Tennys Sandgren: "Umiltà e musica per tornare a giocarmela con i migliori" [ESCLUSIVA]

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Tennys Sandgren: “Umiltà e musica per tornare a giocarmela con i migliori” [ESCLUSIVA]

“Il politically correct è ovunque non solo nel tennis, ma è difficile vivere senza offendere mai nessuno” Parla Tennys Sandgren dal ritorno ai Challenger, fino al primo album musicale con il sogno degli Slam

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Tennys Sandgren - Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)
 

Mentre tutta l’attenzione degli appassionati è rivolta alle ATP Finals di Torino, noi ci troviamo per il secondo anno di fila ad assistere a uno degli ultimi Challengers dell’anno, il torneo di Champaign, in Illinois. L’anno scorso ci aveva accolto un pallido sole mentre oggi, quando parcheggiamo all’esterno dell’Università dell’Illinois, ha appena iniziato a nevicare e le temperature sono davvero rigide. Questo torneo rappresenta l’ultima possibilità per guadagnarsi un posto nel tabellone principale dell’Australian Open dal momento che la USTA ogni anno mette in palio una wild card per il primo slam dell’anno per coloro che ottengono i risultati migliori, anche nei Challengers, nelle ultime tre settimane di stagione. Varchiamo l’ingresso proprio in tempo per goderci il riscaldamento di Ben Shelton, il giovane americano classe 2002 che, grazie alle vittorie nei Challengers di Charlottesville e Knoxville, si è già guadagnato la wild card per il tabellone principale dell’’Open d’Australia. I pochi spettatori presenti sono tutti sul campo due per non perdersi colui che dovrebbe essere la nuova promessa del tennis americano. Sul campo adiacente sta giocando anche Tennys Sandgren. Il 31enne nativo del Tennessee è scivolato ai margini della trecentesima posizione ma sprigiona un tale entusiasmo che talvolta lo porta a lanciare qualche occhiataccia di troppo all’anziano raccattapalle. Fa impressione pensare che Sandgren poco meno di tre anni fa aveva avuto sette match point per sconfiggere Federer all’Australian Open e raggiungere la prima semifinale slam. Dopo una stagione a dir poco complicata Sandgren è tornato alla vittoria qualche settimana fa nel Challenger di Las Vegas. Nonostante ci siano solamente tre persone ad assistere al suo match di primo turno decidiamo di seguire la sua partita.  Per nostra fortuna Tennys supera il primo turno e dopo una lunga chiacchierata con Bryan Shelton, il padre e allenatore di Ben, ci raggiunge nella piccola sala dedicata alle interviste al secondo piano. 

 È stata una stagione lunga e faticosa per te, come ti senti dopo aver vinto il Challenger di Las Vegas due settimane fa e aver iniziato nel migliore dei modi qui a Champaign?

Anche se siamo alla fine dell’anno ho tanta voglia di giocare perché ho saltato gran parte della stagione per problemi fisici. Allo stesso tempo mentalmente è stato difficile avere tutti questi piccoli infortuni che non mi hanno permesso di competere con continuità. Sono sceso nel ranking e mi sono chiesto se sarei mai riuscito a giocare a un buon livello. Vincere il titolo a Las Vegas qualche settimana fa è stato molto importante, non solo perché non vincevo un torneo da molto tempo ma anche perché durante questa stagione ho spesso faticato a superare anche solo il primo turno nei Challenger. Questa settimana è molto importante per me perché sto cercando di entrare nelle qualificazioni dell’Australian Open, penso di aver bisogno di raggiungere la semifinale o la finale ma è dura, ogni partita in tornei del genere è una vera lotta.

Dopo diverse stagioni in cui hai frequentato regolarmente il circuito ATP, in questa stagione sei tornato a disputare prevalentemente solo Challenger. Quali sono le principali differenze che hai notato tra ATP e Challenger?

Quando giocavo regolarmente gli eventi ATP avevo la sensazione che i tabelloni fossero difficili da prevedere dal momento che mi potevano capitare al primo turno giocatori come Shapovalov, Auger Aliassime, Rune che semplicemente sono troppo forti. Allo stesso tempo però mi potevo trovare davanti un giocatore che quel giorno non era particolarmente motivato dal momento che non stava cercando di mantenere la famiglia con quel torneo. Penso in generale che i tennisti posizionati tra la quarantesima e l’ottantesima posizione hanno un’ottima continuità torneo dopo torneo e aspettano che ci sia uno spazio in tabellone per riuscire a fare una semifinale o una finale in un torneo importante. I Challengers sono difficili e anche se non sono presenti i migliori al mondo devi essere molto forte mentalmente sennò hai poche possibilità di vittoria.

Hai raggiunto per ben due volte i quarti di finale all’Australian Open, sei arrivato a gli ottavi a Wimbledon, quanto è difficile per te trovare la motivazione di venire a giocare tornei in cui ci possono essere cinque persone a guardarti e in cui il prize money è decisamente minore?

Sicuramente è difficile ma da un certo punto di vista ho la sensazione che è ancora più complicato quando sei attorno alla centesima posizione del ranking e una settimana giochi un evento ATP e la settimana dopo torni a disputare un Challenger. Passi nel giro di pochi giorni dal giocare per 10.000 dollari e 30-40 punti a partita a giocare per 500 dollari e 7 punti a partita.  Io sono consapevole a questo punto della mia carriera che se voglio tornare ad un certo livello devo passare da questi tornei, se non riuscissi a essere motivato e umile dovrei ritirarmi. Posso dire di aver avuto due carriere, la prima in cui giocavo Futures e Challengers, la seconda in cui ho calcato i palcoscenici più importanti al mondo. Anche se ho ottenuto alcuni buoni risultati negli slam conosco bene la realtà dei Challengers.

So che ti piace guidare da un Challenger all’altro quando giochi negli Stati Uniti, ti senti a tuo agio nell’atmosfera quasi intimista che questi eventi minori riescono a offrire?

Quando giochi lo US Open per esempio devi prepararti in anticipo perché i campi d’allenamento sono in una zona, gli armadietti in un altro, dove incordi le racchette in un altro ancora.  È fantastico perché alla fine giocare gli slam è una delle cose più eccitanti del nostro sport ma quando arrivo in un posto come Champaign parcheggio il mio truck nel parcheggio, la signora all’entrata mi accoglie con le palline e una bottiglia d’acqua. È sicuramente una versione più personale del tennis. A dire il vero alcuni Challengers possono arrivare ad avere 400, 500 spettatori per le fasi finali ma generalmente ci sono dai 10 ai 100 appassionati a sera. Mi piace molto l’atmosfera più raccolta, io vengo dal Tennessee, mi diverto a guidare verso luoghi come Columbus, Charleston…

Mi ricorda di quando giocavo i tornei Junior e dovevo guidare per tutti gli Stati Uniti.

Quando diventi professionista guidi molto meno anche se in Europa ad esempio guidando due ore puoi passare da un paese all’altro. Qui le distanze sono maggiori ma alla fine è rilassante, spostarmi con l’aereo non mi piace.

Qualche mese fa assieme a Mikael Torpegaard (ex numero 166 del ranking ATP) avete realizzato il vostro primo album chiamato “dystophian melancholy”. Com’è nata l’idea di realizzare un album e quali sono state le vostre ispirazioni musicali?

Lui è un chitarrista molto bravo e per un po’ di tempo ha fatto parte di una death metal band. Stavamo vivendo insieme per i primi sei mesi dell’anno, viaggiavamo per tornei e i testi delle canzoni sono stati ispirati dalla vita “on the road”. Per quanto possa essere divertente giocare tornei si incontrano tante difficoltà. Quando avevamo un po’ di tempo prendevamo un pacchetto di “Truly” [una bevanda alcolica al sapore di frutta n.d.r.] e a quel punto scrivere diventava molto più semplice. Abbiamo deciso di inserire nell’album le nostre cinque, sei canzoni preferite e a Nashville ci sono davvero tanti posti dove si può registrare. Una delle canzoni che ho personalmente scritto è “Shadow theatre”, era durante il periodo della pandemia quando le persone si sentivano obbligate a fare qualcosa che non volevano senza nessuna ragione valida.

Fino a che punto il governo può controllarti, quando si arriva a rifiutarsi di vivere nella società moderna. C’erano luoghi come l’Australia in cui tante persone hanno perso il lavoro a causa del vaccino, fortunatamente in Tennessee la situazione era migliore ma siamo riusciti tramite la musica a esprimere le nostre sensazioni.

Sei uno dei pochi giocatori del circuito che non ha timore di esprimere le proprie idee. Pensi che ci sia troppo politically correct nel tennis e soprattutto tra coloro che occupano le prime posizioni nel ranking?

Purtroppo non è solo nel tennis ma è ovunque. Se per sbaglio dici qualcosa di offensivo nei confronti di qualcuno gli sponsor non vogliono avere nulla a che fare con te perché stanno cercando di vendere i loro prodotti. Alla fine sono poche le persone che sono scontente davanti al politically correct, la maggioranza della gente pensa a se stessa e alla propria vita. È molto difficile però vivere senza mai offendere nessuno perché qualunque cosa tu dica troverai sempre qualcuno che non condivide i tuoi pensieri e si sentirà offeso. Non è divertente vivere controllando sempre ogni parola che ti esce di bocca. Mi è capitato in passato di sentire un top player dire che sarebbe interessante se i giocatori si esponessero di più. Ho sorriso perché è chiaro che sarebbe bello ma allo stesso tempo sarebbe triste se un giocatore non riuscisse a guadagnare soldi attraverso gli sponsor per certe opinioni. Anche durante le conferenze stampa bisogna fare molta attenzione perché i giornalisti sono pronti a usare le tue parole. Hai altri pensieri per la testa, stai cercando di usare le parole giuste ma tutti sono pronti ad attaccarti. Capisco che i top players non vogliano sbilanciarsi, dopo una partita dura è così semplice dire le stesse cose e evitare ulteriore stress. Onestamente non so come mi comporterei qualora avessi contratti milionari con gli sponsor, non mi sono mai trovato in quella posizione ma quando si parla di argomenti controversi bisogna fare attenzione.

Tornando al tennis, quali sono i tuoi obbiettivi per la prossima stagione?

Mi piacerebbe molto tornare a giocare nel tabellone principale di un Grande Slam. So che per riuscirci dovrei vincere un paio di Challengers consecutivamente ma qualora riuscissi anche a tornare tra i primi 50 del mondo sarei davvero orgoglioso di me stesso. Ho come la sensazione che il livello del tennis si è alzato, basta pensare a questa settimana che abbiamo qui in tabellone a Champaign Ben Shelton che probabilmente sarà almeno top 50 la prossima stagione. Il primo obbiettivo comunque è tornare a giocare i majors.

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