15/03/2014 09:54 CEST - Rassegna Nazionale

Pennetta, la bellezza di crescere a 32 anni (Martucci, Zanni, Valesio); Federer, il campione che non ama il time out (Martucci, Mancuso); «Davis, affare da 4 milioni di euro» (Agata); Yannick Noah - Il mio canto libero (Crivelli)

15-03-2014

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A cura di Davide Uccella

La Pennetta doma vento e Stephens Rivincita-Li (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 15-03-2014)

«Have fun». «Divertiti». Macché, Flavia Pennetta accartoccia lo slogan di coach Paul Annacone a Sloane Stephens, «la nuova Williams». «Divertente? Non ci siamo divertite molto». Sommando anni, delusioni e infortuni, dalle semifinali degli Us Open dell'estate, la bella moretta di Brindisi s'è ritrovata donna con gli artigli. E straccia, addenta, mastica quasi quel motto, fino a ingoiarlo insieme ai quarti di finale di Indian Wells: un match praticamente vinto (quand'ha servito sul 6-4 5-4), quindi praticamente perso (sul 6-4 5-7 0-3) e poi ripreso al volo, ma proprio al volo, dalle mani del vento impossibile. Con la rabbia di chi, a 32 anni, deve sfruttare l'oggi, perché non ha un domani così promettente come la 20enne, numero 18 del mondo, che ha di fronte. E guadagnarsi la rivincita del 6-2 6-2 che le ha rifilato Li Na nei quarti degli Australian open di gennaio. Per migliorare le già ottime semifinali nel mega torneo nel deserto della California, e la già certa promozione al numero 15 del mondo (oggi 21), dall'addirittura 166 del 24 giugno dell'anno scorso, col morale all'inferno, dopo la seconda operazione al polso.

Sogno Per risultati e condizione psico-fisica, Flavia non è solo la migliore azzurra del 2014 e la primadonna ideale dei quarti di Fed Cup del 19-20 aprile a Ostrava contro le ceche (con Camila Giorgi seconda singolarista?), ma può serenamente puntare alle «top ten». Come nell'agosto 2009 — prima italiana di sempre — quando esplose sul cemento Usa, a Los Angeles e Cincinnati prima e fino ai quarti a New York poi. Quella Flavia è tornata. «Ne parlavo con Tommy (Robredo): "Pensare che proprio qui, un anno fa, era un disastro per tutt'e due, e io volevo di smettere"». Ora, invece, con l'allenatore in comune, Salvador «Salva» Navarro, tutto è diverso: «E' simile a Gaby, Urpi, ma è più energico e deciso nel chiedermi di essere aggressiva, offensiva». Con una guida più giovane e spregiudicata, Flavia ha imparato a sporcare quel suo gioco piatto che faceva felici le avversarie. E, ora, nel momento difficile, si dà, lotta, completamente. «Non credo si sia visto un gran tennis. Secondo e terzo set sono stati un disastro. Avevo vinto e all'improvviso mi sono ritrovata 1-3, ho recuperato 3-3, ho servito per il match sul 5-4, ho sbagliato tre dritti, e mi sono ritrovata un set pari e 0-3 al terzo, due palle del 4-0 per l'avversaria. Là fuori è una pazzia, il vento è assurdo, arriva da non so dove: per 7-8 minuti non ho reagito, poi ho visto che anche lei non era comoda e ho giocato punto per punto, cercando di tenere l'equilibrio e il controllo impossibile di una palla impossibile».

Follia Ecco, la vecchia Pen-netta una partita così folle non l'avrebbe vinta. La nuova ragiona giusto: «Ho cercato di rimandare la palla al centro del campo, anche se finiva a destra o a sinistra... Non è stato facile». Il tennis non c'entra più: «Vince il mentale». Quello che fa salvare il break del 3-5 ed lancia il parziale di nove punti e i cinque match point, sul 5-4. «Sul primo, mentre cercavo di colpirla, la palla era di là del net». Il secondo muore col rovescio fuori di poco, il terzo con una smorzata folle, il quarto con un altro rovescio, ma il quinto è il colpo della ditta-Pennetta: il rovescio lungolinea decisivo, dopo due ore e tre quarti. Prossimo incrocio, la 2 del mondo, Li: «Gioca più o meno come me, ma è molto più forte. Dovrò essere molto più aggressiva per prendere in mano la situazione. In Australia, non m'ha lasciato speranze, spero di averne qualcuna in più». Diverti, Flavia, ma lotta.


Ancora un primato firmato Pennetta (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport, 15-03-2014)

È come se dal 24 giugno a oggi Flavia Pennetta, a giorni alterni, avesse scalato una posizione abbondante del ranking Wta. Dal 24 giugno 2013, quando l'azzurra era precipitata al 166 posto, a dopodomani quando uscirà la nuova classifica, Flavia, in 266 giorni, come minimo si sarà lasciata alle spalle 151 posizioni, ma quel numero 15 già in tasca per essere approdata alle semifinali californiane (nessun italiano c'era mai riuscito prima) potrebbe diventare 14 se stanotte avrà battuto la cinese Li Na e addirittura 12 in caso di successo a Indian Wells. Ma non andatelo a raccontare a Flavia: non lo vuole sapere anche se in ballo c'è una scommessa con Fognini, chi arriverà più lontano?

LA TEMPESTA - Sembra una favola, raccontata cosi, ma poi si va a rivedere l'incredibile partita giocata e vinta con Sloane Stephens e allora viene da pensare che la Pen-netta adesso non ha limiti e quella frase detta dopo il successo a mani basse sulla Giorgi: «Non voglio diventare la numero I o qualcosa del genere. Non al momento», potrebbe davvero nascondere qualcosa di speciale. Perchè? Un passo indietro: giovedì, era già notte in Italia, Flavia conduceva 6-4, 5-4, 30-0, partita quasi finita. Poi, mentre la tempesta di vento e sabbia avvolgeva il campo, all'improvviso la Stephens si è trovata con la palla per il 4-0 nel terzo set, dopo aver vinto il secondo e aver infilato sei game consecutivi. Chi sarebbe riuscito a risollevarsi in quelle condizioni, anche ambientali e mettiamoci pure il tifo che ovviamente era tutto per l'americana? Pochi, pochissimi, ma Flavia sì. «Sembrava quasi che nessuna delle due volesse conquistare il match - ha detto a fine partita con un sorriso grande così - Vinci tu, no tu... E anche quando la Pennetta si è trovata sul 40-0 al decimo gioco del terzo set è riuscita a sprecare tre match-ball. «Capitano le giornate no - ha poi raccontato - non c'è niente da fare. Il servizio non andava, ero scoordinata». Ma gli errori, da una parte e dall'altra, in 2h26', si sono ripetuti e alla fine se ne contati 112 sui 221 punti totali. Ci voleva ben altro, oltre la racchetta. E la Pennetta l'ha avuto e quando Mary Carillo l'ha invitata nel salottino di "Tennis Channel" per l'intervista del dopo match, anche il pubblico locale assiepato attorno ha tributato un forte applauso all'italiana.

MURAGLIA CINESE - Ieri sera, in Italia tra il finire della notte e le prime luci dell'alba, si è giocata la semifinale contro Na Li, numero 2 al mondo, coetanea, nata un giorno dopo Flavia (il 25 febbraio l'azzurra, il 26 la cinese), con un bilancio per ora favorevole (3-2) per l'avversaria, vantaggio arrivato agli Australian Open, nei quarti.

GRANDE ITALIA - E da lunedì, per la prima volta, l'Italia avrà tre giocatrici (Errani, Vinci e appunto Pennetta) nelle Top 15. Non era mai successo, e sarà anche la nazione più rappresentata. Ma quali americane, bielorusse, russe o tedesche: il tennis femminile è made in Italy!


Pennetta, la bellezza di crescere a 32 anni (Piero Valesio, Tuttosport, 15-03-2014)

SE a 32 anni si conquistano una semifinale a Melbourne e una a Indian Wells, torneo che insieme a Pechino, Miami e Madrid sta giusto un paio di passi dietro ai tornei dello Slam, la storia è cosa vera- Per palati fini. A 32 anni non si è più ragazzine. L'orologio biologico ticchetta, si fa sentire. La fatica anche. Le giunture dolgono, specie quando sono state visitate (i polsi nel caso di Flavia) dal ferri del chirurgo. La vita ha un'altra prospettiva, che va ben oltre i limiti cosmici e misteriosi (ma forse proprio per questo simbolici) di un campo da tennis. Se mentre tutto questo prende il sopravvento una fanciulla riesce a conquistare i risultati di cui sopra allora vuol dire che siamo di fronte ad un'impresa sportiva vicino all'eccellenza. Quella di Flavia Pennetta lo O.

MARE Anche Serena Williams ha 32 anni, Li Na pure. Ma le loro sono storie, personali e agonistiche, diverse. Flavia non è nata negli Stati Uniti in una famiglia con un padre ossessionato dal successo della figlia: non è nata nella Cina dove primeggiare nello sport voleva dire contribuire alla gloria della patria e del suo sistema sociale: e contribuirvi pure in modo fattivo visto che una bella fettona dei guadagni quel sistema sociale lo tratteneva. Flavia è nata sul Mediterraneo e dal Mare Nostrum non si è mai allontanata Ha dovuto nel corso della vita e della carriera, fronteggiare fisicamente e psicologicamente, gli effetti di quel mare: che spesso ispirano ma anche provocano visioni e dubbi, chiedete a Ulisse che è uno che se ne intende. Ha dovuto curare quel polso che forse ha risentito dell'umidità di quel mare: e talvolta pure la sua anima, novella Penelope il cui Odisseo però non era tornato. Ha avuto accanto se degli uomini, alcuni dei quali le hanno lasciato molto o qualcosa. E la sensazione è che la Pennetta di oggi sia la risultante anche di quelle frequentazioni. Proviamo a rivolger loro uno sguardo.

PAPA' ORONZO Fondamentale. Dirompente. Ansiogeno. Pater familias. Oronzo ha trasmesso a Flavia certamente un po' della sua congenita propensione a soffrire i momenti decisivi; ma è stato sempre, ed è tuttora, un punto di riferimento, un cardine dalla valenza assolutamente positiva. Magari a causa di quella attitudine e farsi dominare dallo stress proprio quando non si dovrebbe Flavia ha perso qualche partita decisiva in più nella vita; ma il come ha battuto la Stephens l'altro ieri, nel cuore di un tempeste di vento biblica, dimostra che ha saputo superare quel limite. E il vantaggio di avere una personalità strutturata derivante anche da una figura paterna co-si positiva è una delle chiavi delle fortune dei successi "tardivi" di Flavia.

CARLOS MOYA Simbolo vivente del "non tutto il male vien per nuocere". Grande amore della nostra che vissuto giornate di grande splendore femminile quando viveva con il fascinoso neo capitano della squadra di Davis spagnola. Ma anche autore della delusione sentimental-esistenziale che più di ogni altra ha fatto da spartiacque nella sua carriera. Parte della capacità che oggi la nostra ha di soffi ire in campo arriva anche dall'allenamento alla sofferenza cui si è sottoposta quando la sua storia con Carlos è finita (in modo mediaticamente truculento, fra l'altro). Ha detto Flavia in tempi recenti: «Va a finire che dovrò pure ringraziarlo, Moya'.. Appunto.

GABRIEL URPI L'altro padre di Flavia, il confidente, quello capace di dirle cose tremende col sorriso sulle labbra e di farsi ascoltare. Uno capace di trasmettere equilibrio. Quell'equilibrio che ha permesso ad una che non serve a duecento l'ora di imparare via via a variare il proprio gioco, ad alternare con sapienza tocco e pressione da fondo. A superare gli stop per infortunio e a preparare i rientri. Urpi si è fatto da parte quando si è reso conto che non sarebbe riuscito a far crescere ulteriormente l'azzurra. E anche in questo è stato grande.

SALVADOR NAVARRO L’ultimo coach, quello della maturità assoluta. Quello che ha raccolto il sistema-Pennetta e lo ha fatto evolvere. Con fermezze e idee chiare. Come si deve con una donna adulta cui non si può chiedere di fare perché si deve fare; ma perché c'è un motivo. Ha preso equilibrio, capacità di sofferenza e di ascolto e le ha convogliate in un servizio più efficace (tranne l'altro ieri) e in una maggiore aggressività. In una capacità di stare più con i piedi vicino alla riga di fondo e se poi arriva un errore pazienza, si pensa alla palla dopo. A 32 anni si può continuare a macere, questa è la novità.


Dolgopolov sfida Federer che frena i giovani (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 15-03-2014)

«E' la prima volta che le gemelle mi dicono: "Hai giocato bene"». Il 4 volte re di Indian Wells, Roger Federer, è tutt'un sorriso, anche mentre delizia il pubblico con le sue magie e ipnotizza il picchiatore Kevin Anderson (nessun servizio perso, 79% di punti con la prima, 17 vincenti), qualificandosi, sempre in soli due set alle semifinali. E poi gonfia il petto, orgoglioso: «Dopo Wawrinka a Melbourne i giovani pensano di poter battere i primi? E' positivo che credano di più in sé e s'inspirino a Stan, ma bisogna che lo provino. Un torneo solo non può determinare la verità. Rafa e Novak, come Murray ed altri resteranno là per un altro po'. Vediamo se i giovani li batteranno con regolarità o una volta qua e una là. E anche se è bello vedere facce nuove nei quarti o in semifinale, è ancora tutto da decidere se la loro ora è arrivata oppure no».
Sulla sua strada in una semifinale che promette scintille c'è oggi il genietto ucraino Dolgopolov, che ha superato per ritiro (sul 6-4 5-2) a Basilea 2010, un talento di velocità e varietà che ha beffato Nadal (n. 1 del mondo), Fognini (14) e Raonic (11). «Non c'è segreto, sto facendo tutto quello che facevo prima, forse un po' meglio. Contro Milos sono stato abbastanza veloce e ho risposto molto di più, anticipando molto il suo fortissimo servizio. L'obiettivo è essere al top il più possibile, affrontare i più forti, divertirmi, vincere partite e... il torneo». Intanto, dal numero 57 del mondo dell'1 gennaio, «The Dog» è già virtualmente 23. All'inseguimento del numero 13 che aveva il 16 gennaio 2012.


Federer, il campione che non ama il time out (Angelo Mancuso, Il Messaggero, 15-03-2014)

Il tennis è uno sport che vive di tradizione, ma anche tra i più aperti alle innovazioni, quando queste sono utili. Vedi l'introduzione della moviola in campo, il famigerato "occhio di falco", che invece nel calcio sembra un passaggio epocale non digeribile. Se ne parla, si discute, ma poi al dunque non si muove nulla. E sempre nel tennis siamo ormai abituati tra le donne ai "time out" stile basket. Dal 2009, infatti, i coach sono autorizzati ad entrare in campo in tutti i tornei Wta, ma non nei 4 del Grande Slam, per dare consigli tecnici e tattici alle giocatrici: è possibile una volta per set e solo alla fine. Ora sembra che l'Atp voglia seguire questa strada, anche se Roger Federer, che in bacheca può vantare la bellezza di 17 titoli dello Slam, si è detto decisamente contrario. Lo ha fatto a Indian Wells, dove battendo con il punteggio di 7-5 6-1 il gigante sudafricano Kevin Anderson, ha centrato la sua 44esima semifinale in un Masters 1000 (sul cemento del deserto californiano ha vinto già 4 volte, la prima 10 anni fa, l'ultima nel 2012). Sulla sua strada oggi troverà Alexandr Dolgopolov, talentuoso ed un po' folle ucraino capace di eliminare tra gli altri il n.1 Nadal e l'azzurro Fognini. In attesa, King Roger ha esternato la sua contrarietà all'innovazione dei coach in campo nei tornei (in Coppa Davis il capitano siede infatti in panchina e ai cambi di campo parla regolarmente con il proprio giocatore).«Spero davvero che non se ne faccia nulla - ha detto il 32enne campione svizzero - oppure che prendano questa decisione dopo che mi sarò ritirato. Non credo sia necessario o utile. Il tennis è uno sport individuale e in campo è l'atleta che da solo deve trovare le giuste soluzioni. È uno degli aspetti più belli e intriganti del tennis, in campo sei tu contro il tuo avversario».

FLAVIA PROTAGONISTA Intanto a Indian Wells prosegue anche il torneo femminile con Flavia Pennetta grande protagonista. La 32enne brindisina ha sconfitto la giovane statunitense Sloane Stephens in tre partite (6-4 5-7 6-4) al termine di un match rocambolesco, tra occasioni mancate da una parte e dall'altra, rimonte e una tempesta di vento e sabbia che ha imperversato durante tutto il terzo set. Flavia la scorsa notte italiana ha affrontato in semifinale la cinese Na Li, favorita n.l. Da lunedì per la prima volta l'Italia avrà tre rappresentanti tra le prime 15 del mondo: oltre alla Pennetta, Sara Errani e Roberta Vinci.


«Davis, affare da 4 milioni di euro» (Gianluca Agata, Il Mattino, 15-03-2014)

La prima pallina rimbalzerà stamane. Soci del circolo e ragazzi delle scuole tennis avranno un compito ben preciso: consegnare ad Andy Murray e Fabio Fognini un campo degno dei quarti di finale di coppa Davis in programma sull'Arena del mare della Rotonda Diaz dal al 6 aprile. Le 40 tonnellate di terra rossa sulle quali si svolgerà Italia-Gran Bretagna sono tutte al loro posto, granello per granello. Il compito dei tennisti da oggi al31 marzo, giorno di arrivo delle due nazionali a Napoli, sarà quello di ridurre ciò che tecnicamente si chiama manto di finitura da 4 a 2 centimetri.

«Ospitare un match di coppa Davis come questo va oltre il semplice dato sportivo - commenta il presidente del Tc Napoli, Luca Serra - In quaranta giorni abbiamo dato prova di una eccezionale organizzazione, di come sappiamo lavorare». Una location mozzafiato, una credibilità conquistata con i fatti ed una organizzazione già rodata. Sono queste le carte vincenti che hanno convinto federazione nazionale e internazionale. Proprio da lunedì cominceranno i sopralluoghi istituzionali per ammirare un'arena di 5.000 posti (contro il Cile erano 3.700) con protezioni in cristallo a bordocampo da 130.000 euro circa. Il budget, «interamente sostenuto da sponsor privati da noi sollecitati» ci tiene a sottolineare orgogliosamente Serra, è di circa 750mila euro a fronte dei 500mila di Italia-Cile. Giro d'affari previsto di 4 milioni di euro. «Ma questa volta è stato molto più difficile per l'esiguità del tempo a disposizione», soli 40 giorni dall'annuncio. L'area, compresa l'ospitalità con sponsor e stand istituzionali, sarà consegnata tra il 27 ed il 28 marzo. Poi spazio alla settimana della Davis con un gala di beneficenza, la sera del 30, «Una volée contro il cancro», in favore della Fondazione Pascale. Per la tre giorni venduti finora 1500 carnet molti dei quali in Gran Bretagna. Da131 marzo sarà il turno dei biglietti singoli. Il tutto presso Azzurro Service e la segreteria del circolo (abbonamenti 88 e 190 euro, biglietti 39 e 88 euro). Atteso il presidente del Coni Malagò, primo di tanti Vip che saranno presenti al match. Tra le idee che dovrebbero trovare realizzazione, secondo il presidente del comitato organizzatore Carlo Gleijeses, la costruzione di un maxi schermo di mille pollici per permettere a chi è all'esterno dell'impianto di osservare le partite.

Intervista a Yannick Noah - Il mio canto libero (Riccardo Crivelli, Sport Week, 15-03-2014)

I capelli sono più radi e spruzzati di candida saggezza: i dreadlocks del trionfo al Roland Garros del 1983, che fece impazzire un Paese intero, sono soltanto un ricordo. Ma il carisma è rimasto intatto, gli occhi di Yannick Noah hanno una carica di energia e magnetismo che affascina e conquista ora più di allora. Nel 2012 è stato votato da un referendum tra la gente come il francese più popolare, e non soltanto perché è stato l'ultimo tennista transalpino a vincere uno Slam: Yannick ti entra nella testa e nel cuore con le parole, le idee, le battaglie che combatte ogni giorno. Non ha mai avuto problemi a esternare i suoi pensieri, in politica (è un acceso sostenitore del presidente Hollande) e nello sport, anche quando si trattava di accusare Nadal e gli spagnoli di uso massiccio di sostanze vietate oppure di affermare che sarebbe stato più opportuno liberalizzare il doping. L'ultimo attacco, fin quasi ovvio per chi come lui porta addosso con orgoglio due culture, è al Front National di Marine Le Pen, cui ha dedicato Ma colère, uno dei brani del suo nuovo cd che uscirà in giugno, provocando la dura reazione del partito. Tennista, pittore e cantante di talento. Soprattutto, un uomo libero.

Yannick, in quale delle sue tre anime si riconosce di più? «Non sono per le schematizzazioni, perché bisogna per forza rinchiudersi in categorie predefinite? Io mi sento tennista, pittore e cantante allo stesso modo, in ognuna di queste attività ho realizzato una parte di me, cercando di ottenere il meglio che potevo. Certo il tennis è la cosa che ho fatto per più tempo e che mi ha reso popolare, dunque ha un posto particolare nel mio cuore».

Che cosa le ha insegnato? «A essere giudicato. In ogni momento il tennis ti sottopone a un giudizio: nel dialogo o nello scontro con l'allenatore, nel confronto con un avversario, in un punto contestato. Quando sei ragazzino non ci pensi, credi che tutto sia dovuto. È un'esperienza molto formativa».

Le piace il tennis di oggi? «II tennis di oggi è incredibile. Basta seguire un allenamento per rendersi conto di quanto tirino forte e di quanto sia migliorata la tecnica. Io non potrei più scendere a rete così spesso, sarei in grande difficoltà. Quello che mi stupisce è la maniera in cui i primi al mondo continuano a migliorare».

Molti suoi avversari di un tempo sono diventati allenatori. È una strada che la intriga? «lo non sono mai stato numero uno al mondo, perciò sono tranquillo, non ci penso proprio. Sono stato sorpreso dai rientri di Becker e Edberg, ma il loro ritorno ha un senso, possono davvero aiutare i loro giocatori con le loro esperienze. Quando ho saputo che avrebbe allenato Djokovic, ho parlato con Boris e l'ho sentito motivato. E ringiovanito e credo farà un buon lavoro. Anche McEnroe cerca qualcuno? Gli consiglio di prendere una ragazza... Potrebbe funzionare».

Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera di tennista? «Avevo 14 anni, ero una giovane promessa e nel mio circolo c'era una ragazza che mi piaceva, si chiamava Milène. Un giorno,dopo l'allenamento, si è avvicinata per farmi i complimenti e poi mi ha dato un bado. Era il mio primo bacio vero, per me è stato come arrivare in paradiso».

Perché un francese non vince uno Slam da 31 anni? «Perche da allora il resto del mondo ha espresso grandi giocatori e alcuni di loro sono tra i più forti di sempre. Tsonga ha giocato una finale in Australia nel 2008, io credo che abbia la tecnica e le qualità per riuscire a imporsi in un grande torneo, ma si trova di fronte ragazzi come Federer, Nadal, Djokovic e Murray. È un'epoca ricchissima di talento. purtroppo per lui. Ma continuo ad aver fiducia in Jo».

E di Monfils, il giocatore che la ricorda di più, che cosa può dire? «Purtroppo non gli interessa avere un allenatore. Sarà un passo importante quando deciderà di averne uno. Possiede sicuramente grandi qualità, si notano quando gioca. Vuole arrivare più lontano? C'è qualcuno che può aiutarlo? Ci sono un sacco di cose su cui può lavorare per migliorare. Ma gli servirebbe una mano».

Anche suo figlio Joakim è diventato uno sportivo famosissimo grazie al basket e ai Chicago Bulls. Quanto è stata dura per lui portare un cognome del genere? «Per fortuna non l'ha mai vissuto come un peso. ha fatto la sua strada grazie al talento e all'applicazione. Probabilmente lo ha aiutato vivere in America, dove la pressione era sicuramente minore, e il fatto di aver scelto uno sport diverso dal mio, come feci io con mio padre».

Lei dai 3 agli 11 anni ha vissuto in Camerun, appunto il Paese di suo padre, che era stato calciatore in Francia. Quali legami ha mantenuto con l'Africa? «I miei genitori vivono ancora là e io torno in Camerun almeno due volte all'anno. Li ci sono le mie radici. ma io mi sento francese e africano allo stesso modo. In questo mondo spaventato dalle differenze, bisognerebbe imparare il rispetto di ogni cultura».

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