di altri fenomeni svedesi irripetibili. E così una nazione di pochi milioni di abitanti conquistava la ribalta del mondo.  AGF

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Bjorn Borg alza il trofeo di Wimbledon
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Un primo avvertimento.
Se di Borg vi interessano solo gli aspetti tecnici, le questioni tattiche, o le analisi del suo palmarès, questo articolo non fa per voi. Non leggete oltre perché troverete pochissimo tennis giocato.
Oggi infatti racconterò qualcosa di diverso, di più generale; racconterò uno strano fenomeno accaduto a metà degli anni '70: l'irruzione della Svezia nelle vite degli italiani (e non solo degli italiani).

E qui devo fare un secondo avvertimento: non sono un sociologo, non possiedo la preparazione accademica né la disponibilità di dati e notizie per costruire sull'argomento ragionamenti scientifici.
Mi baserò in gran parte su ricordi personali, e se il tutto vi sembrerà un discorso a livello di scompartimento di treno, beh, se non altro posso dire di avervi avvisato.

Detto questo, cominciamo con la Svezia.

In quegli anni frequentavo le scuole dell'obbligo e direi che le mie conoscenze potevano essere simili a quelle di un Italiano medio.
Allora l'Ikea doveva ancora arrivare, e prima che Borg cominciasse a vincere, per l'Italiano medio la Svezia a lui contemporanea significava soprattutto due cose: le svedesi e i suicidi.
Le donne svedesi erano le mitiche impersonificazioni del sesso libero: la Svezia era terra di emancipazione sessuale. E però la percentuale di suicidi della popolazione era la più alta del mondo.

Che tutto questo fosse sicuramente vero, non importa: era quello che si diceva in Italia.
Per qualche inspiegabile ragione, quelli erano i due temi che avevano fatto presa nella mente dell'Italiano medio.
E qualcuno provava anche a collegare i due argomenti, con un ardito ragionamento di questo tipo: in Svezia c'è maggior libertà sessuale, ma questo non è detto che sia meglio, anzi, la promiscuità genera più infelicità (e suicidi).
Poi magari al referendum sul divorzio (1974) quel qualcuno suggeriva anche di votare contro, e così capivi che forse cercare di mettere insieme le due cose non era un ragionamento del tutto disinteressato.

Per la verità, prima del 1974 c'erano altri due argomenti associati al “made in Sweden”. Ma erano appannaggio di meno persone, quelle più acculturate: i film di Ingmar Bergman e la Socialdemocrazia.
Se eri un Italiano un po' più istruito non potevi non conoscere Bibi Andersson, Liv Ullmann, Max Von Sydow, Erland Josephson; gli attori protagonisti dei film di Bergman.
Bergman era considerato un padre nobile della cinematografia mondiale e faceva più o meno un film all'anno, che veniva seguito e discusso nei cineforum.

Per quanto riguarda la Socialdemocrazia svedese, invece, dovevi ricordare la famosa frase di Olof Palme (il primo ministro poi misteriosamente assassinato) che diceva così: “il capitalismo è un agnello che non va ucciso, va tosato”. Non era necessario sapere molto altro: con quella frase potevi dimostrare di conoscere la cosiddetta “terza via” svedese tra Capitalismo (americano) e Comunismo (sovietico). Eh sì, perché era ancora epoca di guerra fredda, c'erano la Nato e il Patto di Varsavia, che in Europa significavano Muro di Berlino e Cortina di Ferro.

Questa era all'incirca la situazione quando, a metà anni settanta, la Svezia sorprende il mondo. Senza preavviso, il piccolo spazio che fino ad allora occupava nei pensieri dell'Italiano medio diventa grande. Tutto comincia nello stesso anno, esattamente quarant'anni fa.

Nel 1974 la Volvo lancia un'automobile destinata al successo, la 240; nel panorama italiano popolato da piccole quattroruote inizia a circolare qualcosa che supera in lunghezza le Citroën DS. Quella Volvo era un macchinone che in versione “giardinetta” (così si chiamavano le station wagon) ricordava per proporzioni i carri da morto: pareva infinito.
Le Volvo non sono pubblicizzate come le più veloci o le più economiche; no, per la prima volta si vende un'automobile puntando sulla sua sicurezza.
 

Ma non sono le automobili a diventare il prodotto svedese di maggior successo; sono invece tre protagonisti della società dello spettacolo.
In mezzo alle canzoni di Celentano, Baglioni, Mina, si fanno largo quelle degli Abba.
Ora che gli svedesi facessero film lo si sapeva, ma che potessero anche fare musica pop e sfondare nella hit parade, quella era davvero una sorpresa.
Non era necessario volerli ascoltare, che ti piacessero o meno era irrilevante, perché la musica degli Abba era diventata parte importante della tappezzeria sonora delle giornate estive: radio, discoteche, juke box.
 

Gli altri due svedesi, campioni della società dello spettacolo erano due sportivi. La novità scandinava avrebbe colpito nelle due discipline che stavano esplodendo in Italia facendo concorrenza al calcio: sci e tennis.
Erano gli anni della “valanga azzurra” e di Panatta, e le loro imprese incollavano gli Italiani alle tv (in bianco e nero e con soli due canali: Rai1 e Rai2).

In quel momento sono arrivati Ingemar Stenmark e Björn Borg. Nati nel 1956 a tre mesi di distanza l'uno dall'altro, in una nazione di soli 7 milioni di abitanti.

Come dicevo, tutto comincia esattamente quarant'anni fa, nel 1974. Tre sono le date simbolo dell'inizio di quella stagione svedese.
Il 24 febbraio Borg conquista il primo torneo da professionista (Rothmans International, a Londra). In giugno vince gli Internazionali di Italia e il primo di sei Roland Garros.
Il 6 aprile gli Abba vincono l'Eurofestival, manifestazione trasmessa da tutte le televisioni europee, tenutasi in quell'occasione a Brighton. Da sconosciuto gruppo arrivano a vendere oltre sei milioni di 45 giri, anche in nord America.
Il 17 dicembre Ingemar Stenmark vince la sua prima gara di coppa del mondo (slalom speciale di Madonna di Campiglio).
 

Bastano un paio d'anni perché diventino dei numeri uno mondiali.
Nel 1976 gli Abba erano già un gruppo pop di enorme successo, a tal punto da diventare  poi il complesso capace di vendere più dischi nella storia dopo i Beatles: oltre 300 milioni di copie.
E sempre nel 1976 Stenmark vinceva la Coppa del Mondo e Borg il suo primo Wimbledon.

Fin qui ho raccontato il caso italiano, ma evidentemente i nomi che ho fatto erano diventati fenomeni mondiali.
Stenmark e Borg avevano alcuni tratti simili: estremamente taciturni, agli occhi del pubblico mantenevano un'aura enigmatica, e sembravano diventare ogni anno sempre più forti, quasi imbattibili.
Ecco, se volete capire cosa voleva dire Svezia in quel periodo, fate partire questa canzone come sottofondo e guardate Stenmark sciare. Non vi dico di guardare Borg, perché suppongo che chi legge Ubitennis lo conosca già.
 

Stenmark, Abba e Borg avevano in comune un aspetto fondamentale: tutti e tre provenivano da una nazione che nel loro campo non aveva praticamente precedenti; erano come degli alieni rispetto all'ambiente in cui erano entrati e in cui primeggiavano. Stenmark toglieva la leadership ai campioni delle Alpi (Austriaci, Svizzeri, Italiani, Francesi), addirittura utilizzando sci di fabbricazione jugoslava (Elan). Gli Abba scalzavano dal primo posto delle classifiche i prodotti di Inghilterra e Stati Uniti; Borg si imponeva dopo decenni di predominio americano e australiano (e nel '75 guidava la Svezia anche alla vittoria in Coppa Davis).

Erano una specie di forza d'urto che si spalleggiava reciprocamente. Non credo che  nell'immaginario della gente questa triplice forza sia mai stata del tutto razionalizzata, e non è che si parlasse di loro contemporaneamente; ma sta di fatto che la sigla SWE all'improvviso era diventata sinonimo di successo e di alternativa all'establishment consolidato.

Di questa triade, Borg spiccava più di tutti, perché univa le due cose: era bravo come Stenmark e popolare come gli Abba. Anzi, più popolare ancora, dato che era conosciuto anche da chi il tennis non lo seguiva.
Sono stato in Inghilterra nelle estati tra il 1977 e i primi anni '80: Borg era così famoso che le cartolerie mettevano in vendita libri su di lui accanto a quaderni e penne.
C'erano suoi poster in vendita nei negozi di souvenir, quelli che offrivano tazze e piatti con l'emblema della Regina e poi dei fidanzati Carlo e Diana.
Borg era diventato una specie di membro aggiunto della famiglia reale, trovavi sue tracce anche nei negozi dei villaggi di campagna, i paesini dove adesso girano gli episodi dell'Ispettore Barnaby.

Negli anni '70 le fonti di informazione erano più limitate rispetto ad oggi: non esisteva Internet, ovviamente, c'erano meno radio, pochi canali TV. Erano meno anche le discipline sportive seguite, e Borg era fondamentale per la crescita del tennis, che stava facendo diventare per la prima volta uno sport autenticamente popolare.
I tennisti cominciavano a trovare spazio in quello che si chiamava il jet-set: al pari di attori e cantanti, erano VIP spiati dai giornali di gossip, che raccontavano le notti di Gerulaitis allo Studio 54 o le vicende sentimentali tra Connors ed Evert, come oggi fanno con quelle di Paris Hilton o di Al Bano e Lecciso.

Borg era argomento di conversazione dal parrucchiere da parte delle casalinghe, che pure non seguivano direttamente il tennis (lo sport era soprattutto cosa maschile).
Perfino mia nonna lo conosceva (e non lo dico per dire) perché era diventato un fenomeno intergenerazionale.
Non si era mai visto un tennista con i capelli lunghi e biondi, il look da rock star che faceva impazzire le ragazze. Lo inseguivano fuori dagli stadi, lanciavano i reggiseni dagli spalti, come facevano le groupie dei cantanti rock.
 

L'imbattibilità a Wimbledon, confermata anno dopo anno, era qualcosa senza eguali in epoca moderna e forse colpiva ancora di più i profani che i tecnici del tennis.
I giornalisti specializzati, infatti, lo seguivano in tutti i tornei e lo vedevano anche perdere. Ma per il grande pubblico le cose erano più sbrigative; gli appuntamenti erano pochi e selezionati: ad esempio in Italia erano coperti televisivamente soprattutto Roma, Roland Garros e Wimbledon. E nei due Slam europei Borg non perdeva più.

Era un tennista unico nei comportamenti: una sfinge impenetrabile, senza reazioni; il suo body language non cambiava mai, né dopo un punto vinto né dopo uno perso. E fisicamente superiore: velocissimo, non sembrava mai stanco, poteva giocare match di qualsiasi durata senza che trasparisse la minima defaillance.

La quinta vittoria consecutiva a Wimbledon, con il tiebreak di 34 punti contro McEnroe, aggiunse poi una specie di alone mitologico alle sue imprese, trasportandolo in una dimensione superiore.
Nell'estate 1980 ero a Londra, ho visto la finale in un bar che raccoglieva inglesi e turisti stranieri: decine di persone ferme per ore a seguire il match, ipnotizzate da un evento che fino a qualche anno prima sarebbe stato appannaggio di pochi e selezionati conoscitori.
 

Tra il 1976 e il 1980, Stenmark, gli Abba e Borg dominavano i loro settori.
Ad esempio nel '78 Stenmark vinceva la coppa del mondo, più i Mondiali in Slalom e Gigante; Borg faceva l'accoppiata Wimbledon/Roland Garros e gli Abba lanciavano canzoni sempre più orecchiabili, così diffuse e popolari che non provavi nemmeno più a fare lo sforzo di evitare quelle brutte. Le dovevi sentire per forza.

I grandi successi significavano grandi guadagni. E tentativi di fuga dalle tasse (la Svezia aveva le aliquote più alte del mondo): gli sportivi attraverso il trasferimento a Montecarlo; gli Abba con escamotage vari, interrotti però da una condanna per evasione fiscale.

Ma con l'inizio del nuovo decennio, quasi contemporaneamente, così come avevano conquistato il mondo, cominciò il declino.
A Stenmark per la verità la fecero sporca; di gran lunga più longevo dei tre, avrebbe vinto ancora per molti anni gare singole, ma non più la Coppa del Mondo generale e le Olimpiadi.
Italiani e Austriaci avevano promosso il cambio di calcolo del punteggio per fare in modo che chi stravinceva in due sole discipline venisse penalizzato. E si trovò anche il modo di non farlo ammettere alle Olimpiadi del 1984.
E così nell'albo d'oro, invece che una serie infinita di Stenmark, si leggono nomi come Luescher, Wenzel, Mahre. Per carità, fior di sciatori, ma niente a che vedere con Ingemar.
Per una sorta di legge del contrappasso, con il nuovo regolamento da loro voluto né Austriaci né Italiani riuscirono a vincere la Coppa assoluta in quel periodo.

Gli Abba finirono la loro storia tra l'80 e l'82: le due coppie che componevano il quartetto (e che nella vita erano marito e moglie) divorziarono; Agnetha Fältskog, la vera “front woman” del gruppo, non ne voleva più sapere della vita da cantante, desiderava solo fare la mamma ai figli piccoli.
Il gruppo che aveva fatto delle canzoni leggere e spensierate un marchio di fabbrica, produsse nel 1980 la sua ultima grande hit, questa volta amara e riflessiva.
https://www.youtube.com/watch?v=92cwKCU8Z5c
Gli Abba aprirono la strada ad altri gruppi svedesi, ma nessuno sarebbe stato in grado di ripetere lo stesso successo. Gli Europe? I Roxette, i Cardigans? Niente di paragonabile.

Dopo Stenmark arrivarono Strand, Nyberg, Fogdoe; nemmeno vicini al livello di Ingo. Sarebbero occorsi alcuni anni per vedere affermarsi soprattutto tra le ragazze Wiberg e Paerson.

E Borg? Di Björn sappiamo tutti che si ritirò nello stesso periodo degli Abba: a 26 anni, stanco di giocare, in lotta con i vertici del tennis che volevano partecipasse ad un numero minimo di tornei (o che altrimenti partisse dalle qualificazioni) e con McEnroe pericolosamente in crescita.

Probabilmente Borg era stato il fenomeno più importante di tutti, tanto è vero che in Svezia si moltiplicarono i tennisti, e così ci fu continuità ai vertici mondiali grazie a Wilander ed Edberg, senza citare tutta una serie di altri ottimi giocatori. Borg vinse il suo ultimo Roland Garros nel 1981; nel 1982 ad aggiudicarselo fu Wilander.

Borg, Wilander, Edberg: tre autentici numeri uno, prodotti nel giro di dieci anni da una  nazione di pochi milioni di abitanti e senza grandi tradizioni nella disciplina. Una nazione che oggi, nel tennis, non esiste più.

AGF

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