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10/05/2010 15:29 CEST - International Press Clippings

Intervista a Michael Chang - Alex Kay,Mailonline

Traduzione di Giulia Vai

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Parlaci del tuo ritorno al tennis nel Champions Tour.
Ho iniziato e poi mi sono fermato. Il mio primo torneo fu a Naples (Florida) nel 2005, quindi un paio d’anni da quando avevo smesso dal circuito principale. Ma mi sono infortunato durante il secondo incontro, che mi ha costretto fuori per 15 mesi e poi volevo veramente aiutare i cinesi ad essere pronti per i Giochi Olimpici. Questa è sempre stata una mia passione. Ero eccitato per la squadra cinese e per quanto sia migliorata, volevo che facessero bene. Per me il ritorno è stato, penso, come per molti altri. Vedi tanto bel tennis in tv, ti rendi conto che hai passato buona parte della tua vita a battagliare sui campi in giro per il mondo e capisci quanto ti sia mancato lo spirito competitivo. Ovviamente le partite sono ancora molto competitive sul Senior Tour ma sono molto più rilassati del tour principale. È divertente.


Chi nel gioco di oggi ti assomiglia di più?
È un po’ difficile oggigiorno perché la maggior parte dei giocatori sono grossi. Penso che sarebbe qualcuno come un Nadal o un Davydenko per la loro dimensione e la tendenza a giocare un po’ più da dietro e a colpire la palla presto, e recuperare molte palle. Ma non se ne vedono più molti con questo stile. Ora un sacco di ragazzi grandi e grossi servono delle bombe di servizio e utilizzano un gioco di potenza. Ci sono giocatori alti come Isner e Querrey, quindi il gioco è cambiato. Penso che in generale sia molto più importante l’aspetto fisico rispetto ai miei giorni. Sono più alti e forti, colpiscono la palla più forte. Ma penso che anche la tecnologia delle racchette e delle corde abbia contribuito di molto. Sul Senior Tour gioco contro giocatori contro cui giocavo negli anni ‘90 e ora servono molti più ace.


Il tuo credo religioso ha mai influito sulla tua carriera?
La mia fede cristiana mi ha aiutato veramente ad avere una diversa prospettiva durante gli anni sul circuito. In verità sono diventato cristiano il mio primo anno nel Tour – nel 1988 – quindi prima dei soldi, prima dei French Open del 1989, prima della notorietà, ho conosciuto il Signore. Penso che grazie a questo mi sia fatto delle domande sul perché mi sia stato dato questo talento. Penso sia molto facile stare lì solo per ragioni egoistiche, e dire ‘vado e cercherò di ottenere quello che voglio’ e tenere tutto per te. Sento che la ragione del mio talento era di permettermi di avere una piattaforma (da cui agire, ndt). Ovviamente volevo fare del mio meglio ogni settimana, ma se potevo incoraggiare un giovane o mantenere qualcuno o spendere una parola gentile o usare il tennis per toccare e raggiungere le persone, per me questo valeva molto di più di tutti i trofei, la notorietà e i soldi. Tutte queste cose, non te le puoi portare nell’aldilà, ma quando tocchi qualcuno, lo influenzi per il resto della sua vita e si spera oltre. Anche oggi quello che noi facciamo attraverso la Chang Family Foundation è un trampolino per quello che abbiamo fatto sul tour principale – cercare di avere un impatto sulle persone attraverso lo sport.


Può il tennis americano avere ancora il successo dei giorni tuoi, di Pete Sampras, Andre Agassi, Jim Courier e Todd Martin?
Penso sia difficile. Dopo la generazione McEnroe-Connors, prima che noi arrivassimo, la domanda era “cosa è successo al tennis americano?”. Andre era già professionista ma non ha fatto molto fino a che lo siamo diventati anche noi ma penso che la nostra generazione sia stata speciale perché siamo cresciuti allenandoci insieme. La prima volta che ho giocato contro Pete avevo 8 anni. Ho giocato contro Andre quando avevo 10 anni, e probabilmente ho giocato contro Jim la prima volta quando avevo 12 o 13 anni, quindi siamo cresciuti sfidandoci l’uno l’altro, spingendoci a raggiungere un livello ulteriore. Quando siamo diventati professionisti, è diventato tutto un “Oh, ha fatto quello? Caspita. Be, se l’ho battuto perché non lo posso farlo anch’io?”. Ci nutrivamo l’uno l’altro. Quindi penso che sia ingiusto paragonarci a questa generazione e chiedersi perché non possano raggiungere lo stesso livello, perché la nostra generazione era speciale. Non penso che ce ne sia mai stata una nella storia del tennis maschile americano. È un esempio difficile da seguire e il tennis americano non è dove era abituato ad essere. Gli europei ce lo stanno rendendo molto complicato.


Che consigli daresti ai giovani giocatori come Laura Robson?
Gli juniores con cui ho lavorato erano molto timidi. Penso che lo sia stato anch’io ma quando arrivai all’inizio sul circuito cercai di approfittare delle opportunità per tirare due colpi con alcuni dei migliori giocatori e per fargli domande. Mi ricordo di essere stato a Tokyo con Stefan Edberg, all’epoca n.1. Prendevamo l’autobus per andare al torneo e Stefan stava seduto per i fatti suoi così un giorno mi sedetti vicino a lui. Era un viaggio di mezz’ora o 45 minuti fino al torneo e ebbi l’occasione di parlargli. Penso che una delle mie domande fu “Come ci si sente ad essere numero 1?”. È stata una grande opportunità imparare dai migliori. Un consiglio che darei ai giovani giocatori è di andare piano nel passaggio al circuito principale perché non è sempre facile. È importante vincere delle partite a livelli più bassi – Futures e Challengers. Abbiamo visto giocatori in passato che hanno fatto bene da juniores e poi, per colpa dei loro agenti o di chiunque li abbia lanciati nei tornei maggiori, perdere ogni settimana ed è dura su di loro mentalmente. È una situazione delicata.

Infine, cosa deve fare Andy Murray per vincere un titolo del Grande Slam?
L’ho visto giocare contro Federer e ho visto che il modo in cui ha giocato nei turni precedenti è diverso dal modo in cui ha giocato in semi e in finale. Alcuni colpi erano un po’ differenti e mi chiedo se abbia pensato “Ehi, sono in una finale del Grande Slam ora e devo fare qualcosa di più”. È pericoloso perché se lo fai, inizi a giocare fuori dalla tua zona di sicurezza. Andy deve guardare a come ha battuto questi giocatori in precedenza e proseguire con quel piano, con il suo modo di giocare a tennis. Perché questo è il modo di battere questi giocatori – facendoli giocare un tipo di tennis che non vogliono giocare. Andy ha già battuto i migliori giocatori al mondo, lo sa come si fa e penso che debba essere semplicemente testardo e dire “guarda, io giocherò il mio tennis. Se il mio avversario mi batterà, allora vuol dire che lui è troppo forte”. Quando l’ho guardato in finale contro Federer mi sembrava che Andy non fosse aggressivo. Quando provava a colpire un colpo in modo aggressivo, andava sempre indietro con il corpo, che non è tipico del suo gioco. Normalmente quando guardo Andy, è il suo avversario che sente la pressione e prova a far succedere qualcosa. È difficile vincere il primo titolo dello Slam ma imparerà dalle sue finali e semifinali precedenti. Se sarà testardo, avrà molte opportunità.
 

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12 Maggio 1984

Ivan Lendl straccia Jimmy Connors 6-0 6-0 - la peggior sconfitta di Connors in carriera - nella semifinale del torneo WCT di Forest Hills. "Sono un po' arrabbiato, non personalmente, con Jimmy perchè mi ha battuto due volte all'US Open" dichiarò Lendl dopo il match. "Ero lì, colpivo la palla ma lui non sbagliava mica tanto." disse Connors, il quale nel 52 minuti di incontro commise 26 errori, vinse solo 16 punti raggiungendo la palla game in 2 sole occasioni.

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker