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02/07/2010 20:48 CEST - Wimbledon

Berdych manda a casa Nole

Per la prima volta dai tempo di Ivan Lendl un giocatore ceko si qualifica per la finale dei Championships. Berdych piega in tre set Djokovic. La partita poteva cambiare direzione solo nel tie-break del secondo set. Prima finale slam per Berdych, che con questo risultato arriva al numero 8 del mondo Gianluca Comuniello

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Se un giorno viene voglia di far vedere a vostro figlio una partita didattica per insegnargli i segreti della tattica del gioco, non scegliete Berdych-Djokovic, semifinale di Wimbledon 2010. Perchè potrebbe anche per sbaglio imbattersi nella conclusione del secondo set: un concentrato di nefandezze recentemente prodotto forse solo dalla nazionale di Lippi. Andy Warhol diceva che ognuno ha diritto al suo quarto d'ora di celebrità. Forse anche al suo quarto d'ora di follia. Fino al momento che chiameremo “cervello in ricreazione” la partita veva seguito una sceneggiatura abbastanza chiara: Berdych a fare buchi per terra, Djokovic a fare qualche giocata ogni tanto, ma generalmente attendista. Il che è proprio ciò che ha condannato Federer nei quarti contro il ceko. Ed infatti la tattica stava condannando anche il serbo: primo set perso 6-3 Break nel secondo sul 4 pari per mandare Berdych a servire per un procurarsi un vantaggio di due set. Ed è in questo momento che sul campo centrale è suonata la campana dell'idiozia. Si sono viste nell'ordine: una chiamata senza senso di un giudice di linea su un pallonetto di Djokovic; Berdych che che finisce in terra nei pressi della rete e Djokovic che invece di andare sul campo aperto, spalancato, gli offre gentilmente la possibilità di rientrare nello scambio; lungolinea ed incrociati decisi un po' così, senza un'apparente logica. Alla fine di questa sarabanda si contavano le macerie statistiche: Berdych aveva sprecato quattro set point nel tie-break prima di sfruttare il quinto, Djokovic aveva avuto sulla racchetta due palle per andare un set pari e probabilmente cambiare la storia del match. Invece era appunto il ceko a riprendersi per primo dalla sbornia e a sedersi con un comodo doppio vantaggio, mentre il serbo si dedicava alla distruzione di sedie e racchette e si beccava un sacrosanto warning. Nel terzo set Djokovic accennava a fare qualcosa di diverso, ma solo accennava: in realtà il suo era l'atteggiamento del vorrei ma non posso. Si trattava solo di stabilire quando: quando Novak avrebbe ceduto il servizio che avrebbe mandato Tomas in finale. Il ceko non rischiava più niente nei suoi turni di servizio, Nole aveva invece un sacco di situazioni di disagio, che anche se non arrivavano a palla break, sancivano la sua inferiorità ai punti nel match. Così, quando nell'ottavo game Berdych si issava a palla break, sembrava l'epilogo di un romanzo già chiuso molte pagine prima. 6-3 7-6 6-3 il punteggio finale.
Una partita che lascia molti interrogativi: perchè Nole, contro un avversario che non aveva mai nemmeno vinto un set contro di lui in due confronti, ha subito una lezione del genere. Stiamo parlando del supposto numero due del mondo, che al di là di alcuni atteggiamenti guerrioti (guerreschi+idioti) mostrati durante il torneo, si è dimenticato di mostrare la cosa basilare per un numero due del mondo: il tennis. Djokovic, dopo il successo in Australia nel 2008, non è più riuscito a fare finale in uno Slam. Per quanto riguarda Berdych, non ha fallito la prova del nove e merito a lui. Ma al momento di follia collettiva ha partecipato anche lui, nel secondo set. Il tennis c'è, in questi giorni. Bisogna vedere se, salendo la posta in palio, il ragazzo saprà tenere insieme i pezzi del suo arsenale. Intanto è in finale ed il suo sorriso racconta molto: è il primo ceko dai tempi di Ivan Lend che ci riesce. Era il 1987. Questa volta, non ci sono Cash all'orizzonte. Né suo, né nostro (purtroppo).

Gianluca Comuniello

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker