TENNIS E RICORDI

I dieci incontri indimenticabili

Ubaldo ricorda i 10 match più belli visti fra il’68 e il 2001, prima di Federer e Nadal.  7 maschili, 3 femminili. Protagonisti? Laver, Rosewall, Borg, McEnroe, Connors, Ashe, Lendl, Becker, Edberg, Sampras, Agassi, King, Court, Evert Scanagatta

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Il ricordo degli incontri più belli degli ultimi 8-9 anni sono troppo recenti perché il giudizio che se ne potrebbe dare possa essere considerato storico. Per la storia ci vuole più tempo, come scrisse qualcuno appena un po’ più famoso di me…”ai posteri l’ardua sentenza”.
Allora, recuperando lo sforzo fatto per una faticosissima ricerca di qualche anno fa e rispolverando i miei ricordi di vita vissuta a bordo campo, provo a sottoporvi qui quelli che considero i 10 match più belli della storia del tennis open nel periodo 1968-2001, cioè fino a quel magnifico quarto di finale fra Agassi e Sampras dell’US Open 2001: quello vinto da Sampras in 4 set di tutti tiebreak….che se Jimmy Van Alen non avesse inventato il tiebreak sarebbero stati 24 pari al primo e ancora lì a giocare!
Poi è cominciata _ dopo un breve interregno Hewitt, piuttosto mediocre, _ l’era Federer-Nadal (ovviamente lo svizzero è partito con…quasi cinque anni di anticipo anagrafico).
Vedrete, se avrete la pazienza di leggermi, che piazzerò quel Sampras-Agassi al secondo posto.
Ovviamente quel che leggerete è frutto di una scelta soggettiva. Sono certo che i tifosi di un campione oppure di un altro troveranno modo di contestarmi.
Starò al gioco, ovviamente. Ma essendo, con tutta probabilità, lettori meno giovani di quelli che si sono sbranati quest’estate (meglio che scrivere più maturi vero?), mi illudo che le discussioni saranno probabilmente meno accese, più posate. Se non altro per dare esempio ai giovani!
La mia è una scelta influenzata dai miei ricordi di oggi, dalle mie emozioni di allora. Tutto ciò senza dimenticare l’esperienza vissuta quest’anno con i vostri commenti sul sito: tanti articoli infatti sono stati scritti qui su www.ubitennis.com sul GOAT (greatest of all times), liti furibonde sono state innescate fra i fans dei nostri due eroi contemporanei più acclamati, amati e odiati, Roger Federer e Rafa Nadal, e alla fine ci siamo trovati quasi tutti d’accordo sul fatto che quando si confrontano match di epoche diverse si fanno quasi inevitabilmente scelte più romantiche che tecniche anche se si confrontano numeri all’apparenza oggettivi.
Ma negli anni sono cambiate troppe cose, racchette, palle, certe superfici, la tecnica di gioco, gli stessi avversari (a volte più numerosi d’altissimo livello, a volte meno). Almeno 50 incontri meritavano una qualche menzione, ci sono state dolorose (per me) esclusioni e sarei curioso di ricevere le vostre graduatorie (sempre limitate a quel periodo 1968-2001, quindi 34 anni presi in considerazione da quest’articolo).
Mi pare necessario individuare per prima cosa i cinque criteri prioritari che hanno portato alla mia selezione che (con variabili interne) hanno “pesato” più di altri.
1) Ho cercato di variare il più possibile i nomi dei protagonisti, dei tornei, delle superfici. Solo Sampras, McEnroe e Lendl compaiono 2 volte).
2) Ho privilegiato le finali con 2 sole eccezioni.
3) Ho scelto incontri conclusi al set decisivo (anche qui 2 eccezioni).
4) Si tratta di incontri straordinari per il livello tecnico o indimenticabili per le emozioni suscitate.
5) Infine incontri dal contenuto storicamente (o statisticamente) memorabili.

I MIEI DIECI MIGLIORI INCONTRI DELL’ERA 1968-2001 (ante Federer-Nadal): 7 maschili e 3 femminili
1) Ken Rosewall b.Rod Laver 4-6,6-0.6-3,6-7,7-6, finale, WCT Dallas, indoor, 1972.
2) Pete Sampras b.Andre Agassi 6-7,7-6,7-6,7-6, quarti, US Open Flushing Meadows, cemento, 2001
3) Bjorn Borg b.John McEnroe 1-6,7-5,6-3,6-7(16-18),8-6, finale, Wimbledon, erba, 1980
4) Pete Sampras b.Boris Becker 3-6,7-6,7-6,6-7,6-4, finale, Masters Hannover, indoor, 1996
5) Ivan Lendl b.John McEnroe 3-6,2-6,6-4,7-5,7-5, finale, Roland Garros, terra rossa, 1984
6) Arthur Ashe b.Jimmy Connors 6-1,6-1,5-7,6-4, finale, Wimbledon, erba, 1975
7) Stefan Edberg b.Ivan Lendl 6-7,7-5,6-1,4-6,9-7, semifinale, Australian Open Kooyong, erba, 1985
DONNE
1) Chris Evert b.Martina Navratilova 6-3,6-7,7-5, finale, Roland Garros, terra, 1985
2) Margaret Smith-Court b.Bille Jean Moffit-King 14-12,11-9, finale, Wimbledon, erba,1970.
3) Steffi Graf b.Martina Hingis 4-6,7-5,6-2, finale, Roland Garros, terra rossa, 1999.

IL MATCH N.1: Ken Rosewall b.Rod Laver 4-6,6-0,6-3,6-7,7-6, finale WCT, Dallas, indoor 1972.

Rosewall aveva già 37 anni, Laver 33. I due <vecchietti>, fisico tutt’altro che statuario, in giornata di vena valgono ancora i migliori del mondo. E’ la rivincita. Un anno fa, prima finale del Masters Wct, Rosewall aveva vinto in 4 dopo 3 ore, 6-4,1-6,7-6,7-6. Quest’anno Laver ha fatto fuori Newcombe e Riessen, mentre Rosewall Lutz e Ashe. Il favorito è Laver. Rosewall sfoggia una delle prime racchette metalliche, Laver è rimasto fedele al legno. “Rocket” Laver, più aggressivo, gioca serve and volley, “Muscolo” Rosewall, tattico straordinario con un formidabile senso delle geometrie, si affida soprattutto all’impeccabile rovescio slice, a lob calibrati col compasso, al timing di attacchi in controtempo. Non hanno servizi ingiocabili, ne gode il gioco e gli scambi. Alla fine saranno centinaia di prodezze e meno di 10 errori gratuiti! All’inizio Laver è più brillante: 4-0,5-1. Rosewall reagisce con due servizi a zero, un break e quasi un secondo: manca 2 palle per il 5 pari. Al 6-4 d’abbrivio per Laver il “piccolo Maestro” gioca 75 minuti di tennis percentuale irraggiungibile, perfetto. Sul 6-0,6-3,3-1 la pratica pare conclusa. Invece Laver conquista il 3 pari e il tiebreak infilando 5 punti da 0-2. Indimenticabile il passante di rovescio per il 5-2. Il quinto set mette a rischio le coronarie. 4-2 per Rosewall, 4 pari. Sul 5-4, servizio Laver, c’è il primo matchpoint per Rosewall: ace al centro, annullato! Rosewall appare desolato, scuote la testa, lascia cadere sempre più spesso la racchetta. Fra un punto e l’altro sguardo basso, piedi trascinati a stento, finta aria da perdente. Infatti basta che la palla torni in gioco e, Dio mio, quale metamorfosi. Nuovo, emozionantissimo tiebreak. Ecco Laver avanti 3-1, pronto a vincere l’unico titolo sfuggitogli. Sul 3-2, però, l’inedito doppio fallo. Laver non si demoralizza, attacca ancora, il lob di Rosewall è fuori, 4-3 e poi 5-3 perché Rosewall non riesce _ centrato _ a togliersi la volee dall’ombelico. Con la solita aria dimessa Rosewall però non demorde. Attacca ancora, Laver uncina la palla con l’arpione mancino, ma il dritto è fuori d’un centimetro fuori, mentre è vincente la successiva risposta chip di rovescio di Ken. Servire sul rovescio di “Muscle” era un azzardo, ma Rod confida nel taglio estreno e mancino e ci riprova per venirne implacabilmente trafitto lungolinea. L’ultima risposta di rovescio, per solita magnifica, tradisce il rosso Rocket sul matchpoint. Gli 8.000 del Moody Coliseum si alzano in piedi come un sol uomo per la più meritata delle standing-ovation. “E’ il miglior match di tennis che si sia mai visto”. Mike Davies, ex davisman inglese nonchè direttore esecutivo WCT non troverà mai più nessuno in grado di contraddirlo.
IL MATCH N.2: Pete Sampras b.Andre Agassi 6-7,7-6,7-6,7-6, quarti, US Open Flushing Meadows, cemento, 2001
<Non si può mettere in cima alla storia del tennis come il più bell’incontro mai giocato una partita di quarti di finale, perché le finali hanno sempre mille elementi in più… tensione, elettricità, valenza, motivazioni, emozioni, atmosfera… che tuttavia fanno parte integrante della storia d’un match>. Questo mi diceva, sensatamente, Boris Becker a Flushing Meadows a proposito dello straordinario duello fra Pete e Andre, il n. 32 e di gran lunga il più bello fra i due migliori tennisti dell’ultima decade. Eppure non è arrivato neppure al quinto set. Nessuno dei due protagonisti, né Pete _ e fin lì passi sebbene avesse di fronte il miglior ribattitore vivente _ né Andre (“A me non era mai successo in un match perso”) ha mai ceduto il game di servizio. Insomma senza Jimmy Van Alen e la sua benedetta invenzione del tiebreak Pete (25 ace) e Andre (18, tantissimi per lui) sarebbero stati ancor lì a scambiarsi prodezze come nel famoso spot della Nike e chissà per quanto dopo il 24 pari del primo set! Certo quattro tiebreak garantiscono di per sé, di solito, grandi emozioni, ma se la qualità del gioco non fosse stata davvero eccezionale l’aderenza del punteggio alla regola dei servizi, con pochissime pallebreak, 4 nel primo set, nessuna nel secondo, appena una nel terzo, altre quattro nel quarto, avrebbe fatto mancare ogni suspence. Un match senza break e con 9 breakpoints in tutto solitamente è noioso, monotono. Sampras-Agassi è stato tutto fuor che quello. Ogni game ha offerto in media almeno quattro punti fantastici. Sampras ha perso il primo tiebreak 9-7 dopo essere stato avanti 6-3, mentre ha dominato il secondo, 3-0, 3-2,7-2. Stesso punteggio nel tiebreak del terzo set, dopo che però Pete nel terzo game aveva salvato l’unica palla-break. Nel quarto set Agassi ha rischiato il ko nel primo game, ma arrivato di nuovo al tiebreak è salito 3-1. Lì però ha commesso un errore gratuito proprio quando Sampras sembrava in debito d’ossigeno. Era soltanto il suo 17mo errore non forzato, ma peggior momento non poteva scegliere. Una volee facile facile di rovescio sbagliata da Andre sul 5-3 ha regalato 3 matchpoints a Pete, capace di trasformare il terzo e chiudere il sipario sull’indimenticabile spettacolo. Un Sampras così implacabile nei tiebreak, straordinario contro un grandissimo Agassi anche nel giocare il rovescio (solitamente il colpo più debole e quindi una sorta di cartina di tornasole del suo stato di forma) e nel conquistare punti da fondocampo valeva perfino più di quello dei tempi migliori. Un Sampras nuovamente imbattibile. In finale contro Hewitt, però, sarebbe tornato a giocare invece la sua controfigura. Forse Becker aveva ragione.
IL MATCH N.3: Bjorn Borg b.John McEnroe 1-6,7-5,6-3,6-7(16-18),8-6, finale, Wimbledon, erba, 1980.
E’ passata alla storia come la finale del più incredibile dei tiebreak fra due campioni capaci di eccitare come pochi l’immaginario collettivo nella cornice più suggestiva. Lo svedese di ghiaccio che pareva nato per vincere solo sul “rosso” avrebbe vinto proprio quel giorno il quinto Wimbledon consecutivo _ record imbattibile perfino per Sampras _ a spese del supermoccioso americano dal carattere terribile ma dall’immenso talento che si sarebbe preso la rivincita l’anno successivo. 22 minuti indimenticabili, irripetibili a fine quarto set. Quel tiebreak, 5 cambi di campo per 34 punti, è stato riproposto in mille salse da tutte le tv. Ancora oggi , se piove a Wimbledon, la scelta della BBC cade quasi sempre su quel “cult-movie”. Al punto che lo spettatore medio resta confuso. Sì, perché il tiebreak lo vinse McEnroe, ma il match invece fu di Borg. Non tutti quelli che hanno visto il replay del tiebreak ricordano altrettanto nitidamente la conclusione del match. Borg aveva visto sfumare, fra un colpo di MacGenius e l’altro, ben 7 matchpoint: 6-5,7-6,10-9,11-10 e 12-11 dopo i due già avuti sul 5-4 40-15 quando aveva servito per il match. Così quel tiebreak da leggenda McEnroe lo fece suo, 18-16 al settimo setpoint, pur avendo patito colpi di coda inenarrabili da Borg sull’8-7,9-8,13-12,14-13,15-14,16-15. Dopo aver perso un set a quel modo, solo un robot come lo svedese, più straordinario per la disumana capacità di dimenticare le 7 opportunità sfumate che per i formidabili passanti, avrebbe potuto vincere al quinto. Bjorn si concesse un momento di sbandamento che durò appena 2 punti, 0-30 nel primo game di servizio del quinto set. Avesse subito il break, forse anche lui si sarebbe arreso. Ma Ice-Borg reagì conquistando 28 dei 29 punti battuti fino al 7-6 per lui. Tenne 5 servizi a zero!. Fu alfine McEnroe, sfibrato da cotanta tortura, a vedersi perforare, sul 15 pari, da una perfida risposta di dritto di Bjorn. Il successivo passante di rovescio liftato di Bjorn procurò allo svedese altri due matchpoint. Bastò il primo. Un altro passing di rovescio in cross e McEnroe finì k.o. con Borg in ginocchio, le braccia levate al cielo. Erano trascorse 3 ore e 53 minuti dal primo punto. E quasi un’ora e mezzo dal primo matchpoint. <E’ il miglior match che io abbia mai giocato aWimbledon> confessò Bjorn al microfono di Bud Collins. E McEnroe ancora oggi concorda: <Mi dispiace averlo perso, ma sono felice perché è soprattutto grazie a quello che sono entrato nella storia del tennis. Di nessun match mi vien chiesto di parlare, di ricordare, come di quello>.
IL MATCH N.4: Pete Sampras b.Boris Becker 3-6,7-6,7-6,6-7,6-4, finale, Masters Hannover, indoor, 1996.
Suonano le note di Rocky quando, nella Messe Halle 2, scendono sul ring tedesco, con i fan di Boris urlanti come in preda al delirio, Pete Sampras e Boris Becker. Pochi giorni prima, per la mai abbastanza vituperata formula del Masters, Becker aveva avuto la meglio nel round-robin su Sampras dopo due incandescenti tiebreak, 14-12 e 7-4. Ma nonostante quel passo falso Sampras raggiunge ugualmente la finale, battendo Ivanisevic in semi, così come Becker ha la meglio su Krajicek. E come sempre la finale smentirà l’esito del match preliminare, quasi che il desiderio di rivincita stimolasse lo sconfitto e, all’inverso, si sopisse la cattiveria del suo giustiziere. <Se Agassi è il mio rivale storico niente è duro e mi esalta quanto lottare contro Becker a casa sua in Germania>. Parole di Sampras.
E’ la stessa finale del Masters di Francoforte, due anni prima (vinta da Sampras 6-4 al quarto). Pete vanta un bilancio favorevole, 9 vittorie contro le 7 di Boris e ha già vinto 2 Masters contro i 3 di Boris. Ma Boom Boom parte a spron battuto e nel primo game Pete non tocca palla. Quattro ace. I tedeschi impazzano. Ma anche Pete tiene la battuta a zero. Una sfida di colossi. 4-1 Becker però, poi 5-3, una prodezza in tuffo e l’aiuto del net prima di un rovescio strappato in corsa a lasciare annichilito Sampras ed è 6-3, mentre i tedeschi cantano Boris, Boris, Boris. Tennis di potenza più devastante, al servizio come nei cannonballs di risposta, non si può giocare al mondo e il tiebreak è la conclusione più naturale del secondo set cominciato con Sampras alla battuta e quindi, in assenza di break (solo 2 breakpoint per il 4-2 pro Pete), con Boris sempre a inseguire. Anche il tiebreak è equilibratissimo, fino al minibreak del 4-2 per Sampras. Ma basta che Boris giochi una volee di dritto più morbida perché Pete lo castighi con una fucilata di drive,4-2. Poi 6-3 e sul 6-5 una volee di rovescio dà il 7-5 a Sampras che mostra il pugno, come nei giorni in cui è ispirato e ci tiene da matti. Rischia Sampras nel sesto game, ma due aces salvano due breakpoint. Qualche servizio a zero ed è di nuovo tiebreak. 4-2 Sampras, poi 4 pari quando Boris prende un gran rischio sulla seconda. Non paga, è fuori. Doppio fallo. Gli scappa di mano il terzo set. E nel quarto set la vittoria è a portata di mano, 2 volte a due punti dal match sul 5-4 e sul servizio di Becker indietro 15-30. Ma c’è il terzo tiebreak consecutivo che si apre, curiosamente con quattro minibreak. Sebbene Boris salga a 5-3, sarà Sampras ad arrivare per primo sul 6-5, matchpoint dopo un punto straordinario: una terrificante risposta di dritto di Sampras, profondissima, Becker che la riprende Dio solo sa come, Pete che viene avanti dietro un taglio di rovescio: il passing di Becker è largo. Pete non mette la prima sul matchpoint, sbaglia un rovescio, la folla torna a rumoreggiare, Boris non ha ancora perso. Conquista anzi un setpoint sul 7-6, poi un altro sull’8-7, ma cede due punti al servizio di Sampras che arriva al terzo matchpoint. Boris resta indietro sulla seconda, lo scambio da fondocampo è pazzesco, quattordici palleggi finchè Sampras arrischia un drittone dei suoi, ma lo tira lungo. 10-9 per Boris e terzo setpoint. Niente da fare, 10 pari. Insiste nel serve and volley Sampras, ma con quel tantino di prudenza che consente a Boris di infilarlo di rovescio e conquistare il quarto setpoint. Quello buono sarà il quinto, sul 12-11, con Sampras che appare provato almeno quanto sono eccitati i fans di Boris nella Messe Halle. Eccoci al quinto set. I punti vincenti, e spettacolari, superano di gran lunga gli errori gratuiti, quasi inesistenti. La lotta è furibonda, i giocatori stanchi, il suspence indescrivibile, game dopo game. Tengono sempre il servizio, ma spesso soffrendo. Sul 4 pari Sampras conquista la prima palla-break, poi una seconda, una terza. In quasi quattro ore aveva ceduto una sola volta il servizo, ma non era mai riuscito a strapparlo. Non giocava solo contro un formidabile Becker, ma contro tutta la Germania. <Yeah> è il grido, più flebile che stentoreo, che l’esausto Pete lascia partire insieme al cross liftato di rovescio. Ma sarà proprio il matchpoint trasformato da Sampras, dopo una serie impressionanti di dritti di Pete e le repliche spaventosamente possenti di Boris, lo scambio più lungo e il punto più bello dell’incontro, alla fine vinto da Sampras grazie ad un astuto cambio di ritmo che aiuta l’errore di rovescio di Boris su una palla improvvisamente priva di gran peso. Becker si trascina alla rete e si lascia quasi cadere dall’altra parte, Sampras lo tira su e l’abbraccia. “Io non posso giocare meglio di così, è stato fantastico, alla fine non m’impotava neppur più chi vincesse”. 13 milioni di tedeschi hanno seguito la finale in tv. Otto mesi più tardi Becker avrebbe perso ancora da Sampras, nei quarti a Wimbledon, e nel stringergli la mano gli avrebbe sussurrato: <Questo è il mio ultimo match qui. Volevo che tu sapessi che è stato un piacere giocare contro di te>.
MATCH N.5: Ivan Lendl b.John McEnroe 3-6,2-6,6-4,7-5,7-5, finale, Roland Garros, terra rossa, 1984
Per Ivan Lendl una maledizione dimenticata. Finalmente uno Slam vinto dopo 4 finali perdute in altrettanti Slam, tanto che qualcuno l’aveva ribattezzato “L’eterno secondo” o , peggio “L’eterno perdente”. Per John McEnroe, che avrebbe potuto vincere il sesto Slam ed il primo sulla terra rossa, invece un “match maledetto e impossibile da dimenticare dopo la mia miglior partita disputata sulla superficie meno amica, la terra rossa”. Che, per inciso, a quei tempi era piuttosto lenta e non favoriva davvero gli attaccanti come McEnroe, certo più dotati di tocco e talento che della necessaria potenza.
“Quell’anno di 85 partite ne persi solo 3, ma una non contava troppo ed ero distratto, con Amritraj nell’estate americana, l’altra fu nella finale di Davis sulla terra rossa coperta a Goteborg quando sia io sia Connors facemmo più casino del solito _ e la federtennis americana dovette prendere provvedimenti _ lui perdendo da Wilander e io da Sundstrom…Ma la partita che non cesserò mai di rimpiangere è proprio quella finale che persi con Lendl…E non solo perché venivo da una serie di 42 vittorie consecutive dall’inizio dell’anno>.
E non soltanto perché lui Ivan non l’ha mai potuto sopportare, così diverso da lui, così metodico e disciplinato quanto lui era invece genio e improvvisazione. Si incontravano per la diciannovesima volta, Mac aveva avuto la meglio le ultime cinque volte (tutte finali, una anche sulla terra, seppur quella verde di Forest Hills), otto delle ultime nove e 11 in tutto.
<Dieci anni che nessuno perdeva una finale a Parigi dopo essere stato due set in vantaggio, capisci?!> rimugina ancora oggi John, emulo (in negativo) di Manolo Orantes che nel ’74 s’era fatto rimontare da Borg.
Eppure forse nessuno ha mai giocato, sulla terra rossa, un tennis migliore di quello che seppe giocare John McEnroe in quei primi due set. Non era certo il tennis dei Moya, dei Corretja, neppure dei Kuerten o dei Kafelnikov. John gioca tutto d’attacco, seguendo anche la seconda di servizio. Gli basta un break, mai restituito, per conquistare il primo set in 36 minuti. Il secondo per Lendl è quasi un’umiliazione: Mac gli lascia tre punti sui suoi games di servizio. Anche da fondo gioca tutto con straordinaria souplesse, inimitabile anticipo, così, senza forzare, mentre Lendl sbuffa e non riesce ad armare i suoi fondamentali dalle ampie aperture. Nessuno gioca le demivolee d’approccio alla rete come riesce a fare Mac da tre quarti campo. Uno spettacolo indimenticabile. Ma nel quarto gioco del terzo set cambio di scena. Mac, presuntuosetto, ha mollato un po’. Due palle-break, le prime. Le salva, ma non quella del sesto game: il passante di dritto di Lendl, marchio di fabbrica, non perdona. Rimonta Mac, da 2-4 a 3-4, ma sul 4-5 subisce un paio di grandi risposte di Lendl e il break. Due set a uno, due ore di gioco. La partita si riapre. Lendl trova un po’ di sicurezza, cerca di allungare gli scambi, Supermac è meno brillante, meno puntuale nelle discese a rete, la condizione atletica non è mai stato il suo forte. Va comunque un break avanti, 4-2 e palla del 5-2, piuttosto semplice. L’avesse trasformata il match sarebbe probabilmente finito. Ma la sbaglia e Lendl lo raggiunge sul 4 pari. Si attende il tiebreak e invece McEnroe al dodicesimo gioco patisce il break. Tre ore ed è quinto set. Curiosamente il pubblico di solito ostile a Lendl comincia ad incoraggiarlo. Mac sciupa una pallabreak nel quarto game, poi altre due, la tensione sale, il contrasto di stile è affascinante, molti scambi superbi. Il pubblico entusiasta. Alle 19,32 McEnroe, sul 6-5 Lendl annulla un primo matchpoint, ma sul secondo Mac sbaglia una facile volee di dritto e Lendl leva le braccia al cielo mentre McEnroe abbassa la testa. Poi, furibondo e pessimo perdente, scaccia via un cameraman alla ricerca del primo piano e rifiuta perfino di dire qualche parola agli spettatori…E’ stato un match fantastico, diverso ma non meno bello del Borg-McEnroe di Wimbledon 1980. Lendl ha vinto ma è sfinito. Arriva in conferenza stampa ma resta in piedi: “Altrimenti mi vengono i crampi…>. Ma dice anche: <Sapevo che per vincere avrei dovuto essere paziente…e sarei rimasto in campo anche 9 ore se necessario…>.
A Parigi come a Wimbledon McEnroe è stato sconfitto dopo aver giocato benissimo. Solo che lui di Wimbledon e di quel match con Borg parla sempre volentieri. Di Parigi e Lendl beh, parlategliene soltanto se volete farlo infuriare.
MATCH N.6: Arthur Ashe b.Jimmy Connors 6-1,6-1,5-7,6-4, finale, Wimbledon, erba, 1975
E’ stata la seconda finale di Wimbledon che ho visto, dopo la <punizione> inflitta l’anno prima dal giovane ed irrispettoso Jimbo Connors al leggendario Ken Rosewall
ormai trentanovenne. La seconda di 28 Wimbledon consecutivi. Ricordo che Connors _ vittorioso in 3 Slam su 4 nel ’74 e non l’avevano fatto giocare a Parigi per la sua adesione al Team Tennis, l’intercittà americano osteggiato dall’ITF _ era strafavorito per il bis, addirittura 3 set a zero per i bookmakers, anche se l’eccellente servizio di Ashe sembrava porre al riparo l’outsider da un’umiliazione del tipo di quella subìta 12 mesi prima da Rosewall (6-1,6-1,6-4).
E i motivi per cui ho scelto questo fra i match più memorabili, sebbene i primi due set siano stati a senso unico e anche nel finale la suspence sia stata relativa, sono stati legati alla straordinaria sagacia tattica con cui Ashe ha costruito una delle più grandi sorprese della storia di Wimbledon, impostando il suo match dopo averlo studiato da…scienziato, oltre che per l’aspetto storico costituito dalla prima (e finora ultima) vittoria di un tennista di colore nel tempio del tennis (dove fino a pochi anni prima non l’avrebbero fatto entrare neppure come raccattapalle).
Sebbene Ashe avesse vinto il primo US Open nel ’68, e un Australian Open due anni più tardi, la sua testa, i suoi interessi, erano troppo spesso lontani dai campi di tennis perché lui realizzasse compiutamente il suo potenziale. Era arrivato a quasi 32 anni avendo la reputazione di uomo tanto saggio, sensibile e beneducato quanto l’altro Jimbo, era invece strafottente, arrogante e maleducato. Nessuno amava Connors, fra i giocatori, tutti adoravano Ashe. La sera prima della finale Ashe andò a cena con gli amici più cari, Dell, Pasarell, Riessen. Aveva con sé una lista della 10 cose che riteneva di dover fare per sperare di battere Connors. Lasciò gli amici sintetizzando in un pezzetto di carta le cinque più importanti. E sì che Ashe non aveva fama di gran tattico, ma semmai di tennista istintivo, famoso anche per prendere rischi a sproposito. Contro Connors invece comincia a giocare come fosse un giocatore di scacchi. Mai una palla uguale all’altra, nessun ritmo, ma tagli e controtagli, dritti e rovesci tagliati che schizzano bassi sull’erba e finiscono sul dritto di Connors (il colpo più debole, buono d’incontro ma modesto quando Jimbo era obbligato a spingere lui la palla). Connors è frastornato, non ci si raccapezza. Dopo aver tenuto il primo servizio perde 16 dei successivi 21 punti. E’ in completa balìa di Ashe. Non sa che che fare su quella palle basse a metà campo: o resta a tre quarti nella cosiddetta terra di nessuno, e sono guai, oppure viene avanti ma senza un attacco sufficientemente profondo è come uscire dalla trincea senza elmetto e baionetta. E Jimbo non è mai stato un gran volleador. Oltretutto Arthur lobba in modo fantastico, con un controllo mai visto prima, indirizzando i pallonetti sul fianco destro di Jimbo che non sa come chiuderli con la sua presa bimane. Insomma in 41 minuti scarsi Ashe conduce 6-1, 6-1 sul grande favorito. Nel secondo set non si è distratto: per andare 3-0 ha fatto 12 punti su 15. Ai cambi di campo Arthur spiega il suo fogliettino e ripassa la lezione. Ma la lezione la subisce Jimbo. “Come on Connors!” grida qualcuno del pubblico. E lui, di rimando: “Ci sto provando for Chrissakes!” E difatti nel terzo set il n.1 del mondo ritrova se stesso, va avanti 4-1 e Ashe comincia a temere se stesso. <Devo evitare il quinto set> si dice quando perde il terzo. E sul 4 pari nel quarto, con quella Head Arthur Ashe Competition metallica (e racchetta difficilissima) di cui è stato il primo “testimonial” lascia partire 3 risposte di rovescio stupefacenti. Serve per il match e per la storia. E lo fa ancora con grande intelligenza. Connors è un gran ribattitore, ma Arthur non batte mai una palla uguale all’altra. Sul 30-15, ad esempio, batte improvvisamente una prima morbida, apparentemente facile. Sorpreso Jimbo mette in rete una semplice risposta di rovescio. Due matchpoint. Ashe serve ancora una volta slice esterno, sul rovescio di Jimbo per aprirsi il campo, segue a rete e la volee di dritto è una formalità. Campione. Grandissimo. Un capolavoro di strategia come forse non ne ricordo altri.
MATCH N.7: Stefan Edberg b.Ivan Lendl 6-7,7-5,6-1,4-6,9-7, semifinale, Australian Open Kooyong, erba, 1985
Ivan Lendl era diventato ormai a 25 anni il miglior tennista del mondo, dopo aver offuscato la stella di McEnroe, mentre Stefan Edberg, 19, era all’alba delle sue speranze anche se certo le sue caratteristiche di gioco, il più elegante e classico del “serve and volley” parevano garantirgli un brillante futuro da “erbivoro”.
Velocissimo nel prendere la rete, anzi nell’attaccarvicisi, Edberg non aveva alcun problema nel giocare sempre brillanti volee, soprattutto di rovescio, la miglior volee di rovescio di sempre dopo quella di Tony Roche (divenuto coach proprio di Ivan Lendl). Semmai Stefan doveva stare attento a non commettere falli di piede: una volta all’US Open contro Krickstein gliene ho contati 25! Stefan era testa di serie n.5. Ivan naturalmente n.1. Stefan gioca il suo servizio kick, quasi sempre sul laborioso rovescio di Ivan che soffre tantissimo quel rimbalzo alto e risponde ancora più alto. Ma salvando 6 pallebreak arriva comunque al tiebreak e lo vince, 7-3. Il ceco che sorrideva meno di Buster Keaton ha la grande opportunità per scappar via nel secondo set, 3-2 e 0-40 sul servizio dell’agnolo biondo. Ma arcuandosi fino all’inverosimile Edberg si aggrappa al suo servizio e si salva finchè è proprio Lendl a subire il primo break sul 5 pari. Lendl si innervosisce, perde quel set e il seguente. Chiama anche il fisioterapista accusando un dolore al ginocchio. Sul 4 pari nel quarto l’imprevisto: un acquazzone. E una sospensione di 75 minuti. Alla ripresa del gioco Lendl non ha più male, riparte alla grande, brekka Edberg, vince il set, lo ribrekka all’inizio del quinto. Ma sul 2-0, commette doppio fallo sul breakpoint e così Edberg torna in corsa. Le emozioni si susseguono crescenti. Un quinto set straordinario. Tre matchpoints sul 5-4 per Edberg che se ne mangia uno a campo aperto davvero incredibile: <Ho guardato Lendl invece del campo> spiegherà il biondino di Vastervik. Un errore fatto proprio col magico rovescio. Si arriva sull’8-7, con Lendl che manca la palla dell’8-8 perché edberg lo passa con un rovescio lungolinea. Due minuti dopo è finita la splendida battaglia. E’ il primo dei 6 Slam di Stefan.
LE DONNE.
MATCH N.1:Chris Evert b.Martina Navratilova 6-3,6-7,7-5, finale, Roland Garros, terra, 1985
Non fosse stato altro che per il calcolo delle probabilità, almeno uno degli 80 duelli vissuti dalla più celebre rivalità della storia del tennis avrebbe dovuto essere uno dei migliori di tutti i tempi. Quando si trovarono di fronte nella finale di Parigi, la Evert, sebben n.2 del mondo, era reduce da 13 sconfitte consecutive con Martina, ma d’altra parte Martina aveva perso la miseria di 3 incontri fra l’83 e l’84. E proprio a Parigi nella finale dell’84 Martina aveva dominato la Evert sulla superficie prediletta di Chris 6-3,6-1, quasi che Chris non avesse stabilito proprio sui campi in terra battuta quello stupefacente record di 125 vittorie consecutive, attraverso 24 tornei vinti di fila fra il ’73 e il ‘79. Martina e Chris si affrontavano dunque per la 65ma volta, Martina aveva vinto 2 partite di più, 33 a 31. Era la quinta finale negli ultimi sei Slam. Ho reso l’idea? Dal sole dell’alba s’era passati alla pioggia di mezzogiorno. Il campo allentato favorisce certo Chris, che gioca da dietro e ha più tempo per calibrare i passanti contro il serve&volley incessante di Martina. C’è anche vento. E a Martina non piace. Chris, cresciuta in Florida c’è abituata. Un po’ nervosa Martina va sotto 0-3, ma recupera, 3-3. Ma le serie di 3 games non sono finite. E’ 6-3 per Chris che di rovescio (piatto come pochi) non sbaglia proprio mai. Col dritto azzarda astuti sidespin indirizzati sul dritto di Martina che segue a rete meglio il rovescio. Si mettono bene le cose per Chris anche nel secondo, 4-2, 15-40, due breakpoints per il 5-2. Ma si arriva al tiebreak dopo che Chris ha servito invano sul 6-5. Serve davvero bene Martina adeso, con quelle traiettorie ad uscire. Se nessuna donna ha la precisione di Chris, nessuna batte e vollea come Martina. Di nuovo Chris è avanti all’inizio del terzo, 2-0 40-15, ma Martina _ cuor di fragile amazzone _ gioca meglio quando, in svantaggio, prende più rischi pensando di non aver nulla da perdere. Lottano in manier incredibile, il pubblico è diviso perché ammira maggiormente il tennis di Martina ma preferisce al contempo la grazia (e le grazie) di Chris, da sempre beniamina del pubblico parigino. La Evert sale sul 5-3, serve per il match, mette sempre dentro la prima per evitare il solito attacco sulla risposta di Martina, ma non basta. Una volee smorzata mette fine ad uno splendido scambio di 16 palleggi. 5 pari e situazione rovesciata, quasi disperata per Chris: 0-40. E proprio con la forza della disperazione la Evert spinge, spinge, si butta anche in avanti, vince addirittura un corpo a corpo sottorete con Martina, recupera, 40-40. Invece di servire per il match sul 6-5 la Navratilova deve servire per restarci. E non ce la fa. Un passante straordinario di Chris e dopo 2 ore e 52 minuti è trionfo per l’americana: “Di Slam mne ho vinti tanti (18 e 7 Parigi! Questo era il sesto) ma quella vittoria è stata quella che mi ha reso più felice. Mi ha prolungato la carriera di altri 4 anni”.
MATCH n.2: Margaret Smith-Court b.Bille Jean Moffitt-King 14-12,11-9, finale, Wimbledon, erba,1970.
E’ la finale più lunga di Wimbledon, come numero di games, anche se è finita in due set. Del resto la finale maschile più lunga, sempre come numero di games, fu quella che Drobny vinse su Rosewall nel ’54 e non finì in 5 set ma in 4. Oltre che la più lunga è stata forse anche la più bella. Eppure tutte e due, la gigantesca australiana n.1 del mondo alla rincorsa del Grande Slam _ dopo aver vinto 19 tornei su 24 la stagione precedente _ e l’occhialuta americana n.2, erano reduci da un infortuni. Dettero vita invece ad una incredibile battaglia dopo che nel corso del torneo avevano concesso a tutte le loro avversarie un set ciascuna. Margaret mirava alla terza corona di Wimbledon, Billie Jean alla quarta. L’australiana s’era fatta ben quattro infiltrazioni antidolorifiche per una caviglia disastrata, l’americana aveva un ginocchio a pezzi. <Lottavamo talmente, dimenticando tutto e tutti, che nessuna di noi due avrebbe mai creduto che l’altra stesse male> disse poi Billie Jean. Tutte e due, del resto, non erano tipi da mendicare scuse. Tutte e due praticavano un gioco d’attacco, più brillante di quasi tutte le altre tenniste. La King serve 3 volte per il primo set, 5-4,7-6,8-7, ma sembra stranamente preda di inconsuete paure al momento di chiudere, salvo tornare a giocare benissimo subito dopo. Battevano meglio di come rispondessero, al contrario delle tenniste dei nostri giorni. Tengono entrambe più d’un game a zero. Già sull’11-12 la King deve salvare un setpoint. Ma sul 12-13 sono 3 consecutivi a una risposta in cross di rovescio dà il set alla Smith-Court. L’australiana non sbaglia mai uno smash, la King dà spettacolo con le sue volee, il match è fantastico. La King è sotto pressione quando serve sul 4-5, sul 5-6, sul 6-7 0-30 eppi 30-40 (matchpoint n.1), ma appena può si butta in avanti anche per precedere la giraffona aussie. Sul 9-10 ancora la King, per la sesta volta, serve per salvare il match e salva anche altri tre matchpoints a conclusione di scambi rocamboleschi. I matchpoint non finiscono più, diventano cinque. Finchè il sesto è quello buono, grazie a un bell’attacco di Margaret sul rovescio di Billie Jean. 46 games! <Ho vinto 24 Slam, ma nessuna finale è stata più dura di questa>. <E nessuna verrà ricordata di più> scrisse il celebre Lance Tingay.
MATCH N.3: Steffi Graf b.Martina Hingis 4-6,7-5,6-2, finale, Roland Garros, terra rossa, 1999.
E’ il match che ha praticamente chiuso la carriera di Steffi Graf e che ha forse sottolineati i limiti di Martina Hingis, vittoriosa in tutti gli Slam fuorchè a Parigi. E’ il match delle lacrime di Martina, che pretendeva di arbitrarsi i punti incerti da sola e perciò venne beccato a più riprese dal pubblico parigino tutto schierato a favore della rediviva Steffi _ faticosamente ripresasi da un infortunio _ è il match di Melanie Hingis che sospinge Martina fuori dagli spogliatoi a fine partita quando la giovane svizzera, singhiozzante, ha un moto di ribellione perfino nei suoi confronti e non vorrebbe neppure rientrare in campo per la premiazione, per il discorso di rito dal podio.
Non aveva ancora 19 anni Martina, ne aveva 29 Steffi Graf, oggi quasi mamma d’un Agassino. Martina aveva vinto il suo terzo Australian Open consecutivo a gennaio, e il quinto Slam _ sarebbe rimasto l’ultimo ad oggi_ Steffi era invece venuta a Parigi con poche ambizioni. Non aveva più vinto uno Slam dall’US Open ’96. Si era operata al ginocchio nel ’97, non s’era mai completamente ripresa. Nel ’98 aveva sì vinto due tornei, ma nel ’99 neppure uno. Il bilancio a suo favore nei confronti della Hingis, 6-2, era datato. E la terra rossa sembrava favorire più Martina, in grado di riprendere le bordate di dritto di Steffi, che non la tedesca. Nel primo set Martina è più disinvolta, sembra superiore. Fraulein Forehand sbaglia troppi rovesci. Martina serve sul 5-2, ma appare d’improvviso vulnerabile. Ancor più sul 5-4: due doppi falli, 0-30. Rimedia, 40-30 e intanto la folla, avvertendo che la Graf ce la può fare, si schiera tutta per lei. Sfumano 3 setpoints, non il quarto. Sul 2-0 per la Hingis il match sembra aver preso la sua piega. Ma sul primo punto del terzo game un dritto di Martina viene chiamato fuori e lei non ci sta. Discute con l’arbitro Anne Lasserre che scende dal seggio, parla con la giudice di linea per riaffermare la prima decisione. Martina non ci sta. Gura attorno alla rete, passa dalla parte della Graf, pretende di indicare lei il segno. Accade il finimondo. Sedicimila persone gridano: “Steffi, Steffi, Steffi”. Arriva la supervisor, Martina è proprio testarda come un mulo. L’atmosfera si fa pesante per lei. 3-2 40-15 perde il game. Grande entusiasmo dei Graf-fans. Steffi vince il set 7-5. Martina viene fischiata perfino quando chiede il toilette-break sull’1-0 per Steffi nel terzo. E’ sempre più corrida. E 3-0 Graf. Quando Martina tiene il servizio, 1-3, sono più i fischi e i buuuh, che gli applausi. Applausi per Steffi invece quando evita due palle per il 3 pari e sale invece 4-2, 5-2. I cori per lei salgono alle stelle. La Hingis fa anche un po’pena. Anche se ha sbagliato. E Steffi trionfa per la sesta volta a Parigi. <Mi sento francese, non ho mai avuto una folla così>.
Detto da una tedesca, che sarebbe poi diventata…cittadina di Las Vegas nel Nevada, il ricordo di quella frase desta ancora più impressione. Io so per certo che chi ha visto quella partita, e vissuto quelle emozioni, non se le dimenticherà tanto facilmente.

Ubaldo Scanagatta

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