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Storie di Tennis

Il segreto di Bertolucci

Federer cercava un allenatore per vincere anche sulla terra rossa: "Dissi di no". Retroscena di una carriera: gli scherzi a Borg, l'amicizia con Panatta, il gelo con Barazzutti. "Oggi siamo indietro, provinciali e spreconi" Giovanni Marino
 

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Roger Federer e il suo staff cercavano un coach. Un ex giocatore di grande classe, dal gioco completo, su tutte le superfici. Capace di allenare il più grande anche sulla terra rossa (sempre un pochino indigesta per lo svizzero). La rosa era ristretta a tre, quattro nomi. C'era anche quello di un italiano: Paolo Bertolucci. Il braccio d'oro della migliore epoca azzurra, talento puro penalizzato da un fisico non all'altezza della sua classe. Non solo la "spalla" di Panatta ma, per chi ha memoria e conosce davvero il gioco, molto, molto di più nel decennio 1970-1980: doppista straordinario, capace di vincere olte 700 partite nell'Atp tour, 12 tornei, una Davis (e 3 finali); ma anche singolarista di rilievo (numero 12 del ranking, vittorie su quasi tutti i più grandi e 6 titoli).

VUOI ALLENARE ROGER? - Dunque, quel Federer già in vetta al ranking, si preparava a diventare ancora più forte e completo e cercava una guida. La voce si sparse nel circuito e qualcuno parlò di "Bertola", di quel rovescio incantato, della capacità di giocare indoor, open, su cemento, erba, sintetico e, ovviamente, terra rossa. Singolo e doppio. Atp tour e Davis. Così Paolo fu contattato. Un episodio di cui oggi, a 59 anni, lui parla quasi con imbarazzo, ma anche con evidenti lampi di orgoglio. "Vabbè ci fu un contatto, ma non discussi direttamente con lui", esordisce un po' timido uno dei 4 moschettieri azzurri. E ci vuole un bel po' per convincerlo a parlarne quando invece altri una cosa del genere te la ripeterebbero dieci volte al giorno: "Ok, la racconto, la racconto, ma consentitemi di sfumare qualche particolare tipo data, anno etc. Andò così: dall'entourage dello svizzero mi telefonarono per sondare la mia disponibilità". Qualcosa del tipo: scusa, Paolo, vorresti allenare il più grande di tutti i tempi? "Beh, qualcosa del genere, sì. Diciamo che ero in corsa con due o tre altri ex giocatori, nomi grossi mica bruscolini...". E ci ride su.

VIVERE A DUBAI - "Di pensarci ci pensai, accidenti se ci pensai. Ma poi declinai ogni offerta. Risposi: sono onorato solo all'idea ma io ho già dato". Bertolucci si fa serio e spiega perché disse no. "Ascoltai la proposta: consisteva nello spostare la propria residenza a... Dubai. Sì, negli Emirati Arabi dove Roger aveva fissato il suo campo principale d'allenamento. Poi, da lì, si doveva attraversare il mondo in lungo e in largo diciamo per 50 settimane all'anno se non di più perché lo svizzero di solito, quando va male, arriva sempre in finale. Intendiamoci non che mi spaventasse la cosa visto che l'ho fatta per tutta la mia lunga carriera da giocatore. Ma allora erano altri tempi ed ero un giovane uomo. Così feci un rapido calcolo su come, over 50, avrei dovuto stravolgere la mia vita e risposi: no, grazie per la considerazione, non me la sento. Pensai: c'è un tempo per ogni cosa e il mio, in questo senso, l'avevo già alle spalle".

IO E LO SVIZZERO - Da quasi un decennio Bertolucci fa il commentatore per Sky e scrive per la rivista Match point e lo incontri in tutti i tornei che contano. "Dove, a mia volta incontro inevitabilmente anche Roger ma, lo giuro, di quella proposta non abbiamo mai più parlato. Con lui ho uno splendido rapporto, questo sì e scherziamo spesso. Cosa gli dico? "Dai Fed, fammi toccare il braccio, è sublime, da pittore del tennis, da artista dei campi, se lo sfioro divento fortissimo anche io..." e ridiamo di gusto davanti a chi, un po' sconcertato, assiste alla scenetta".

QUEL TEEN AGER FENOMENALE - "D'altronde - prosegue Bertolucci, ormai superato ogni imbarazzo a trattare l'argomento - io ebbi la jella di battezzare in qualche modo quel ragazzino fenomenale: ero il capitano di Davis e l'Italia giocava con la Svizzera fuoricasa e indoor. Roger era all'esordio nella Svizzera e vinse due singolari su due. Sia Davide Sanguinetti che l'esperto Gianluca Pozzi nulla poterono contro quel giovanotto che sprizzava classe da tutti i pori. Per la serie: nascita di un fenomeno. Perché per me, sia chiaro, sta una buona spanna sopra a tutti. Sì, poi c'è Rafael Nadal, un campione anche lui. Ma Roger è di un altro pianeta. Anche e soprattutto rispetto ai vari Andy Murray, Novak Dijokovic, Juan Martin Del Potro e compagnia bella. Magico".

L'AMICO ADRIANO - Anche Adriano Panatta la pensa come Bertolucci. "Già, Adriano, l'amico di una vita. Siamo cresciuti assieme, quando lo conobbi a Cesenatico avevo 11 anni e lui 12 e mi stava davvero poco simpatico con quell'aria da fighetto. Poi dividemmo la camera assieme a Formia, quindi prendemmo un appartamento in comune a Roma, fui pure il testimone del suo matrimonio e in campo ne abbiamo vissute davvero tante. Della Davis e dellemagliette rosse per contestare il regime di Pinochet nella finale in Cile si sa già tutto, ma se apro il libro dei ricordi non la smetto più".

QUEL "BURINO" DI BORG - Braccio d'oro si stoppa: "Ma io non vivo di ricordi, come Adriano non ho conservato nulla: ne coppe, nè magliette e le racchette le ho regalate tutte": Faccia una eccezione, "Bertola"...."Beh, era un'altra epoca e tra di noi si scherzava spesso. Ricordo la prima volta che Bjorn Borg venne a Milano. Si presentò con degli zoccoli svedesi orrendi, una magliettina Fila che chissà da quanti giorni aveva addosso e dei jeans usurati. Andammo a prenderlo con Adriano, c'erano le sfilate a Milano, le modelle e il bel mondo, sbottai: "Aò, ma non possiamo andà in giro cò sto burino, sai che figura!": Adriano ebbe un'idea:"Portiamolo a fare shopping". Lo vestimmo da capo a piedi e il buon Bjorn non fiatò, quasi intimorito. Quante gliene facevamo al numero uno del mondo: una sera lo piantammo in autostrada mentre dalla Germania andavamo in Austria per un torneo. Mi accordai con Adriano per inscenare un finto litigio: "Adrià che palle sto svedese non parla mai, molliamolo qui": E lui, prontissimo: "Sì basta, fallo scendere": E Bjorn scese! Lo raccattammo un quarto d'ora dopo mentre, sconsolato, si stava incamminando per non so dove. Ancora oggi questi "vecchiacci" li incontro negli Slam e ci ammazziamo di risate con lui, Guillermo Vilas, John McEnroe, Jimmy Connors. Peccato non ci sia Adriano ma la mia amicizia con lui è di ferro e non dipende da quanto ci frequentiamo: esiste ed esisterà sempre".

ASHE, MOTTRAM, GIMENO - Quei nomi richiamano il suo tennis: la sconfitta più bruciante? "Maledizione, con l'inglese Buster Mottram al terzo turno di Parigi, giocavo da Dio, venivo dal trionfo di Amburgo e davanti a me si stava aprendo un tabellone interessantissimo. Poteva essere il mio miglior Roland Garros e che combino? Gli rifilo un sei a zero nel primo set e invece di continuare a giocare comincio a guardarmi allo specchio. Distrazione fatale, perdo al quarto e addio". La vittoria più bella? "Due, Coppa Davis a parte: un successo su Artur Ashe negli ottavi di un altro Parigi e la mia prima grande affermazione su un top player: lo spagnolo Gimeno. Lo sconfissi a Roma e due settimane dopo lui andò a vincere il Roland Garros... capii che tra i grandi potevo starci anche io".
GERULAITIS E MCENROE SI INCHINARONO - Era l'Italia delle racchette vincenti. "Il torneo più importante che ho portato a casa in singolare è stato senz'altro Amburgo dove in finale superai l'asso spagnolo Manolo Orantes. In doppio ricordo con piacere il trionfo a Montecarlo, con Adriano: per capirci, dall'altra parte della rete c'erano "soltanto" gli americani Vitas Gerulaitis e John McEnroe, il meglio del meglio, non so se mi spiego".

GLI ALTRI MOSCHETTIERI - Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, quasi uno scioglilingua delle vittorie con la racchetta targate Italia. Capita che vi vediate ancora? "Poco o nulla. Ma, come ho detto, con Adriano non è un problema, saremo sempre legati. Tonino Zugarelli, invece, è sempre stato, per carattere, un tipo schivo e piuttosto solitario, so che insegna tennis, è una persona perbene che ama stare per i fatti suoi. Barazzutti? Con un po' di amarezza ricordo che quando mi fecero capitano di Davis lui commentò: "Paolo lo ha fatto solo per i soldi". Ci sono rimasto male, da lui non me lo aspettavo e no, non abbiamo rapporti con "Barazza", direi zero rapporti".

ITALIA ANNO ZERO - Come Panatta anche Bertolucci oggi è lontano dalla Federazione. Storie diverse, finali identici. "Lasciamo perdere, di polemiche se ne sono fatte anche troppo e io oggi sto benissimo", taglia corto Paolo. Che accetta però di analizzare questi pesantissimi e lunghissimi anni bui del tennis italiano: "E' triste e temo che, se non nasce un fenomeno dal nulla, sarà triste ancora a lungo. Le ragioni? Eccole: il tennis si gioca soprattutto all'estero e gli italiani soffrono la lontananza, sono dei provinciali, si adattano alle condizioni, alla lingua e all'alimentazione peggio, molto peggio degli altri. E ancora: gli italiani non sanno investire su loro stessi. Un giocatore straniero con i primi soldi che guadagna si costruisce un suo team: coach, fisioterapista e preparatore atletico. Spende per migliorarsi. I nostri, invece, si "sparano" subito il macchinone o lo yatch o la villona e risparmiano su figure ormai fondamentali per la crescita. Mi spiace, sono pessimista: nel tennis siamo indietro come in altri campi dello sport e non solo. Oh, naturalmente sarei felicissimo di sbagliarmi". Ma oggi braccio d'oro Bertolucci come ci starebbe in campo in questo tennis muscolare e anche un po' monotono? "Mah, oggi è cambiato tutto: le racchette, le palle, l'abbigliamento, la metodologia d'allenamento, si colpisce con estrema violenza e io ero uno molto tecnico... sinceramente, non credo che oggi mi sarei trovato molto bene": Modesto. "Un momento, un momento: però mi sarei divertito a fare impazzire per qualche game questi giovani giganti magari con qualche smorzata e qualche pallonetto liftato, un taglio qua e un taglio lì. Te li immagini le loro espressioni davanti a certe giocate di fino?".

L'articolo su Repubblica (08 aprile 2010)

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Giovanni Marino, La Repubblica