Rassegna Stampa del 7 Novembre 2009

"Non solo Williams", l'altra America mette paura all'Italia (Semeraro), L'unico rischio è la pressione - Oudin e Glatch le baby rampanti "Si può fare"(Martucci), Il piccolo diavolo (De Martino), Barazzutti: “Non siamo qui per caso” (Valesio)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

"Non solo Williams", l'altra America mette paura all'Italia

Stefano Semeraro, la stampa del 7.11.09

Le americane hanno chiesto la presenza della Digos allo stadio, da casa si sono portate due guardie del corpo specializzate più, pare, altri custodi occulti. Ma sono libere dentro. «Le Williams non ci sono? - taglia corto la capitana Mary Joe Fernandez. Pazienza. Non si può costringere nessuno a giocare per il proprio Paese, ma le ragazze che vedete qui sono tutte orgogliose di farlo. Prima o poi la stessa voglia tornerà anche a Venus e Serena. E noi saremo felici di accorgliele». Grande filosofia, grande paese. Composito, pragmatico e giovane come la baby squadra che oggi e domani tenterà di scipparci la seconda Fed Cup della storia, il coppone che sentiamo già nostro ma abbiamo una fifa blu di perdere... Tre delle quattro convocate yankee, Melanie Oudin, Alexa Glatch e Vania King, hanno 20 anni o meno, la Oudin 18.

Quattro su cinque, contando anche Mary Joe Fernandez, nata in Repubblica Domenicana, hanno origini straniere. Anche se manca la spezia afro delle sorellone, il melting-pot è lì che cuoce. L'unica anglosassone 100 per cento è Alexa Glatch, la seconda singolarista, 183 centimetri di californitudine bionda, esile, pura: «Da giovane ho fatto nuoto, e poi adoro il surf: quando sono a casa, a Newport Beach, non mi perdo mai un'onda». A giugno ha dato 6-1 6-1 a una Pennetta malmessa al Roland Garros, poi ha esordito in Fed Cup vincendo due match in Repubblica Ceca.

Se gli Usa sono in finale è molto merito suo: «La terra rossa non spaventa più noi americane, io sono cresciuta su questo tipo di campi, so adattare il mio gioco». La numero 1 del gruppo è Melanie la cucciola. Alta quindici centimetri meno della Glatch, ha carnagione e occhi da bambola, origini francesi. Un suo avo parigino sbarcò negli States nel 1873, e da allora Oudin si pronuncia Ou-dàan, con l'accento un po' slabbrato di quelli che vivono nel Sud, in Georgia, a Marietta, dintorni di Atlanta. Da quando è arrivata nei quarti agli Us Open rintronando l'Armata Russa dicono che sia la nuova Evert, la nuova Tracy Austin: «Io so solo che sono qui per vincere, che ci proveremo. Agassi e la droga? Vi giuro che non ne so niente, e poi il mio idolo da piccola era Venus Williams, ho sempre ammirato la sua compostezza in campo».

L'hanno premiata per il cuore che mette in campo, lei ha devoluto i 5000 dollari di premio a un ospedale di Egleston che cura i bambini malati di cuore come la sua sorellina minore, che a 4 anni fu operata a cuore aperto. Un altro affare di cuore tribolato, quello fra sua madre e il suo allenatore Brian De Villiers, esploso a New York a settembre le ha rovinato la festa dei diciott'anni, ma qui pare decisa a digrignare.

Vania King, nata in California da due genitori cinesi di Taiwan, volto decisamente asiatico e grande talento per il canto («ho preso lezioni, sono un contralto, adoro i musical di Broadway, specie Wicked») diffonde la stessa combattiva dolcezza: «Io ho sangue cinese ma per il resto americana, un insieme di due mondi. A Taiwan sono stata, la cultura cinese mi affascina ma non la capisco: noi occidentali siamo così veloci e aggressivi, l'Oriente è calma».
La veterana è Liezel Huber, 32 anni, nata a Durban, in Sud Africa, fuoriclasse in doppio: «Negli Usa vivo dall’età di 15 anni, mio marito è americano, i miei quattro cani sono americani. Gioco a tennis, ci provo con il triathlon, ma il mio futuro è raccogliere fondi per chi ha malattie cardiovascolari come mia sorella. La mia prima lingua è l'afrikaans, ma non rinnovo il mio secondo passaporto sudafricano. Perché in America sono arrivata con una valigia, ed è davvero il Paese dove puoi realizzare i tuoi sogni: anche quello di giocare una finale di Fed Cup».

Finale l'Italia favorita. L'unico rischio è la pressione

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 7.11.09

Macché Oudin e Glatch. Più delle bimbe americane tutta grinta e passione, strappate dal cemento alla lenta terra rossa per la finale di Fed Cup, la corazzata italiana teme due paroline astratte, ma piene d’incognite, come tensione e pressione. Sono quelle che fanno impallidire il numero 1 Fit, Angelo Binaghi, al sorteggio: «Psicologicamente, siamo nella situazione più difficile». Ma anche quelle che scatenano Francesca Schiavone, come quando si faceva chiamare leonessa: «Abbiamo paura e abbiamo emozioni. Se non amassimo queste sensazioni dovremmo cambiare mestiere, e se non le avessimo, non saremmo esseri umani. Ci prenderemo le nostre responsabilità, andremo in campo e daremo tutto quello che possiamo». Mentre Flavia Pennetta ammette: «Giocare per il proprio paese è già un’emozione, sentiamo la pressione e sempre più la sentiremo, ma dobbiamo solo concentrarci sul gioco, e non farci distrarre da altro». E Capitan Corrado Barazzutti indica il rimedio: «L’importante è pensare a queste avversarie, che sono giovani e forti, e si sono qualificate per la finale. Non a quelle che non ci sono».
Pronostico La condanna a vincere non è una bella sensazione, soprattutto quando esplode, all’improvviso, com’è successo, la settimana scorsa, con la fuga delle sorellone Williams: Venus verso i Caraibi, Serena alle Seycelles. E’ una sensazione strana che colpisce solo i forti, come questo squadrone azzurro, chiamato fra oggi e domani alla terza finale negli ultimi quattro anni, la prima in casa, per firmare un secondo trionfo, e battere, almeno numericamente, l’unica coppa Davis del 1976 a Santiago del Cile. Una sensazione insolita per giocatrici esperte in generale, ma non espertissime all’élite.
Trappola Tutto sembra favorevole alle azzurre. Dalla classifica, all’età e quindi all’esperienza da pro, ai precedenti. Il 6-1 6-1 subìto dalla Pennetta contro la Glatch all’ultimo Roland Garros è troppo netto per essere vero, così come invece è importante il 6-1 6-1 che la Schiavone ha rifilato alla Oudin l’anno scorso a Indian Wells. La «nuova Austin» non aveva ancora sorpreso il mondo toccando i quarti agli Us Open, ma da allora «la Schiavo» è tornata lei e, sulla terra, è anche più forte che sul cemento. Tutto troppo facile. Tutto da confermare. Per sfondare la porta della storia.


Oudin e Glatch le baby rampanti "Si può fare"

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 7.11.09

Bionde, giovani, sempre sorridenti, disponibili «ed eccitate», Melanie Oudin e Alexia Glatch 8sono il futuro del tennis Usa. Ma non fidatevi delle apparenze. Quando ripetono che sulla terra si divertono a scivolare e che in futuro ci giocheranno sempre più spesso, fanno sul serio. Non vogliono solo compiacere quella vecchia volpe della capitana, Mary Jo Fernandez. Perché, aldilà dei 18 e 20 anni dei documenti d’identità e della classifica mondiale che ancora piange (numero 49 e 132) sono due toste, due lottatrici che darebbero chissà che per rubare un po’ di ribalta alle sorellone Williams.
Credici Piccola, piccola (1.67 per 59 chili), come l’eroina Justine Henin («Ha dimostrato che si può vincere anche senza tanti muscoli e centimetri»), la velocissima Oudin è fenomeno da grandi ribalte: a Wimbledon, partendo dalle qualificazioni, ha messo sotto Jelena Jankovic, toccando gli ottavi e, agli Us Open, s’è fatta la fama di ammazza-russe, rimontando Dementieva, Sharapova e Dementieva, e fermandosi ai quarti. «Poi ero esausta e ho dovuto anche giocare le qualificazioni, che mi hanno succhiato energie fisiche e nervose. Diciamo che questo primo anno mi è servito per imparare. Ma sono pronta a ripartire già a gennaio, in Australia», racconta l’incontrista, nascondendo la storiaccia di papà che, proprio durante New York, ha chiesto il divorzio da mamma, accusandola di tradirlo con l’allenatore di Melanie. Del resto la bimba, simbolo delle teenagers, dà il buongiorno sul suo sito con un motto: «Non mollare mai in tutto quello che vuoi fare. Per realizzare i sogni ci vuole molto più del talento, ci vuole il cuore». E invita a crederci sui canali preferenziali, Facebook, Twitter e YouTube, e anche con lo slogan, «Credici», scritto sulle scarpe da gioco.
Recupero Alexia (Glatch) sembra ancor più dolce di Melanie. Ma ha uno spirito ugualmente forte. Finalista di singolare e doppio agli Us Open juniors 2005, la californiana (1.83 per 66 chili) s’è rotta polso destro e gomito sinistro cadendo dal motorino, per schivare un cane che attraversava la strada. Ed è tornata alla ribalta solo alla finale di doppio del Roland Garros juniores 2007. Poi, pian pianino, partendo al buon servizio, s’è costruita anche da pro, fino ad esplodere, quest’anno, all’esordio in Fed Cup, quand’ha messo sotto sia Benesova che Kvitova, perdendo sei games in due singolari, nella semifinale contro la Repubblica Ceca. Ma il suo ricordo più bello è legato al 6-1 6-1 che ha dato alla Pennetta: «A Parigi, io giocai molto bene e lei poi ha avuto una bellissima estate».

Il piccolo diavolo

Marco De Martino, il messaggero del 7.11.09

Poi dicono che uno è di cattivo umore. Il cantiere del
ponte sullo stretto è ancora in divenire e troneggia fatto di pongo su un tavolo della Pro Loco; Anfiarao e Tideo, i due bronzi di Riace, sono chiusi per restauro dentro il museo; Serena e Venus Williams sorridono beffarde ma solo dal programma della finale, in fotografia; in più fuori pioviccica e secondo il sito wind-guru punto com, il sito dei surfisti cool, a parte oggi pioverà a dirotto fino a mercoledì prossimo. Al palazzo del consiglio della Regione - «dove si approvano solennemente le leggi della Calabria» e dove due fotografi vengono allegramente alleggeriti dei portafogli - il sorteggio decide che oggi si aprirà con Pennetta-Glatch mentre a seguire giocheranno Schiavone e Oudin. Mary Joe Fernandez, la capitana Usa, è soddisfatta: «Vedo le italiane nervose, giocano in casa, sono favorite e sentono pressione e responsabilità. Io dico che ci saranno sorprese». Fifa tricolore, insomma. Melanie Oudin (mi raccomando, si legge alla francese "Audàan") ha gli occhi azzurri come il cielo di una giornata senza vento, si muove a scatti, parla in slang e viene da Marietta, Georgia, Usa, da quel mid-west sempre avaro di macchine sparapalle. Per gli americani è la nuova bimba prodigio, la risposta bianca a un tennis che da dieci anni vede nero con le Williams, un giocattolino biondo caricato di pile ad alta energia che a settembre ha fatto impazzire 23 mila spettatori sul centrale degli US Open battendo nell’ordine - in un rigurgito di guerra fredda tra Usa e Urss - le russe Pavlyuchenkova, Dementieva, Sharapova e Petrova giocando un tennis affilato, svolazzante e soprattutto “di capoccia”. La belvetta ha appena 18 anni, è alta quindici centimetri meno di Venus, ma si muove in campo e affila i colpi meglio della Henin. A suo dire quello che le riesce meglio è il gin rummy, gioco di carte cult per elementi capaci di ricordare tutto; ma in realtà la sua prerogativa principale è quella di non arrendersi mai, come del resto è il suo motto «believe» che vuol dire «credici sempre e comunque». A inizio del 2008, quando perse con la Schiavone 6-1 6-1 a Indian Wells, era numero 209 del mondo. Ora è numero 49 e in crescita vertiginosa: «Quest’anno a nemmeno diciott’anni sono passata dalle qualificazioni ai tornei veri, ho esordito con la nazionale del mio paese in Fed Cup, poi ho battuto la Jankovic a Wimbledon, poi sono arrivata nei quarti agli US Open e ora mi gioco questa finale che mi avvolge. Ma non ho paura perché so che giocherò benissimo, le italiane hanno preparato la trappola con campo rosso e lento, ma io ho scoperto di trovarmi benissimo». Curiosa questa bimba che non si perde un episodio dei Simpson in tv, che gira coi pupazzetti legati alla borsa da tennis e poi fionda pallate a 190 orari, forse per dimenticare la separazione choc dei genitori avvenuta proprio nei giorni degli US Open, tra l’altro con la mamma Leslie che avrebbe “virato” verso il suo coach storico, Brian de Villiers, che la segue da quando aveva 8 anni. Imbarazzante? Certo, ma lei è più forte. Altro esempio? La sua sorellina piccola Christina è stata operata al cuore per una malformazione e Melanie ad appena 18 anni si è subito improvvisata filantropa mettendo in piedi con i primi premi dei tornei una specie di fondazione. Del resto quelle come la Oudin fanno tutto molto presto e infatti Melanie ha persino un fidanzatino più piccolo di lei, Austin Smith, di appena 15 anni: «La Schiavone cercherà di far valere la sua esperienza ma quando ci sarà da mordere la partita ci sarò anch’io. Quando mi ha battuto ero una ragazzina, ora sono cresciuta e se ne accorgerà». E via dagli occhi altre saette azzurre. Dopo lo sgarbo delle Williams sembrerebbe quasi la rivincita delle bionde. Come la Glatch, 20 anni e avversaria della Pennetta, un fenomeno a 16 anni prima di cadere dallo scooter (polso e gomito rotto) per evitare un cane. Giovani e pronte a tutto.

Barazzutti: “Non siamo qui per caso”

Piero Valesio, tuttosport del 7.11.09

Il capitano silenzioso stavolta è un po’ meno silenzioso. Corrado Barazzutti non ama la ribalta più di tanto; se gli è possibile la sfugge. E anche in campo, nel suo ruolo di capitano di Davis e Fed Cup, affida talvolta più agli sguardi e ai gesti le sue comunicazioni ai membri della squadra che non alle parole. Ma stavolta, alla vigilia della terza finale di Fed in quattro anni, si concede qualche parola e anche qualche sorriso in più. Come si conviene a uno che è alla guida di uno dei cicli più vincenti, quello delle ragazze, che lo sport italiano nel suo complesso ricordi.
Corrado, che sensazione si prova a guidare una squadra così?
«Ci si sente orogogliosi. Perché è difficile aver l’opportunità di essere a capo di un gruppo che aveva, ha e avrà così voglia di vincere».
C’è chi dice che senza Venus e Serena l’esito di questa finale contro gli Stati Uniti è già scritto.
«Dunque: se le Williams non ci sono non è un problema mio. personalmente non mi aspettavo che arrivassero. Anzi: se la selezionata fosse stata Venus credo che lei avrebbe deciso per il sì. Ma visto che è stata Serena...C’è stato qualcosa sotto, diciamo».
Proviamo a indovinare cosa.
«Serena ha una squalifica che pende sulla sua testa come una spada di Damocle per la sceneggiata di cui è stata protagonista nella semifinale dello Us Open. Posso pensare che magari abbia tentato di “scambiare” la sua partecipazione magari con una riduzione dellal pena o con il suo annullamento, che ne so. E forse le sue richieste non sono state accontentate. Ma ripeto: è un problema loro. Io so che, come si dice in gergo, questa Coppa non ce la porteremo da casa».
Ovvero? «Gli Usa sono arrivate in finale senza le Williams. E la Glatch contro la Repubblica Ceca ha preso a pallate sia la Kvitova sia Benesova, mica due qualunque. Ma di buono c’è che io ho seguito sia le nostre ragazze sia loro in questi giorni. E posso dire che...
Cosa?
«Flavia, Francesca e le altre sono tirate a puntino. Le americane un po’ meno. A tratti ho avuto la sensazione che non la tirino dall’altra parte. Però in campo sarà un’altra cosa, ovvio».
C’è chi dice che la vittoria di Charleroi contro il Belgio che in qualche modo aprì questo ciclo sia stato frutto della fortuna. Perché la Henin si ritirò nel doppio decisivo.
«Ridicolo. Nei singolari la Henin giocò benissimo e Flavia aveva pure male al polso. Chi dice queste sciocchezze non sa o fa finta di non sapere che nel tennis conta alla fine chi vince. Ci sono due atleti o due squadre che si confrontano. Uno vince, l’altro perde. Le chiacchiere sono a zero. E poi vogliamo parlare di Mosca?»
Parliamone.
«La Pennetta non era certo nel momento migliore della sua vita e della sua carriera. la Santangelo aveva male al piede. E Francesca Schiavone giocò due singolari da urlo perdendoli per un paio di palle, non di più. La stessa squadra che quest’anno ha travolto la Francia in casa e la Russia campione del mondo. E questa sarebbe una squadra che vince per caso? Ma per favore».
Lei ormai è una sorta di padre per loro.
«In quest’ultimo mese le ho seguite passo passo. Pechino, Tokio e Mosca dove ho visto la Schiavo vincere. Lei è veramente incredibile. Se raggiunge dentro di sè l’equilibrio giusto è in grado di giocare un tennis da sogno. E forse non è mai stata in grado come adesso».
E’ un ciclo e come tutti i cicli avrà una fine, prima o poi speriamo poi.
«Inutile negare che gestire un’eredità del genere sarà un problema per quelle che verranno dopo. Mi auguro una cosa: che la semina che queste ragazze hanno effettuato nel corso degli anni dia più frutti di quella in cui si cimentò la mia generazione. Dopo di noi arrivarono tempi difficili. E io sono convinto che sarà così».
E il ciclo di Corrado Barazzutti?
«Soffro da morire ma questo sport mi piace, è il mio mondo. Non dipende solo da me restare capitano, ovvio. Ma se me lo proporranno un altro paio d’anni sulla sedia di capitano ci resterò».


 

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