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07/07/2010 12:59 CEST - Wimbledon

Là dove c'era l'erba

Rafa Nadal e Roger Federer sono riusciti negli ultimi tre anni nella "doppietta" prima considerata quasi impossibile nel tennis, vincere Roland Garros e Wimbledon in fila. Merito, o colpa, non solo dell'erba apparentemente più lenta. Alessandro Mastroluca

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La molteplicità ridotta all'unità. La varietà di stili e di personalità nel tennis si sono piegate alle esigenze del business, delle televisioni, degli organizzatori che vogliono comprensibilmente vedere sempre i grandi giocatori arrivare nelle finali dei tornei. Scelte che stanno portando verso l'uniformità il calendario, orientato sempre più sul cemento:precursori sono stati, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta Us Open e Australian Open cambiando sede e superficie e sacrificando l’erba per gli hardcourts.

Una prima dimostrazione di come negli ultimi anni qualcosa stia cambiando arriva guardando l'Albo d'Oro del Roland Garros e Wimbledon. Nei primi quarant’anni dell’era Open solo Borg era riuscito a vincere back-to-back i due Slam considerati più lontani, trionfando per tre anni consecutivi, dal 1978 al 1980, in entrambe le enclaves fino ad allora reciprocamente incompatibili.

L'”Orso”, l'”Iceberg” ha portato il tennis nell'epoca moderna, ha inventato un nuovo modo di essere e di stare in campo che ha costituito un trait-d'-union perfetto e micidiale tra due tipologie opposte di giocatori: lo specialista della terra, che tendeva a restare qualche metro dietro la riga di fondo e giocare sulla ribattuta e puntando all'errore dell'avversario; e l'erbivoro, seguace fedele del serve&volley.

Figlio di un giocatore di ping-pong, che ha iniziato a giocare a nove anni con una racchetta da adulto, troppo pesante per lui, vinta dal padre come premio in una competizione, Borg ha giocato come un pongista ma su un campo più grande, con i piedi sulla riga e sempre in anticipo, continuando a saltellare dopo ogni colpo per ritrovare l'equilibrio e la posizione ideale dopo il prossimo.

“Scendere a rete è come essere alla frontiera, per te vuol dire combattere l'ignoto” gli diceva il suo coach Lennart Bargelin, convinto che “la più grande vittoria di Borg non è stato il modo in cui è arrivato a perfezionare i suoi colpi da fondo, ma il cambiamento che ha imposto a se stesso, con incredibile determinazione, per placare il suo spirito appassionato”.

La sua era una calma “costruita”, ottenuta portando all'estremo il consiglio di Kipling di trattare allo stesso modo trionfo e disastro (quella che campeggia all'ingresso giocatori sul Centrale di Wimbledon) e mantenuta anche grazie alla ripetizione quasi ossessiva di gesti e piccoli rituali: giocare con la bandana o con la collana, allacciarsi le scarpe, raddrizzare le corde della racchetta.
Se la sua impresa rappresenta l'eccezione, il segno della rivoluzione in un mondo dominato ancora dalle racchette di legno e dalla diversità di menti e di stili, di caratteri e di personalità, le “doppiette” moderne hanno il sapore dell'appiattimento: se un tempo Francia e Gran Bretagna erano due poli opposti, ora la Manica diventa una barriera facilmente navigabile per conquistare i due tornei più ambiti.

Guardando le due finali di quest'anno, si ha l'impressione che la differenza cromatica non porti con sé sostanziali modificazioni di interpretazione: sarà che da una parte c'è sempre Nadal e dall'altra due giocatori simili, Soderling e Berdych, ma sembra di vedere la ripetizione dello stesso schema. Nadal vince restando dietro la riga, colpendo da fondo e riuscendo spesso e volentieri a giocare il dritto anche dalla parte “anomala”, aggirando il rovescio e vince a Wimbledon in una finale senza serve & volley, come quella del 2002 tra Hewitt e Nalbandian.

Dall'anno precedente sui campi di Wimbledon era stata cambiata la composizione dell'erba: “Non appena il movimento di chi sostiene che 'l'erba è morta' raggiunge livelli non ignorabili” scrive Patrick McEnroe in “Hardcourt Confidential” (realizzato con Peter Bodo), “il torneo di Wimbledon stava già considerando di trasformare radicalmente l'erba e il modo in cui il tennis vi si giocava. Il club però è piuttosto avaro di informazioni, avendo ammesso pubblicamente solo di aver abbandonato la composizione mista ( 70% di Lolium e il 30% di Festuca rubra) con un 100% di Lolium perenne, più dura e durevole a partire dal 2001”.

Una composizione di cui da subito i giocatori si sono lamentati, soprattutto quelli britannici nei primi anni, come Henman e Rusedski, convinti che il cambio abbia rallentato la superficie, convinti che la novità abbia portato rimbalzi più alti e così penalizzato i giocatori di volo.

E' vero che l'erba è una superficie viva, che risponde alle sollecitazioni esterne e alle condizioni meteorologiche: particolarmente asciutte negli ultimi due anni, molto umide nel 2001 quando Pat Rafter riuscì ad arrivare in finale giocando serve&volley puro pur perdendo da Ivanisevic.

Ma certo l'interpretazione del tennis su erba è cambiato: resta da capire se la superficie è causa o conseguenza di queste modifiche. Perché l'evoluzione dei risultati e dei modi di giocare a Wimbledon non sono gli unici segnali che il tennis sta prendendo una strada diversa dal passato. La predominanza del cemento, superficie ibrida, né troppo lenta né troppo veloce, e le innovazioni tecnologiche nelle racchette e nelle palline sono tre indizi coerenti che vanno tutti nella stessa direzione: oggi è premiante il gioco di potenza da fondo campo.

Le racchette oversize, le incordature più tirate e le corde in materiali sintetici hanno permesso velocità superiori a 150 kmh nello scambio e colpi con uno swing tale da rendere meno fruttuosa la decisione di scendere a rete perché Il passante è diventato un colpo più semplice e redditizio (anche perché è possibile trovare un maggiore anticipo e ottenere angoli più acuti grazie alla diffusione globale della presa bimane del rovescio). Raggiungere il successo in queste condizioni richiede una maggiore preparazione fisica, che ha standardizzato i tratti “morfologici” del tipico tennista moderno, e comporta una minore incidenza della strategia, con giocatori che spesso si appoggiano su due colpi dominanti, servizio e diritto.

E' perciò comprensibile come gli organizzatori dei tornei, che puntano a massimizzare ricavi e affluenza, cerchino di ridurre nei limiti del possibile i rischi di non vedere Federer, Nadal e gli altri grandi big nelle fasi finali di un torneo. Rischi sempre in agguato su una superficie tanto anomala come l'erba, su cui l'adattamento è praticamente impossibile (dato che vi si gioca solo per un mese l'anno) e in cui fino a una decina di anni fa al terzo scambio da fondo quasi non si riusciva a rialzare la palla da terra tanto l'angolo di rimbalzo era acuto. Mentre ora sembra avvicinarsi di più a quello che si ottiene sulla terra battuta, che ricorda un triangolo equilatero perché segue un'inclinazione di 60 gradi.

Vista l'entità del giro d'affari nel mondo dello sport, appare difficile immaginare che i vertici del tennis si possano convincere della profondità dell'assioma di Hellmut Walters “del progresso fa parte anche la retromarcia”.

Ormai, insomma, il passato è una terra straniera.

 

Alessandro Mastroluca

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28 Giugno 1977

Il diciottenne John McEnroe diviene il primo giocatore a raggiungere le semifinali a Wimbledon partendo dalle qualificazioni, quando sconfigge l’australiano Phil Dent nei quarti di finale.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker