La splendida "Stecca" di Roger Federer

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La splendida “Stecca” di Roger Federer

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TENNIS – Rembert Browne di grantland.com ci spiega perché c’è qualcosa di confortante nella tendenza di Roger Federer a steccare, anche se meno con la nuova racchetta. Perché per un attimo sembra uno di noi, senza mai esserlo davvero. Traduzione di Luca De Gaspari

Qui l’articolo originale.

Domenica scorsa, a 32 anni, Roger Federer è arrivato a una manciata di punti dal diventare il più vecchio vincitore del singolare maschile di Wimbledon nell’era Open, il che gli avrebbe anche dato l’ottavo titolo (record) all’All England Lawn Tennis Club e lo avrebbe distanziato ulteriormente dagli altri con un diciottesimo titolo del Grande Slam.

Ma alla fine ha perso. Come sembra fare sempre più spesso negli Slam.

Perché a un certo punto tutto finisce. Non ho potuto fare a meno di meravigliarmi durante il thriller di cinque set di domenica (specialmente durante la rimonta di Federer nel quarto set) nel realizzare che ogni suo match epico, potrebbe essere l’ultimo. Ho capito quindi di dover smettere immediatamente di dare la sua grandezza per scontata.

Queste sono alcune cose che amo di Roger Federer:

–          La sua incapacità di sembrare scosso

–          Il suo perfetto gioco di piedi nel colpire il dritto in side-out

–          Il suo rovescio tagliato clamorosamente accurato

–          I suoi passanti in mezzo alle gambe

–          La sua abilità nell’intimidire gli avversari anche con tenute  monocromatiche

–          I suoi capelli

–          Il fatto che non suda mai davvero

Però questa è la cosa che amo di più: la Stecca di Federer.

Una stecca è esattamente quello che sembra. E’ una palla colpita male che produce spesso un suono improprio. Il contatto della palla con le corde non centrali della racchetta, il telaio, il collo o persino il manico, manda la palla in un posto imprevedibile. Non si può controllare o guidare una stecca; tutto quello che si può fare è sperare per il meglio.

Le stecche non risultano sempre in errori. A volte, dopo aver colpito il telaio della racchetta, finiscono nell’ottava fila della tribuna. Ma altre volte rimangono in campo causando un rimbalzo irregolare a cui l’altro giocatore di solito non è preparato, mettendolo quindi immediatamente sulla difensiva.

Sono brutte. E in un mondo perfetto non dovrebbero mai accadere e questo è il motivo per cui è così sorprendente che il titolo di giocatore più incline a steccare appartenga proprio a Roger Federer. Come se avesse bisogno di vincere altri titoli.

Ci sono due velocità per Roger. La più comune è quella di un gioco che va oltre il libro di testo, colpi fluidi che atterrano esattamente dove dovrebbero atterrare. Ma quando questo non succede, è esattamente l’opposto. Errori madornali e caos assoluto dal momento in cui la racchetta e la palla si incontrano in modo imperfetto.

Quando si vede Roger rispondere a uno di questi tiri, sembra passare oltre immediatamente. Come se sapesse, in base al suo gioco, che è normale che succeda alcune volte in un match. E quando si pensa alla posizione in cui si è messo nella maggior parte della sua carriera, ha senso. Lui si è essenzialmente imposto di giocare ad handicap, forzando un gioco in cui ci sono solo due opzioni: perfezione o follia.

In ognuno dei diciassette Slam vinti ha usato la stessa racchetta, un Wilson da 90 pollici quadrati.

Fino all’anno scorso, quando Federer ha scioccato il mondo del tennis passando a una racchetta da 98 pollici quadrati, giocava con la racchetta più piccola e più pesante tra i giocatori di vertice, una decisione che era al contempo ammirevole, testarda e presuntuosa. E poiché, prima del cambiamento, aveva deciso di continuare con quello che conosceva, la Stecca di Federer poteva venir fuori al suo meglio.

Più è larga la “faccia“ della racchetta, più è largo lo “sweet spot” per il giocatore che deve colpire la palla, il che in pratica significa che la racchetta è più indulgente verso le palle colpite in modo imperfetto. Il che significa realisticamente che la racchetta comincia a fare molto del lavoro per te. La tua racchetta “salva” il tuo gioco.

Per quanto riguarda il peso, la decisione di restare con la racchetta più pesante, significa investire più in controllo che in potenza. Pensatela come una bicicletta con marce basse e alte. Quando la bici è nella marcia alta, il contraccolpo è minimo; non devi spendere molta energia per farla andare. Quello che manca in controllo si guadagna in velocità e distanza coperta. Ma usando una marcia bassa tu e la tua bici vi sentite come una cosa sola, anche se la distanza e la velocità sono più compromesse.

E’ la stessa cosa con una racchetta pesante. Sembra un’estensione del tuo braccio. Non puoi dare tanta forza o colpo di polso perché il tuo intero corpo deve essere parte del tuo swing. Ma il risultato finale, se portato avanti con abilità, è qualcosa che non può essere raggiunto con una racchetta più leggera. E’ un diverso tipo di potenza e un diverso tipo di feeling, quasi come se tu e la racchetta steste guidando la palla esattamente dove deve andare.

Questo è il mondo in cui Roger ha vissuto per anni. E questo spiega perché il suo gioco appare come nessun altro nel tour. Giocava con una racchetta che era più vicina, da un punto di vista evolutivo, alla sua antenata di legno che alla sua erede leggera come una piuma di struzzo. Il risultato era sempre impeccabile quando sotto controllo ed era spesso in grado di non far notare quando il suo timing era un pochino impreciso.

E’ sempre stato facile relazionarsi nel vedere il miglior giocatore, forse di tutti i tempi, fare degli errori così clamorosi. Perché se hai giocato a tennis, ci sei passato anche tu. L’unica differenza è che quando succede a noi buttiamo a terra la racchetta, malediciamo il Cielo e cominciamo a mettere in dubbio il nostro intero gioco. Roger invece passa oltre al punto successivo. Perché sembra capire la posizione in cui si è messo: per prendere tutto il meglio deve convivere con un po’ del peggio.

Durante il 2014 con la nuova racchetta, ho notato che le Stecche di Federer capitano meno frequentemente, o almeno così sembra. Ad ogni modo è sempre bello vederlo, anche nelle sue partite più importanti, sparare fuori una palla di 3 metri. E’ bello sapere che, sebbene si stia adeguando ai tempi usando la più avanzata tecnologia a sua disposizione, quella memoria muscolare della stecca non lo ha abbandonato completamente. Perché il modo in cui sbaglia non fa pensare a un errore umano. Gli errori sono così macroscopici che sembrano indicare un difetto, come se fosse una specie di macchina. Che è esattamente il modo in cui voglio continuare a pensare a Roger Federer, a metà strada tra un Dio e un robot del tennis. In ogni caso, non uno di noi.

 

 

 

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