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06/06/2010 14:18 CEST - Rassegna stampa del 6-6-2010

Il trionfo della Schiavone (Martucci, Tommasi, Torromeo, Valesio, Clerici, Piccardi, Semeraro, De Martino, Lombardo)

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A cura di Alberto Giorni

E’ tutto vero (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport del 6-6-2010)

Grazie, Francesca. Anzi, «Schiavo», come ti chiamano gli amici del condominio Monte Amiata e della carriera da girovaga, accorciando quel lunghissimo Schiavone, e che sono sbarcati al Roland Garros gridando da trentadue T-shirt nere: «SCHIAVO, Nothing is impossible (niente è impossibile)». Grazie, perché hai vinto il primo Slam di sempre di un’azzurra, ma hai soprattutto rilanciato il tennis e il nostro sport tutto. Con quel sorriso aperto, quelle reazioni sanguigne e quell’essere italiani che conquista i 15mila del Philippe Chatrier.
Grazie, Francesca. Perché vieni dalla gente e torni alla gente. Perché commuovi l’immigrato vip Sergio Cremona e l’amico di Macerata Luigi Maria Formica, la collega italiana, Tathiana Garbin (che è tornata apposta a Parigi), la regina di 18 Slam, Martina Navratilova (con la lacrimuccia: «Francesca è passione») e l’ex collega, Laura Dell’Angelo («Ci conosciamo da under 12»), l’amico jesino Gianluca («Con quello sguardo non poteva perdere»), la manager veronese Federica Ruzzenente («Lo voleva troppo, era il suo sogno»), gli amici parigini Marco, Licia, Benj, Aurelie, Monica. E poi ancora, in ordine sparso, la mamma del povero Federico Luzzi, i coetanei milanesi Simone, Matteo, Fabri, «Bongio», il fratello minore, Gabriele, lo staff federale Barazzutti, Parra, Barsacchi, Tosello, Ceccarelli. Gente di varie età e regioni che si è chiamata a raccolta ed è arrivata in auto e in aereo, spinta dal cuore. Risposta Grazie, Francesca. Perché ci riunisci e ci rendi fieri di essere italiani, quando sentiamo l’inno, ma anche prima, quando vai in campo saltellando come il tuo idolo Rafa (Nadal) e ci ricordi che il tennis non è solo fisico e non è mai equazione. Perciò è straordinario e appassionante, e consente a tutti, proprio a tutti, di esprimersi. E perciò non vince la favorita, Samantha Stosur, che sprizza muscoli da tutti i pori, e ha messo in fila le numero uno del mondo Henin e Serena Williams, e anche la volpe Jankovic. Nel tennis, c’è sempre un ma. Vero, Francesca? «Ho scelto di essere aggressiva. Se uno ha un bel servizio e gli rispondi, lui perde fiducia e allora le possibilità tornano 50 e 50, e fa molta più fatica. Se non rispondi, ti viene sopra». Henin E così, sulla graticola a 32 gradi del centrale, l’australiana vestita da triathleta parte a razzo per spaccare il mondo. Ma, dopo 10 minuti, è ingarbugliata dalla varietà di Francesca: «Avevo detto che avrebbe vinto la più intelligente, cioè io, ho giocato una palla lunga e una corta, un sul rovescio e una sul dritto». Sam rallenta, s’impaurisce, non comanda di dritto, non risponde di rovescio, e perde il suo tempo, soffocata dalle traiettorie alte e dai contropiede. Smarrita, cede il break del 5-4 con tre errori (e il primo doppio fallo). E poi, quasi paralizzata, molla il set, dopo 40 minuti. Chi se non Henin e Schiavone tiene così bene la diagonale di rovescio con una sola mano e poi va a rete a chiudere la volée, chi ha smorzate e lob, slice e top spin, chi corre così bene e dimostra tanta umiltà e sagacia tattica? Grazie, Francesca. Perché nel tuo spot sul tennis e sulle straordinarie donne dello sport italiano, ci fai vivere una situazione classica: partita in pugno, un errore del giudice di linea, due palle break (sull’1-1, 15-40 Stosur), un piccolo calo di intensità e l’avversaria scappa a sorpresa 4-1 riaprendo il match. Dall’anima della Schiavo sale lo spirito battagliero: «E’ una delle qualità che hai dentro, perciò è sempre importante lottare in campo e in qualsiasi cosa fai». Dall’anima di Samantha, la ragazza della Gold Coast che è risalita da una grave malattia (Lyme), spunta il terrore di deludere la famiglia venuta dall’Australia. E, appena Leonessa-Francesca ruggisce, è 4-4 nei numeri, ma molto di più nell’inerzia della partita. Il tie-break, in realtà, non esiste. Alla prima spallata, dopo l’ennesima risposta e il recupero vincente a rete, il 3-2 è in un amen 6-2, e quindi 4 match point, e l’errore decisivo di un rovescio sempre più debole della Stosur. Dopo un’ora 38 minuti, alle 15.53 di un sabato storico, Francesca crolla al suolo, bacia ancora la sacra terra del Roland Garros, unisce le mani chiedendosi («Ma come ho fatto?»), proclama al microfono in campo: «Ora che ho vinto qui mi sento una vera campionessa» (…)

 

Ha perso un solo set, che classe (Rino Tommasi, La Gazzetta dello Sport del 6-6-2010)

La vittoria del 1976 di Adriano Panatta al Roland Garros è stata una grande vittoria, ma nessuno la considerò una sorpresa dopo che aveva sconfitto nei quarti Borg. Gli avversari successivi, Dibbs in semifinale e Solomon in finale, Adriano li ha affrontati da favorito. A suo modo anche la vittoria su Borg non è stata clamorosa: il campione svedese ha giocato otto volte questo torneo, lo ha vinto in sei occasioni e le uniche sconfitte le ha subite proprio contro Adriano. Anche le vittorie di Pietrangeli non sono state un regalo inatteso se si pensa che ha giocato qui ben quattro finali. Infine quando Pietrangeli ha vinto era la terza e la sesta testa di serie, Panatta la numero 5. Rispetto a quei trionfi questo di Francesca Schiavone, numero 17, è un evento sul quale nessuno, alla vigilia, avrebbe scommesso ma che, turno dopo turno, è diventato via, via meno impossibile. E' interessante notare come la Schiavone abbia perso, contro la russa Kulikova, il primo set dell'incontro di primo turno, dopo di che, anche se aumentava il valore delle avversarie, non si è più fermata ed ha infilato 13 set consecutivi. C'è chi sostiene — ed è possibile — che la Dementieva fosse infortunata e che la Wozniacki e la Stosur non abbiamo giocato al meglio. Ma insito: la miglior qualità della Schiavone è di far giocare male le avversarie. Ricordo però che, soprattutto in finale, Francesca non ha sbagliato una sola scelta. Non occorre essere fuoriclasse per avere classe e Francesca ne ha avuta tanta. Brava davvero.

 

Parigi è tua! (Dario Torromeo, Il Corriere dello Sport del 6-6-2010)

Questa piccola donna ci ha sempre regalato emozioni. Stavolta però ha esagerato. Francesca Schiavone è andata a vincere il Roland Garros. Ogni anno veniva il tempo del torneo parigino e dopo una settimana avevamo già smesso di parlare dei nostri eroi del tennis. Poi, è arrivata lei. La bambina che a sei anni andava a raschiare il ghiaccio con papà Franco, sui campi di cemento dell'Accademia Inter per poi giocare i suoi primi colpi, ieri ha fatto quello che aveva sempre sognato. Ha sporcato di rosso il suo completo bianco, ha mischiato terra e sudore. Poi, si è sdraiata sul Centrale ed ha baciato la superficie che le aveva provocato una gioia così forte da farle male. Ha vinto il Roland Garros, continuiamo a ripeterlo, quasi volessimo convincerci che non si stia sognando. Francy, come l'ha chiamata Samantha Stosur, ha distrutto la sua rivale. Le ha tolto respiro, spazio, possibilità di esprimersi. L'ha aggredita, giocando solidamente, servendo assai bene e rispondendo meglio. Negli ultimi 34 anni ci eravamo aggrappati al ricordo di Adriano Panatta, quello di Nicola Pietrangeli era ancora più lontano. Ora eccolo qui, davanti a noi, il genietto che studia una tattica perfetta ed è poi capace di realizzarla. Nella testa di Francesca c'era da una vita l'idea del Roland Garros, ma per tanto tempo era rimasto un sogno. Qualcosa su cui fantasticare, senza mai andarci neppure vicino. In una calda domenica di giugno, anno di grazia 2010, tutto è improvvisamente cambiato. La sua e la nostra (in senso di tennis italiano) storia. Due settimane da favola, una finale perfetta. Ha giocato a rete con la classe di una campionessa autentica, rispedendo al mittente i dubbi che l'hanno accompagnata anche in questa cavalcata trionfale. Ha vinto con un punteggio che, a nostro avviso, regala qualcosa alla Stosur, australiana dal dritto devastante e dal servizio pesante. Ma anche una ragazza che ha perso la partita a scacchi giocata contro una che anziché difendersi è andata da attaccarla. Spara il suo fantastico rovescio a una mano Francesca. Fermiamoci un attimo qui. Il popolo delle bimani rappresenta quasi il 90% del tennis femminile. Le altre sono un ristretto gruppo di artiste che praticano un gesto nobile, affascinante. Quel rovescio di Francesca è arrivato messaggero di sventura dall'altra parte del campo. Samantha ha provato a difendersi. Ma ormai barcollava, sotto nel gioco e nella testa. Quattro match point nelle mani dell'italiana. a steccato, l'australiana. Pallina in cielo, Schiavone distesa sulla terra rossa del Centrale. Bacia la terra, poi vola in tribuna. Abbraccia amici, parenti, dirigenti, il coach Corrado Barazzutti. Prende in braccio Riccardo, il bel ragazzino biondo figlio di Federica Ruzzenente (la sua manager). Tutti attorno a lei piangono, soltanto Francesca continua a ridere. Un sorriso che si allarga, le riempie il volto del sentimenti che più di tutti sente in quel momento. E' felice. Le passano un telefonino, dall'altra parte c'è Giorgio Napolitano, il Presidente della Repubblica. Complimenti, lei fa onore all'Italia. Poi, un’altra telefonata. E' Adriano Panatta. Brava, sei stata grande. Tutti vogliono abbracciarla. Urlano di gioia le migliaia di italiani che hanno riempito il Centrale. In questo sport non siamo abituati ad essere felici. La premia Mary Pierce. Le fanno i complimenti John McEnroe e Martina Navratilova. Il presidente Binaghi ci chiede se sia proprio vero che abbiamo vinto il Roland Garros o se invece il torneo non cominci domenica prossima. Mamma Luiscita a Milano comincia a preparare le torte, specialità della casa. Francesca bacia i genitori in diretta mondiale. «Mamma, papà, vi amo», sussurra al microfono sul Centrale. C'è aria di festa attorno a lei, mentre Samantha Stosur resta sola e col capo chino seduta sulla panchina dove ha coltivato un sogno finito male. Forse non si aspettava una guerriera capace di atterrare l'amazzone che lei è. Ma la partita perfetta della Schiavo non poteva che avere questo risultato. Nessuna scelta sbagliata. Ha indovinato tutti i tempi di attacco, a rete non ha mai fallito. E un palo di volée erano davvero roba complicata. Ha superato anche la zona nervi, quando è andata a incattivirsi per una decisione sbagliata del giudice di linea e dell'arbitro. Si mette le mani sul viso la Schiavo, poi le mostra al pubblico. Ripete due, tre, dieci volte: «Ma cosa ho fatto? Cosa ho fatto?» (…)

 

Ha rovesciato il tennis dei robot (Piero Valesio, Tuttosport del 6-6-2010)

Allora si può. Non è vero che i sogni muoiono all'alba (…) Per l'Italia sportiva e non solo, la vittoria della Schiavone a Parigi è un urlo di speranza. Un urlo lanciato verso il mondo da una ragazza milanese nata in quartiere periferico cui volevano imporre a tutti i costi il rovescio a due mani e lei che piangendo rispondeva: non se ne parla, io lo gioco così, a una mano. Con la mamma insegnante e il papà tranviere: una normale famiglia italiana che quando scopre di avere una figlia con un talento dice alla figlia: tu tira fuori tutto quello che hai, noi ti aiutiamo, finché potremo. Nessuna accademia oltreoceano, nessun Bollettieri che arriva e dice: questa ragazzina la aggiusto io, C'è solo il circolo a qualche fermata di metro da casa la vita di tutti i giorni da portare avanti. Con quel rovescio a una mano sola che diventerà il marchio di fabbrica di Francesca, il mezzo attraverso cui l'arte tennistica si trasforma in palle lunghe e corte, mosce e potenti. Le grandi speranze e le grandi avventure nascono dalla semplicità. Ed è da quella semplicità che la mente (oltre al braccio e alle gambe) ha preso a crescere, crescere, crescere. Fino a portarla all'apoteosi di ieri, all’ncontro perfetto che arriva alla soglia dei trent'anni, al successo di Parigi che è già diventato in manifesto per tutti quelli che non vogliono arrendersi al plutonico (nel senso del buio) spirito dei tempi e non vogliono smettere di sperare. L'incontro perfetto, si diceva. Condotto con una gestione perfetta. Mente e braccio e gambe che lavorano all'unisono e che diventano una macchina letale. Tanto per sgombrare il campo dai dubbi ieri tale macchina avrebbe triturato la sua avversaria anche in luogo di Samantha Stosur si fosse chiamata Samantha Williams. Ha intimorito l'australiana servendo meglio di lei che col servizio bomba fonda soprattutto psicologicamente il suo gioco; ha risposto bene e sempre meglio più l’incontro scivolava via. L’ha fatta impazzire di variazioni, ha ottenuto il 100% dei punti scendendo a rete e c'è scesa parecchio. Nel secondo set era sotto 1-4, è rientrata in campo, ha tenuto il suo servizio a zero e ha ottenuto subite il controbreak E' arrivata al jeu decisif, come dicono qui, e quel punto non avrebbe più perso manco contro Lendl (…)

 

Unica Schiavone (Gianni Clerici, la Repubblica del 6-6-2010)

Non speravo mi accadesse un'ultima volta di assistere alla vittoria di un italiano al Roland Garros. E subito mi correggo, e cambio la vocale, per scrivere italiana. Infatti, dai tempi di Panatta, mai abbiamo avuto un ometto che fosse in grado di superare le semi, massimo traguardo raggiungibile o meglio, ahinoi, immaginabile. Ma, con tutto il rispetto per la creatività delle nostre donnine, si chiamino Schiavone o Pennetta, non sarei mai riuscito a immaginare una vicenda simile, che mi permetter di definire onirica. Già era stato rocambolesco il cammino dell'eroina attraverso la giungla del torneo, che mi par giusto rimemorare. La russa Kulikova, n. 70. La Ferguson, una qualificata australiana vedi il destino. La cinesina Li Na, n. 11 e qui si inizia con chi ilcomputer riteneva migliore di Francesca. Miss Russia, Kirilenko, n. 30, seguita da una vittoria inattesa almeno per lo Scriba contro la terza del mondo, la Wozniacki. Infine la Dementieva, sia pure infortunatella, n. 5. Ed eccoci a oggi, contro chi era stata capace di sottomettere nientemeno che Serena, quella che i match dei Grand Slam sa come vincerli. Nell'eccesso di dichiarazioni, vere o inventate, che i raccoglitori di sospiri attribuivano a Francesca, una mi aveva particolarmente interessato: «Di noi due, quella che giocherà più rilassata, meno tesa, avrà maggiori possibilità». Mi aveva colpita, l'affermazione, proprio perché chiacchierando a proposito della Stosur, all'inizio del torneo, il più vecchio e saggio dei giornalisti australiani, Alan Trengove, mi aveva detto: «Sulla destra, servizio e diritto, vale il Numero Uno mondiale. Ma può andare in confusione sul rovescio, se diventa tesa. E un colpo costruito, e come tale rischia di franare». Ne sapeva certamente più di me, il vecchio amico. E non mi pare di essere fazioso sinonimo di tifoso nel confessare che contavo che proprio quell'arco portante del gioco si incrinasse, sotto le variatissime rotazioni di palla della Schiavo, una dei soprannomi della nostra eroina. Perché questo riuscisse, era indispensabile giocare con scioltezza, addirittura con la fluidità muscolare tipica non certo di una finale, ma di un match normale. Il grande merito di Francesca è stato proprio questo, quasi delle finali Slam fosse d'un tratto divenuta una veterana, e non una tarda esordiente. Dall'altra parte, la tensione dell'australiana era tale da spingerla ad errori incredibili, sempre a sinistra: e non solo sulle alterne angolazioni dell'italiana, ma su controcorte elementari, o addirittura volée apparentemente finite. L'emozione per la vicenda mi avrà certo spinto a inesattezze contabili, ma, dei ventotto errori gratuiti della povera Stosur, sono giunto a contarne addirittura ventuno dal lato sinistro: una autentico caso di braccino, come diciamo in gergo. Per contro Francesca ha controllato con ammirevole istinto il suo gioco, senza mai cessare di variarlo, dal dirittoni arrotati al cross di rovescio tagliati sino alle sicurissime volée e addirittura al drop-shot. Una varietà che ha rischiato di smarrire soltanto nella prima parte del secondo set, con un parziale di un game a quattro e, quel che pareva non meno pericoloso, dieci punti a venti. Ma la sua rimonta non sarebbe tardata, sino a consentirle di dominare il decisivo tiebreak con un nettissimo sette punti a due (…)

 

Schiavone la regina (Gaia Piccardi, Corriere della Sera del 6-6-2010)

Impressa sulla terra rossa del Roland Garros, alla fine, resta l’impronta incandescente e morbida delle labbra di Francesca Schiavone, souvenir d’Italie.
Sul campo spazzato come tempeste da Nicola Pietrangeli (’59 e ’60) e Adriano Panatta (’76), un sabato di giugno che non dimenticheremo facilmente lascia la sua firma operaia ed elegante, maschia e raffinata, piccolo borghese ed altissima la tennista che in due set (6-4, 7-6) rivoluziona la storia dello sport e le nostre emozioni, mai avremmo immaginato che quello che sembrava un terzo turno, Schiavone-Stosur, potesse evolversi in una finale Slam nella città abituata alle rivoluzioni. Francesca è la nostra prima donna in ogni senso: la prima a conquistare Parigi, la prima a mettersi in tasca un Grande Slam, la prima a salire lassù dove volano solo le aquile e le sorellone Williams. Da oggi sarà numero 6 del mondo. Meglio di tutte le altre donne. E di molti uomini, incluso Corrado Barazzutti, n. 7 nell’agosto ’78, il maestro superato dall’allieva, anzi dall’«artista» come si definisce la Schiavo che oggi che, con quella bocca che ha assaggiato il destino, può dire ciò che vuole.
È una bella finale, con pochi muscoli, molto spin, deliziosi attacchi in back in controtempo (Francesca), servizi che sfiorano i 200 all’ora (Samantha), la Schiavo è nata per giocare a tennis, ha preparato questo match come una partita a scacchi e sa che deve aggrapparsi alla prima (percentuali altissime: 75% nel primo set, 77% nel secondo), è quella la pietra angolare su cui edificare i ricami; l’arma, unita a un’efficace risposta, con cui disinnescare l’aggressività dell’australiana, a cui, cangura de noantri, spesso Francesca ricorda come si vollea, e chiude, a rete (5/5 e 9/10 punti vincenti). La Stosur annulla due palle break sul 4-4, snodo decisivo, però, zavorrata dalla paura, regala un doppio fallo che vale il 5-4 e poi il 6-4 (in 40’) alla Schiavone, sempre lucida, fredda, strategica, mai una palla a caso, mai un colpo uguale all’altro, e poi quel rovescio intelligentissimo, lei che da bambina si era rifiutata di impararlo a due mani, mandato a scardinare certezze su quello della Stosur, per aprirsi il campo a incursioni di dritto.
Nemmeno quando la percentuale di prime palle cala, annacquata da una fisiologica stanchezza, e quando l’australiana vola 4-1 nel secondo, la Schiavo dà l’impressione di perdere di vista il match. Risale certosina, punto su punto, con quella tigna lumbarda con cui ha convinto il mondo di essere una campionessa, e non solo una brava figlia capace di giocare con leggiadria, agguanta la Stosur sul 4-4, succhiandole le ultime energie mentali («L’ho portata a non crederci più»), tiene il servizio con autorevolezza (ace, ace, servizio e dritto vincente!) per il 5-5, allunga il set al tie break, la terra promessa che si era raccontata sin da piccola, con i poster di Agassi e della Seles sul muro della cameretta, quando mamma Luiscita le chiedeva ma tu Franci cosa vuoi fare da grande?, e lei rispondeva impunita, con quel sorriso che ha conquistato Parigi: «La campionessa del Roland Garros» (…)

 

Terra! (Stefano Semeraro, La Stampa del 6-6-2010)

Francesca Schiavone era già qua, da sempre. Su questo campo, dentro questa vittoria immensa. Doveva solo ripulirai, togliersi da dosso il materiale superfluo. Le scorie dei sogni. «Avete presente Michelangelo quando scelse il blocco di pietra dove scolpire il Mosè?», racconta dietro gli occhialini Giovanni Parmigiani, lo psicologo che lavora con lei dal 1999, e che adesso si trova come tutti buttato dentro una gioia quasi irreale : nella players lounge del Roland Garros bagnata dì urla, lacrime e di tempo, la gioia della prima vittoria femminile in uno Slam del nostro tennis, la prima in assoluto da quella di Panatta nel 1976, che accadde sempre qui, nel nostro Eldorado, nell'approdo fatato del nostro tennis. C’è capitan Barazzutti, mistico ed esausto, quasi svuotato, ci sono i 40 tifosi arrivati da Milano, da Verona, da tutta Italia, con addosso la maglietta «Schiavo, - nothing is impossible», ideata e stampata ieri in tre ore dalla tifosa designer Cecilia Al telefono c'è papà Schiavone («Quando mia figlia è sul ciglio del burrone, sa come salvarsi») e c’è il presidente Napolitano che si congratula («con me, capi-te?»), c'è Adriano Panatta commosso che le ripete «la stessa frase che mi disse Arthur Ashe a Wimbledon dopo la mia vittoria a Parigi: benvenuta nel club». Samantha Stosur, la Braccio-di-Ferro australiana, è finita al tappeto in due set, 6-4 7-6, stordita dalla partita perfetta infilata dentro il torneo perfetto di Francesca, la Schiavo, che da oggi è numero 6 del mondo, campionessa del Roland Garros, e dirlo così tanti anni dopo Panatta, mentre sul Centrale suona l'inno di Mameli, mette addosso un brivido che non sai. Creatività contro creatina, fatica contro vitamine. E il trionfo di quella cosa italiana che è arte e lavoro, che si produce con il genio armato di muscoli e scalpello. Pensare con il corpo, fino a quando l'anima è sudata. Le braccia alzate, il volto magro, sporco di argilla, della ragazza che cammina sul mondo e bacia la terra con un gesto quasi sacro, sono fratelli è nipoti dei polpacci di Bartali, della grinta di Gentile, dell'urlo di Tardeli, degli sprint rabbiosi e matematici di Pietro Mennea; Pietruzzo era la Freccia del Sud che batteva gli americani dopo essersi consumato i giorni e l'anima sulle tabelle del professor Vittori. Francesca è figlia di un ferroviere che dal Sud, da Avellino, su quella freccia metallica e sferragliante è arrivato a Milano. Panatta era figlio di Ascenzio, custode del Parioli: la classe lavoratrice, sempre quella, e nei figli la classe e basta, senza più aggettivi, che serve a giocarsi. il match della vita al momento giusto. Che la Schiavo avesse talento lo sapevano tutti, da sempre. Lo sapeva e lo diceva già nove, dieci anni fa, quando buttata in uno spogliatoio dopo una sconfitta al sècondo turno giurava «un giorno vi stupirò, vincerò un torneo dello Slam». - Sopra il letto della sua cameretta di bambina in via Cilea c'era un poster «fatto a mosaico con le foto dei grandi campioni, Agassi, Sampras, McEnroe, la Navratilova. Ma in un angolino ci avevo messo anche una foto mia». Diventare se stessi, trasformarsi da sinopia ad affresco però non è roba semplice. Il talento non basta. Francesca per colorarsi come è oggi, rosso intenso come la terra di cui si ciba da una vita, ha dovuto emigrare anche lei: dal campi del quartiere Gallaratese, a Milano, a quelli vicino alla casa della nonna ma-terna, a Brescia. E poi a Roma, e poi a Verona, da Daniel Panajotti; gaucho pragmatico e cartesiano, e poi all'estero, in Spagna, insieme all'amica Pennetta ha dovuto perdere otto finali per imparare a vincerne una, la prima, piccola piccola, a Bad Gastein nel 2006 (…)

 

Francesca regina di Parigi (Marco De Martino, Il Messaggero del 6-6-2010)

Stiamo per scrivere l’articolo che un’intera generazione di giornalisti avrebbe voluto scrivere, finalmente, un giorno. Trentaquattro anni dopo Adriano Panatta, la bandiera italiana torna a sventolare sul Roland Garros, il Paradiso in terra dei tennisti, il luogo dove oggi si vola, si piange, ci si commuove, ci si abbraccia senza nemmeno capire bene tutto, increduli e stremati dalle emozioni che si sovrappongono. Per trentaquattro anni abbiamo aspettato un nuovo Panatta, invece alla fine ci siamo ritrovati una Schiavone, una tennista femmina tutta occhi spalancati e ossa sporgenti, più molto cuore, cervello e un pizzico di follia che ora, dopo una vita passata a correre, pedalare e spalare fatica, respira felicità dentro un giorno indimenticabile. Battuta la favorita e presunta bionica Samantha Stosur, australiana alfine asfaltata 6-4 e 7-6 con tie-break perfetto 7 punti a 2. Le pallate di Sammy rimbalzano sulla corazza del coraggio, la vittoria è troppo voluta, troppo cercata, troppo sognata, e infatti la Schiavone gioca la partita perfetta. In un pomeriggio si scorre sullo specchio del tempo e poi si salta nella Storia con un balzo, eccolo. Viviamo una festa pagana e interminabile da cui è impossibile scollarsi.
Campioni del Roland Garros. Davvero? L’ultima stecca in cielo di Samantha, ormai carica di angosce e di paradisi perduti, è l’attimo che libera il sortilegio del tennis italiano, mai più uno Slam, mai più qui, mai più noi, e mai nella vita una donna, una tennista. Ecco, dopo aver vissuto due settimane da Dio Francesca Schiavone si sdraia finalmente sul campo, si rotola sulla terra rossa, poi va ad abbracciare la rivale, poi unisce le mani e le muove veloce in verticale come a dire “ma che cosa ho fatto? eh? vi rendete conto?”. Il seguito è un’arrampicata sulla tribuna fino al suo clan, fino al tuffo nell’azzurro delle divise italiane, quindi ecco la premiazione con le manone pallide della francesotta Mary Pierce che le consegna la coppa Suzanne Lenglen. Francesca la stringe al cuore come farebbe Linus con la coperta, poi prende il microfono e certifica di essere completamente in bambola: «Non so che dire, non ho preparato nulla, forse perché quando prepari qualcosa non succede mai. Ringrazio tutti quelli che sono in Italia, tutti quelli che mi vogliono bene, tutti i tifosi che ho qui, ma dico, che faccia avete? é grazie a voi che sono quello che sono adesso». Pausa, lacrime: «E grazie a mamma e papà». Parole che escono e vanno a rimbalzare ovunque.
La Schiavone ha giocato una partita di straordinaria intensità, assoluta, dirompente, perfetta. Robocop Stosur ha iniziato in maniera devastante, otto prime palle di servizio e otto punti a zero nei primi due game, ingiocabile; ma Francesca è stata incollata alla rivale, le ha messo pressione addosso, ha allungato gli scambi, ha fatto il break nel nono game e in quaranta minuti ha vinto il primo set 6-4. Nella seconda partita ha avuto un calo ed è andata sotto 4-1, ma poi con la contraerea ha ripreso il match, pareggiato i conti 4-4 e poi si è rifugiata al tie-break dove ha dominato 7-2. Le armi del trionfo? Sicuramente il servizio, tanto per dire 9 ace in tutto il torneo e 8 in questa finale, pazzesco. Poi la velocità difesa-attacco, la tenuta “ai remi” ma anche i vertiginosi lift e i rovesci stretti che hanno spostato la Stosur per tutto il campo (…)

 

Francesca, il trionfo della perdente perfetta (Marco Lombardo, Il Giornale del 6-6-2010)

«Non mi piace promettere, perché poi questo ti mette pressione addosso. Io voglio vivere il presente». Francesca è questa, ti guarda negli occhi e prende una pausa prima di parlare, perché non vuole sbagliare nulla, neppure una parola. Francesca non sapeva come avrebbe festeggiato il suo trentesimo compleanno, cade giusto il 23 giugno, e anche farsi un regalo diventava un esercizio della mente, perché «anche la mente è un muscolo, e va allenato ogni giorno, con il dritto e il rovescio».
Ecco allora perché niente è impossibile, come recitavano le magliette della sua curva nel giorno in cui un’italiana fa diventare il Roland Garros terra rosa, tutto si può quando al talento ci si aggiunge il cervello. Anche farsi un regalo così. Per questo a Francesca non piace che la chiamino Leonessa, sembra solo forza bruta, c’è molto di più in un tennis - quello delle donne - di solito diviso tra le lolite e le Williams. Quando poi però si crea il vuoto bisogna approfittarne, e Francesca l’ha fatto, con intelligenza, costanza, rabbia, nessuno glielo avrebbe tolto quel sogno che faceva da bambina, perché era il momento: «Ne ho viste così tante in tv di finali del Roland Garros...». Questa volta invece in tv c’era lei e il cerchio si è chiuso.
Perché Francesca era in fondo predestinata, fin dai primi passi nel tennis delle grandi, lei unica capace di tenere i ritmi di certe marziane con la racchetta. Mancava sempre un particolare, però, perché a un centimetro dal traguardo c’era sempre meno fiato in gola, tanto che la sua stava per diventare la carriera di una perfetta perdente. Otto finali Wta, ovvero del grande Barnum delle tenniste, sempre perse, e gli anni passavano, la Leonessa schiumava con tutti, giornalisti compresi, con i quali ingaggiava delle furibonde conferenze stampa per spiegare loro che la Schiavone un giorno avrebbe fatto vedere chi era Francesca.
Poi, il 29 luglio 2007 a Bad Gastein, un’anonima località austriaca, il primo grande successo in singolare, il posto in cui si è sempre trovata più a disagio. Perché Francesca era davvero Leonessa da leader di una squadra, quella di Fed Cup, la Davis femminile, che oggi conta due titoli mondiali (2006 e 2009) e una finale ancora da giocare contro gli Usa, perché lei con Flavia Pennetta - la notte e il giorno del nostro tennis - erano e sono la combinazione perfetta. Ma da sola no: dopo quel 2007 è stato ancora buio e Francesca sembrava persa per sempre, troppo difficile allenare quel muscolo pieno di troppi pensieri.
Ma si sa, il cervello è uno strumento difficile e meraviglioso, e quello di Francesca ancora di più: sei mesi da sconosciuta nel 2009, poi i quarti a Wimbledon e la vita è cambiata, di nuovo, davvero. La vita può cambiare sempre, figuriamo a 30 anni, la vecchiaia del tennis che è ancora il fiore della gioventù. Bastano le persone giuste, l’idea che ce la si può fare, quei pensieri positivi che a volte nascono all’improvviso dopo aver colpito una pallina. Così è nata la nuova Francesca Schiavone, che non sarà mai una star dello sport per come il mondo le cerca, ma forse per questo è adesso la più grande di tutte. Francesca veste sempre sportivo, legge molto, frequenta poco: ha un giro di amici che sono sempre gli stessi, non ha un fidanzato ma già sa che un giorno avrà un figlio e non litiga più con i giornalisti, perché adesso sa sempre cosa dire. E se non lo sa, ci pensa un po’ e ti guarda negli occhi. Così è capitato anche ieri sul capo del Roland Garros vicino a quello dedicato a Suzanne Lenglen, la Divina del tennis (…)

TV Tennis
La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi

Fotogallery a cura di Giacomo Fazio

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Francesca Schiavone negli spogliatoi del Roland Garros

Quote del giorno

"Si, lo ammetto: i vini francesi sono migliori di quelli italiani!"

Francesca Schiavone scherza con Amélie Mauresmo che l'aveva invitata a rivelare, in diretta tv, la supremazia dei prodotti vinicoli d'oltralpe.

France 2, 02/06/2010

Accadde oggi...

6 Giugno 1989

Il diciassettenne Michael Chang recupera uno svantaggio di sue set e nostante i crampi sconfigge il numero 1 del mondo Ivan Lendl negli ottavi di finale del Roland Garros con il punteggio di 4-6, 4-6, 6-3, 6-3, 6-3, in 4 ore e 39 minuti.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker