16/03/2014 08:47 CEST - Rassegna Nazionale

Una Pennetta da urlo, la finale più bella (Crivelli, Clerici, Semeraro, Ferrero, Valesio, Valenti, Mancuso, Piccardi); Federer contro Djokovic, tocca ancora a loro due (R.C., P.V.)

16-03-2014

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A cura di Davide Uccella

Una Pennetta da urlo, che rivincita contro Li: la finale più bella (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport, 16-03-2014)

Può diventare la donna da un milione di dollari. In un colpo solo. Ma non sono i soldi dell'eventuale successo a Indian Wells (mezzo milione invece se perde) a fare la felicità della Pennetta, splendida araba fenice risorta in otto mesi dalle ceneri di un paventato ritiro fino ad arrivare alla finale più importante della carriera. Contentezza, infatti, è avere ritrovato il piacere del gioco a 32 anni, aver messo a posto gli ultimi dettagli per un altro salto di qualità, dopo essere precipitata al numero 166 del mondo. Perché solo una grande atleta, matura e straordinariamente fiduciosa in sé stessa, può dominare un'avversaria, la Li Na, da cui era stata travolta solo due mesi prima in Australia, traendo da quella sconfitta la lezione e la convinzione per rovesciare i rapporti di forza

Aggressività Ridi, Flavia, ridi: «Certo, sono felice, perché non dovrei esserlo? Sono davvero sorpresa, perché se all'inizio del torneo mi avessero chiesto di pensare alla finale, li avrei presi per matti. Ma il mio tennis va bene, è stata una buona partita». A Melbourne, la cinese aveva regalato il primo gratuito dopo 28 minuti, stavolta è molto fallosa soprattutto al servizio, con otto doppi falli nel primo set, in cui dal 2-2 ci sono comunque otto break consecutivi. Così, il segreto della vittoria sta nella risposta, nel tie-break solidissimo di Flavia e nella tattica perfetta del secondo parziale, quando la brindisina, sotto 2-0, comincia a cercare il punto fin dal primo colpo: «Ho lavorato tanto per migliorare — dirà — per cercare di essere più aggressiva. Ho giocato molto meglio che in Australia, i tanti errori da una parte e dall'altra (22 per lei, 52 per la rivale, ndr) si spiegano con la ricerca costante dei vincenti. Forse dovrei venire più spesso in America, anche se mi piacciono di più i tornei estivi, da queste parti».

Obiettivi Già, nel 2009 Flavia vinse a Los Angeles in quella che al momento resta la perla più abbagliante tra i suoi trofei, che gli apri le porte anche per lo storico ingresso nella top ten. Adesso, però, c'è una finale di un Premier Mandatory, lo scalino appena inferiore agli Slam e un'altra volta una classifica che sta diventando imperiale (da 21, sarà almeno 14, 12 se vince il torneo): «Non mi sono mai posta obiettivi precisi, mai. L'anno scorso — confessa — dopo tutti i problemi avuti mi dicevo che sarei stata soddisfatta di chiudere tra le prime 100, ho finito la stagione al 29 e quindi ho fatto molto meglio... E per il 2014 non mi sono messa pressioni, 50, 20 o 10 non fa alcuna differenza. Penso solo a sfruttare le settimane positive».
Muro Il magic moment va completato contro il talento pulito della Radwanska, sicuramente in grande crescita rispetto al match di Dubai di tre settimane fa dominato da Flavia: «Dovrò essere ancora più aggressiva — riconosce la Pennetta — cercare subito il vincente perché se scambi troppo con Aga ti ritrovi di fronte un muro. Contro di lei, devi fare il punto sette volte, ma l'ultima volta che l'ho incontrata ho giocato bene e spero di ripetermi». E' la nuova vita della Penna, che segnò la via entrando, prima azzurra di sempre, tra le dieci ed oggi si riprende il ruolo di leader: «Da cinque anni, noi donne d'Italia stiamo facendo cose eccezionali». La grande bellezza.


Fantastica Pennetta, batte Li Na e va in finale (Gianni Clerici, La Repubblica, 16-03-2014)

L’ anno passato, leggendo distrattamente la classifica, mi ero reso conto che Flavia Pen-netta era finita al numero 166. Ammiratore come sempre son stato di lei mi ero soffermato un istante, dicendomi che non era giusto che la classifica di una tennista con un polso visitato da un bisturi non fosse congelata, ed ero poi passato a domandarmi se, passata la trentina, Flavia avrebbe trovato le motivazioni per ritornare ad allenarsi, a gareggiare, insomma a rimanere una giocatrice di tennis. Non sono tifoso, per l'orrore che mi provoca simile atteggiamento, ma non posso dimenticare di essere stato, ai miei tempi, quasi virile, e insomma non sono mai riuscito a dimenticarmi del tutto di un'attrazione. Credo di averlo addirittura confessato al mio collega aficionado, il papa della Pennetta, Oronzo, affermando che, fossi nato solo una cinquantina di anni avanti, mi sarei permesso di innamorarmi di suo figlia.

Detto ciò, mentre è aumentata la mia gioia nell'apprendere che la Piccola Penna è non solo tornata, ma ha superato se stessa, non posso e non voglio essere obiettivo, e chiedermi se supererà nella finale di Indian Wells quella che ha definito "un muro", Agnezska Radwanska, e se le riuscirà di ritornare ancor più vicina alle Prime Dieci, oppure no. Quel che è accaduto a Flavia rappresenta, in una società come quella italiana contemporanea, nella quale moltissimi si dolgono, ma non tutti reagiscono, è un caso umano ammirevole. La carriera di Flavia è passata per più di una colonna d'Ercole, dall'emigrazione interna milanese, a quella europea in Spagna, da un amore che poteva condurla al matrimonio ed è fallito, da un infortunio che poteva spingerla ad abbandonare lo sport e a vivere agiatamente di ricordi e di premi vinti. Quell'altra donna ammirevole di Li Na non ha per nulla evitato di apprezzare la sua vincitrice, e nemmeno ha cercato scuse. Addirittura ha scacciato il marito dal campo, nella speranza di far meglio da sola. E, forse, Flavia, ben assistita ma non legata a qualcuno che non fosse il suo allenatore, avrà pensato che avere più di trent'anni sia un brevetto di maturità Bella e matura. Che donna!


Maxi Pennetta, storica finale "Non riesco a non ridere" (Stefano Semeraro, La Stampa, 16-03-2014)

L’importante è non smettere di stupire, e di stupirsi. Mai. In campo come nella vita. Reinventarsi, ricostruirsi, mettere insieme nuovi sogni. «E infatti non riesco a smettere di sorridere», dice Flavia Pennetta, donna eterna del nostro tennis, che a 32 anni a Indian Wells si è guadagnata la finale più importante della carriera battendo in due set 7-6 6-3 la numero due del mondo e campionessa in carica degli Australian Open, la muraglina cinese Na Li. II torneo del deserto californiano non è uno Slam, ma è roba pesante, uno dei «premier Mandatory», gli appuntamenti del circuito femminile che stanno appena dietro i quattro grandi tornei. Mai nessun italiano, né maschio né femmina, era mai arrivato così avanti ai «pozzi indiani», sul cemento che non è mai stato il nostro pane. Flavia ce l'ha fatta a 32 anni, nel mezzo dell'ennesima primavera sbocciata in una carriera lunga e tormentata dagli infortuni. Un fiore nel deserto, annaffiato di voglia di rivincita. L'anno scorso, proprio di questi tempi, Flavia stava recuperando dall'operazione al polso, un filo a corto di autostima, di risultati, di classifica. Il coach di sempre Gabriel Urpi l'aveva mollata, il futuro era in penombra. «Mi sono detta: arrivo a Wimbledon e se la classifica non è quella che penso io, smetto». Invece. Da quel momento Piccola Penna si è snebbiata, ha ricominciato a macinare il suo tennis esatto, speziandolo di vita vissuta, esperienza, di dolce cattiveria (agonistica). Ottavi a Wimbledon, semifinale (la sua prima in uno Slam) agli Us Open, quarti agli Australian Open nello scorso gennaio, dove a stopparla era stata proprio Na Li. Insieme con il nuovo coach Salvador Navarro, sempre spagnolo, con il fisioterapista Max Tosello, e a Indian Wells anche in compagnia di Fabio Fognini, che due giornalisti de l'Equipe hanno voluto accreditarle via Twitter come nuovo «fiancé», vista la presenza assidua nel suo box, ma che per lei è semplicemente un «portafortuna». Un compagno di avventura in questa stagione che sembra aver tolto gli italiani (unisex, visti gli ottavi di Fognini sempre a Indian Wells) dal ghetto dei terricoli per spostarci nella categoria dei tennisti universali.

Comunque vada la finale di stasera, alle 20 italiane, contro la n.3 del mondo Agnieszka Radwanska (6-4 i precedenti per la polacca, ma Flavia ha vinto l'ultimo scontro a Dubai), la Pennetta è sicura di essere n.14 del mondo da lunedì, 12 in caso di vittoria, a un passo da Roberta Vinci (n.13) e quattro da Sara Errani (10): tre giocatrici così in alto le abbiamo solo noi ed è stata proprio Flavia, prima top-10 italiana nella storia azzurra nel 2009, a indicare la strada. Pare che fra Flavia e Fabio, anche lui n.14 del mondo, ci sia una scommessa a chi arriva più in alto in classifica: primo controllo a Wimbledon, poi a fine stagione. A forza di rincorrere le ragazze, anche i nostri hanno trovato il sentiero giusto. «Se dieci giorni fa mi avessero detto che sarei arrivata in finale a Indian Wells - ha detto Flavia - mi sarei messa a ridere». Una risata che ci ha già sommersi di stupore.


Pennetta, che finale: la vita è bella dopo i 30 anni (Federico Ferrero, L’Unità, 16-03-2014)

TIMOTHY LEARY SOSTENEVA CHE L'INVECCHIAMENTO SIA LA TENDENZA A SMETTERE DI CORRERE RISCHI. Se avesse dato retta alle sirene dell'orologio biologico; a trent'anni, con un polso sfibrato e un mestiere di raffinata eccellenza da ricostruirsi pressoché daccapo, Flavia Pennetta avrebbe fatto bene ad assecondare quei propositi da donna del sud, spesso dichiarati con imponderabile sincerità: posare la sacca, metter su famiglia, fare la mamma. Proprio come l'amica del cuore Gisela Dulko, unita in matrimonio al centrocampista della nazionale albiceleste Fernando Gago e ormai madre a tempo indeterminato. I rischi, Flavia, se li è voluti assumere tutti: l'addio doloroso del coach Gabriel Urpi e della compagna di doppio, il chirurgo non troppo ottimista su tempi e modi del recupero, i trent'anni compiuti a febbraio si, ma del 2012. Passaggi ostici di cui l'altra notte, durante la dismissione del power-tennis di Li Na, la campionessa in carica degli Australian Open che in quel torneo l'aveva maltrattata (2-6 2-6), non si è avvertita traccia. Un ventaccio pestifero spazzava la Coachella Valley e soffiava via i dritti della cinese, mentre Pennetta lasciava che l'ispirazione le offrisse le risposte giuste anche in una semifinale cosi pesante, dopo match contro avversarie che più eterogenee non si sarebbero potute assortire. Vale la pena rammentare le sue vittime illustri: Braccio di Ferro Stosur, l'auPennetta, che finale: la vita è bella dopo i 30 anni straliana dai bicipiti mascolini, così massiccia e fragile; la brillante sparacchiona - ormai italiana di ritorno - Camila Giorgi, cui rendiamo grazie per aver abbattuto Sharapova ma domandiamo quale sia la versione definitiva del suo tennis, se a mille o a cento watt; poi la colored Sloane Stephens, croce e delizia del tennis americano con quel suo giocare a essere un po' Serena Williams, un po' una caricatura svampita di adolescente già annoiata dalla competizione. E Li Na, numero due al mondo, avviluppata nelle sue insicurezze, tra doppi falli e maledizioni in mandarino. Flavia in finale al Paribas Open è uno dei desiderata del tennis italiano, finora mai esaudito: di più, nessun tennista nostrano aveva mai disputato il match per il titolo in un torneo cosiddetto obbligatorio, uno dei quattro gioielli considerati secondi solo alle prove dello Slam - sono l'attuale Indian Wells, il prossimo Miami, il Madrid dell'onnipotente Ion Tiriac, il ricchissimo Pechino. Questo della California è un senatore incanutito tra i tornei, 40 anni di storia maschile e 25 in gonnella, ma la giovin Pennetta non verrà (si presume) intimorita: le toccherà in finale la maga Aga, Agnieszka Radwanska. Nel curriculum della polacca, giocarsi il titolo nel torneone è mestiere ormai piuttosto conosciuto; la nostra ha sette anni in più eppure vien da dire, saggiati i venti del West e gli umori in campo, che può essere davvero la volta buona, per prendere casa in paradiso.


Flavia&Fabio, fratelli d'Italia (Piero Valesio, Tuttosport, 16-03-2014)

A VOLTE capita che, sognando California, la California arrivi davvero. Intesa come luogo dell'anima, certo; come sede del concetto stesso di speranza. Nel deserto raliforniano Flavia Pennetta c'è da giorni ma stasera. quando in Italia saranno le venti, avrà una incredibile opportunità di aprire gli occhi e scoprire che il sogno di California è diventato una realtà. Una realtà che vale un milione di dollari, tra l'altro. A quell'ora scenderà in campo contro l'unica brava delle sorelle Radwanska, quella stessa che a Dubai qualche setti-mana fa a ha preso a pallate; nel tentativo di aggiudicarsi il torneo di Indian Wells, risultato che nella storia del tennis italiano, si colloca immediatamente dietro il titolo di Roland Garros conquistato dalla Schiavone e la finale giocata sempre sulla terra parigina, da Sara Errani.

TRASFORMAZIONI Flavia si è conquistato il diritto di provare a trasformare un sogno in realtà abbattendo Li Na la quale, giova ricordarlo, a Melbourne aveva disposto di lei con molto agio. E ci è riuscita elevando ulteriormente il livello di gioco che le aveva permesso di travolgere la Giorgi e rientrare in partita contro la Stephens: colpendo cioè quasi sempre in aggressione, forte di un servizio ritrovato. La stessa strategia che per sua stessa ammissione dovrà applicare stasera: ..Se con la Radwanska mi metto a palleggiare sono finita perché lei è un muro. Dovrò cercare continuamente il vincente a rischio di sbagliare qualcosa in più. Come ho fatto a Dubai, peraltro. Li Na è la seconda giocatrice del pianeta, da ieri Flavia è la quattordicesima. Se vinoerà salirà al numero 12.

FORMAT Ma oltre ai freddi numeri di dassifica ciò di cui Flavia Permetta è oggi il simbolo, al di là di quello che sarà il risultato di stasera, è il format complessivo del tennis azzurro. Che una volta era un coacervo di rivendicazioni incrodate, di invidie e invidiette, di primati personali che venivano prima di un seppur accennato obiettivo comune; e invece adesso assume, più passa il tempo, i connotati di una squadra complessiva. Il simbolo in questione è il fatto che mentre Flavia era in campo contro la Stephens e contro Li Na, in tribuna a scrutarla c'era Fabio Fognini 11 quale, eliminato da Dolgopolov, avbrebbe anche potuto, per dire, spostarsi ex a brupto in Florida per adattarsi all'umido che là troverà e preparare Miami. E invece ha scelto di restare sull'orlo dei pozzi indiani e di guardare dal vivo i match della sua connazionale. Tutto lascia intendere che ci sarà pure stasera. Se non è questo il simbolo non solo di un rapporto personale positivo (nessun fidanzamento, per carità, i due sono accasati ognuno per conto proprio) ma della partecipazione condivisi-va di un unico obiettivo, dite voi cosa lo è.

NEW WAVE Fabio è certamente il capofila della new wave del tennis maschile; Flavia è il simbolo di un intero movimento, quello femminile, che nell'ultimo decennio si è issato a simbolo per un'intera generazione di tenniste (i) in erba. II fatto di vederli assieme in un torneo tanto importante ha una valenza simbolica grande, inutile girarci intorno. Laddove nel più individualista degli sport fa breccia un comune sentimento di squadra o di amicizia o di cosa volete voi ecco che il risultato finale di un torneo e la conquista del succitato milione di dollari passa in secondo piano.

PRIME TIME Un sentimento di squadra che stasera avrà la possibilità di mettersi in mostra davanti ad una platea decisamente più nobile rispetto al solito: quella che può sedersi davanti alla tv (su Super-tennis) in perfetto prime time. Con la consapevolezza che se Flavia vincerà (ma anche se perderà) sarà un perfetto esempio di trionfo della volontà, espressione del tutto scevra di quel sapore macabro di cui Leni Riefenstahl caricò il suo film politico del '34. La volontà di Flavia è azzurra come il cielo californiano, non certo nero come le prospettive di quel film. E in quell'azzurro lei potrà stasera smettere di sognare California, ma potrà iniziare a legittimamente vantarsi di averla conquistata.


La Pennetta di nuovo regina, è una perla del nostro sport (Gianni Valenti, La Gazzetta dello Sport, 16-03-2014)

Flavia Pennetta si sta consacrando come un'altra delle perle che oggi lo sport femminile italiano pub esibire con vanto nel mondo. Certo, si potrà obiettare che nel tennis la finale di Indian Wells per quanto importante non è quella di uno Slam. Ma il ragionamento che ci fa arrivare a questa conclusione è più rotondo e valorizza in modo significativo anche la capacità di un'atleta di costruirsi una nuova giovinezza agonistica a 32 anni. Soprattutto se ciò avviene dopo lunghi tormenti causati da infortuni al polso che l'avevano trascinata sulla soglia del ritiro.

Il capolavoro messo in mostra nella semifinale contro la cinese Li Na, numero due della classifica mondiale, conferisce maggior forza a questa valutazione portando in dote un surplus tecnico d'eccellenza. Il tennis che esce dalla racchetta di Flavia è più completo ed efficace di quello giocato dalla brindisina tra il 2009 e il 2010 quando ha raggiunto il suo miglior risultato andando a occupare la casella numero 10 del ranking. Il servizio ha fatto un evidente salto di qualità, il palleggio da fondo campo è stato arricchito da un po' di rotazioni che consentono maggior controllo. La Pennetta d'un tempo, talentuosa enfant prodige dal gioco limpido ma troppo pulito, si è adeguata perfettamente all'evoluzione di questo sport. La maturità acquisita in anni di tornei e la conseguente tranquillità nell'affrontare in campo anche le situazioni più difficili sono poi degli asset che sa far valere soprattutto contro le avversarie giovani.

E' bene sapere, comunque, che dietro il viso solare e l'espressione sempre gentile di questa ragazza del sud, si celano una determinazione e una cattiveria agonistica di ferro. E non potrebbe essere altrimenti se pensiamo al fatto che l'anno passato alla vigilia di Wimbledon era sprofondata al numero 166 del mondo. Nove mesi dopo, invece, rivede la luce dell'olimpo delle Top ten. E' lì dove lei vuole arrivare di nuovo. Se l'era stampato bene in testa questo obiettivo all'inizio di un'incredibile quanto imprevista rincorsa. Varcare quella soglia vorrebbe dire vincere una scommessa fatta con se stessa nei momenti più bui della carriera quando in molti cercavano di appiccicarle addosso l'adesivo di ex. La finale di stasera sul cemento americano contro la polacca Agnieszka Radwanska ha un peso specifico non indifferente perché è la ventitreesima della carriera (leader italiana di ogni epoca) e la terza prestazione di sempre del nostro tennis femminile dopo le due giocate da Francesca Schiavone al Roland Garros. Prima ancora di scendere in campo, Flavia Pennetta è già risalita al 14 posto della classifica mondiale. Dovesse vincere approderebbe al numero 12 superando così Roberta Vinci e mettendo nel mirino Sara Errani (10). Al di là delle piccole differenze di punteggio, comunque, si è ripresa il trono di regina del tennis azzurro. Con un curriculum vitae che parla di nove tornei vinti e quattro Fed Cup con la Nazionale messe in bacheca. Il suo exploit di questi ultimi mesi ha anche permesso all'Italia di essere l'unica nazione al mondo ad avere tre tenniste tra le prime quattordici. Il vento insomma soffia a favore di Flavia. Sta a lei prenderlo tutto per sognare ancora più in grande.


La regina d'America (Angelo Mancuso, Il Messaggero, 16-03-2014)

«Te la do io l'America» era il titolo di un varietà di grande successo negli anni '80. Flavia Pen-netta, 32 anni di Brindisi, l'America se l'è davvero presa. Le tappe più significative della sua carriera sono infatti legate a tornei oltreoceano. Agosto 2009: diventa la prima italiana ad entrare tra le top ten raggiungendo le semifinali a Cincinnati. Settembre 2013: la storica semifinale agli US Open, dove già vantava 3 quarti. Marzo 2014: Flavia è la prima azzurra a conquistare la finale sul cemento di Indian Wells, che non sarà uno Slam, ma ci va parecchio vicino. Quella contro la cinese Na Li, n.2 del ranking, è una delle affermazioni più importanti della storia del tennis italiano: 7-6 (5) 6-3 il punteggio.

LA VENDETTA Una rivincita dopo la sconfitta nei quarti agli Australian Open: poi l'asiatica avrebbe vinto il torneo. «Non riesco a smettere di sorridere», ha detto al pubblico statunitense, che l'adora e non se l'è presa neppure quando nei quarti l'azzurra ha eliminato la giovane Sloane Stephens dopo un match rocambolesco. «Sono stata aggressiva nei momenti cruciali giocando il mio miglior tennis-ha aggiunto - non vi fate ingannare da qualche errore di entrambe, abbiamo sempre e solo cercato il vincente. Raggiungere la finale a Indian Wells è una gioia enorme». Lo è per lei e lo è per mamma Concita e papà Oronzo. A casa Pennetta sono 10 giorni che non si dorme per seguire gli incontri di Flavia. «Anche la scorsa notte cornetti caldi, tv accesa e il cuore a mille - racconta la madre della brindisina - Flavia è stata grande con la Na Li, l'ha intrappolata». Concita segue le sfide in salone, mentre Oronzo si ritira nella tavernetta al piano di sotto. «Ci incontriamo per le scale... Concita sta sempre in piedi, non riesci a farla sedere neppure con le cannonate. Io mi stendo sul divano, ma mi alzo di continuo, non riesco a star fermo». La carriera (9 i titoli conquistati sinora) e la vita della Pennetta, raccontate con passione e sincerità nell'autobiografia "Dritto al Cuore" uscita un paio d'anni fa, hanno avuto un percorso lungo e tortuoso. Da Brindisi al best ranking è successo di tutto, compresi due rovinosi scivoloni. II primo nel 2007, quando fini la love story con il tennista spagnolo Carlos Moya. Lui l'avvisò al telefono mentre Flavia giocava un torneo. Lei entrò in una spirale negativa anche sul campo da tennis, per poi tornare più forte di prima e varcare 2 anni dopo la fatidica soglia delle top ten. Nell'agosto 2012 l'operazione al polso destro e i cattivi pensieri del ritiro: neppure un anno fa era n.158. Ora è già certa di salire in 14esima posizione, dovesse vincere la finale scalerebbe altri 2 gradini. E in California in questi giorni hanno spesso inquadrato Fabio Fognini in tribuna a seguire i suoi incontri. «Quando si è operata al polso nell'agosto del 2012 la mia speranza era che potesse riprendere a giocare e che potesse farlo il più a lungo possibile - sottolinea Oronzo - gli schiaffoni presi, le delusioni, le sconfitte, l'hanno resa più matura, più forte. Ora è attenta ai particolari, il suo tennis è più ordinato, ha trovato un team perfetto guidato dal coach Salvador Navarro e si diverte a giocare. Lo noto osservandola sul campo: prima a volte sembrava disperata, ora è serena, sicura».
ULTIMO ATTO Stasera c'è la finale con Agnieszka Radwanska (diretta su SuperTennis alle 20), n.3 del mondo. Sei i precedenti, con la 25enne polacca in vantaggio 4-2. La Pennetta ha vinto l'ultima sfida lo scorso febbraio a Dubai, sul cemento. «Mi hanno chiamato degli amici per vedere insieme la partita - conclude il papà — ho detto di no, si fa come nei giorni scorsi. Io in tavernetta, Conchita nel salone...".


Pennetta, la vita (ri)comincia a 32 anni (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera, 16-03-2014)

«E adesso scusami, ma non riesco a smettere di sorridere...». Splendente di quell'ultimo perentorio rovescio in lungolinea con cui ha firmato il match, Flavia Pennetta se ne sta piantata nella notte di India Wells come se dal centrale non se ne volesse più andare, il ventaccio del deserto che aveva scompigliato il quarto con la Stephens è diventato una piacevole brezza da cui farsi acca-rezzare inseguendo Li Na per il campo in semifinale, mentre in diretta tv, negli Usa e nel mondo, l'eterna ragazza di Brindisi, Italy, irradia fascino mediterraneo, tennis vintage di ottima fattura e, appunto, sorrisi. Strana la vita, vero Flavia? «Un anno esatto fa ero qui, in California, con il polso destro appena rioperato e serissimi pensieri di ritiro per la testa...». Un anno dopo, con polso nuovo, cuore fresco di tumulti (archiviato l'ultimo amorazzo, occhio al giovane e aitante connazionale, da poco tomato single, che tifa per lei in tribuna: tale Fabio Fognini da Anna di Taggia, vecchio e buon amico e forse, ultimamente, qualcosa di più...) e, soprattutto, animo leggero («Non ho più niente da dimostrare e nulla da perdere» ripete, come un mantra, a ogni match), Flavietta si ritrova in finale dove meno se lo sarebbe aspettata («Se me l'avessero detto prima di partire per gli Usa, avrei pensato a uno scherzo»), in quel torneo di Indian Wells che viaggia appena una spanna sotto la first class dei quattro Slam ma, per quanto la riguarda, decisamente tre metri sopra il cielo. Dopo aver infilzato sullo spiedo di un gioco mai così concreto, aggressivo, denso, Stosur, Giorgi, Stephens (2o anni, undici meno di lei), l'insostenibile leggerezza della Pennetta è piombata come un macigno sulla numero 2 del mondo, Li Na, assurta a testa di serie n. i nell'assenza di Serena Williams, la prima donna cinese che già l'aveva eliminata all'Australian Open. Ma poiché anche Flavia, nel suo piccolo, è pioniera da prime volte (prima azzurra nelle top -ro: da domani sarà n. 15 del ranking, n_ 14 in caso di vittoria), ecco maturare la sorpresa del torneo: the italian veteran, come la chiamano gli americani (è revival: nella finale maschile c'è Federer), batte in due set (7-6, 6-3) la campionessa cinese tradita da servizio e dritto, diventando (ancora una volta) la prima azzurra così avanti a Indian Wells. «Sono sorpresa io stessa, ma tanto felice». Ora che ci ha dimostrato che nulla è impossibile, sostenuta da una forma fisica straripante e da un umore che ha preso il volo, stasera (Super-tennis e SkySporti ore 2o) la Pennetta si presenta al cospetto del muro Agneszka Radwanska (4-2 per la polacca i precedenti ma l'azzurra ha vinto nettamente l'ultima sfida, in febbraio a Dubai) con spirito ultraleggero e braccio pesante. «Sarò aggressiva». Roar. Il ruggito della Flavia.


Federer contro Djokovic, tocca ancora a loro due (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport, 16-03-2014)

La primavera non è ancora arrivata, ma il sole continua a splendere sugli orizzonti di Roger Federer, all'11a vittoria consecutiva e alla seconda finale di fila dopo il successo a Dubai. Insomma, un avvio di stagione da tempi d'oro, marchiato da un gioco efficace e da una ritrovata (e continuativa) solidità al servizio.

Re del vento La semifinale con Dolgopolov, il caldissimo ucraino finalmente brillante come il suo talento richiede, dura soltanto 61 minuti. Il vento laterale, molto fastidioso, esalta l'esperienza e il talento dello svizzero, facendo evaporare nel contempo i tagli maligni di Dolgo. Sul 3-3 del primo set e 30 pari sul suo servizio, Roger si invola, inanellando 5 game consecutivi che chiudono in pratica la disfida: «Le condizioni erano difficili per entrambi — riconosce l'ex numero uno — ma io ho avuto più chance perché ho servito con più efficacia».

Sfida eterna Roger non poteva festeggiare meglio il ritrovato ingresso nella top five, e se vince la finale risale addirittura al numero 4. Sarebbe il quinto trionfo in California, ma per ottenerlo dovrà, come a Dubai, battere Novak Djokovic. Una sfida ormai eterna: sarà il 33 confronto diretto tra i due, con Roger avanti 17-15. Per il serbo non è stato facile sbarazzarsi del redivivo Isner (che rientrerà nella top ten), ed anzi nel primo set ha dovuto affrontare tre set point contrari sul 5-4 e servizio, prima di ottenere il break nel game successivo. Nole ha giocato a sprazzi, ma è stato incisivo nella risposta: tra le note negative, l'incapacità di trovare il killer instinct quando ha servito due volte per il match nel secondo set, prolugando pericolosamente la partita. Ma il terzo set non ha avuto storia. Per la finale che tutti volevano.


Ma quale Dolgopolov, è Federer il vero guru (Piero Valesio, Tuttosport, 16-03-2014)

DOLGO doveva ridiventare Dolgo prima o poi anche se, magari, solo per un'oretta Ma tanto tempo è stato sufficiente a Roger Federer per disporre a suo piacimento del guru ucraino che ha smarrito in un colpo solo tutta la solidità che gli ha permesso, nel corso di questa settimana californiana, di battere Nadal e pure Fognini. II vento ci ha messo del suo, certo: un approccio sulla palla così particolare come quello del guru è andato in crisi subito visto che il punto d'impatto si spostava di continuo.

Ma è anche vero che il Federer che stiamo vedendo in questa fase della stagione è lontano parente di quello stesso falloso o tremebondo dell'anno scorso. Non è ancora al top, quel top che si è visto a Dubai contro Djokovic: ma il suo livello è stato più che sufficiente per disfarsi del guru senza sudare troppo. Dove possa arrivare Roger quest'anno è un interrogativo che tutti gli appassionati si pongono: di certo Roger pare sereno assai e questo lo pone in una condizione estremamente favorevole. Dopo il negativo 2013 i più lo hanno dato per definitivamente declinante e il fatto che oggi si presenti in campo reattivo come un ragazzino e tranquillo come un adulto ci dice che un titolo Slam potrebbe essere ancora alla sua portata. Specie se la condizione fisica continuerà a supportarlo, se Murray non ritroverà in fretta e furia la condizione migliore di cui lo ha privato lo stop seguente all'intervento chirurgico dello scorso autunno e se Djokovic ritroverà quella determinazione furiosa che ha fatto la sua fortuna. Ci sarà tempo per discuterne.

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