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06/08/2010 14:35 CEST - Interviste

Molto spesso mi sentivo ribollire dentro

di Tim Böseler per Tennismagazin n.8/2010
Traduzione a cura di Mauro Cappiello

 

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Stefan Edberg
Stefan Edberg

Stefan Edberg, ti sei già congratulato con il tuo vecchio rivale Boris Becker?

Congratulato? Perché?

È diventato di nuovo padre a febbraio.

Oh, intendevi questo. No, non gli ho fatto le congratulazioni. Non siamo a stretto contatto e ci vediamo solo di rado. Ci siamo incontrati l’ultima volta a novembre 2009 a Londra. In quell’occasione mi ha detto che sarebbe ridiventato padre. Mi ha dato l’impressione di essere molto felice.

Avete giocato l’uno contro l’altro 35 volte. Perché i vostri duelli sono stati così emozionanti?

Eravamo personaggi diversi. Io ero riservato e introverso. Boris era l’esatto contrario: irascibile ed emotivo.

L’uomo dalle poche parole contro l’irruente.

Si potrebbe definire così. Entrambi abbiamo giocato molto bene a Wimbledon nello stesso tempo. Ci siamo ispirati a vicenda nel raggiungere un alto livello di prestazioni. Senza di lui avrei seguito un’evoluzione diversa, e probabilmente lo stesso vale per lui senza di me.

Quale incontro con Becker ricordi meglio?

La finale di Wimbledon del 1988. Era la mia prima finale a Wimbledon e Becker era il grande favorito, visto che aveva già vinto due volte (1985, 1986). Era una pessima giornata, pioveva molto. Giocai a carte per ore con il mio coach Tony Pickard. Dovemmo aspettare un’eternità prima di poter andare in campo. Appena iniziammo, il match fu interrotto a metà del primo set per pioggia. Al lunedì pioveva di nuovo. Feci un buon pranzo, poi all’improvviso il match riprese. Avevo mal di pancia e persi il primo set. Ma vinsi il secondo al tie-break. Fu il momento della svolta. Mi ricordo esattamente il match point: ero a rete, Becker mirò al corpo e la pallina rimase sul nastro. Mi sentii molto sollevato e caddi all’indietro sulla schiena. Era il momento che aspettavo da una vita.

Hai giocato contro grandi campioni. Federer è più forte di te?

Sì, non solo per i suoi risultati e record impressionanti. Il modo in cui gioca ha innalzato il tennis a un nuovo livello. Riesce a fare tutto. Ai miei tempi c’erano giocatori molto forti, ma in qualche modo tutti avevano un punto debole. Federer e anche Nadal non hanno più punti deboli.

Avresti qualche possibilità con il tuo classico gioco serve and volley contro le generazioni di tennisti di oggi?

Avrei un enorme vantaggio: i tennisti non sarebbero abituati al mio stile dal momento che nessuno gioca più serve and volley. Perciò questo li sorprenderebbe. Ma il gioco è totalmente cambiato. Oggi va tutto più veloce, anche se i campi hanno subìto un rallentamento. Per un giocatore d’attacco è un incubo. Ha bisogno di rimbalzi veloci sul servizio. Specialmente quando, come facevo io ai miei tempi, serve con molto kick. In un torneo come Wimbledon non si ha più questo tipo di vantaggio. I giocatori di oggi sono molto più forti alla risposta di quelli dei miei tempi. È logico che non ci siano più tennisti d’attacco. Non avrebbero via di scampo.

Il serve and volley è definitivamente morto?

Credo di no. In futuro i giocatori di potenza da fondocampo che sapranno venire a rete coi tempi giusti dietro al servizio saranno i tennisti dominanti. Dal momento che nessuno usa davvero il serve and volley oggi il gioco di risposta è diventato abbastanza prevedibile: mettere la palla in campo, preferibilmente profonda. Ma se il giocatore al servizio attaccherà più spesso, questo non sarà più sufficiente. Sarebbe facile colpire al volo la risposta. Ciò significherebbe un tipo di gioco del tutto nuovo.

Perché oggi nessuno gioca così?

Perché richiede molto allenamento. Dei buoni giocatori d’attacco devono controllare molti più fattori dei giocatori da fondo. La base del cambiamento deve essere costruita in gioventù. Se improvvisamente provi a insegnare come usare il serve and volley a un giocatore di 20 anni, che ha giocato da fondo per tutta la sua vita tennistica, non funzionerà. Il gioco d’attacco è qualcosa di naturale, che ha bisogno di essere coltivato. Oggi gli allenatori non hanno tempo e pazienza per farlo.

Il tennis era meglio in passato oppure ora?

Senza dubbio oggi. Ai miei tempi avevamo tipi diversi di giocatori mentre oggi giocano quasi tutti in maniera simile, non c’è molta varietà. Ma il tennis come sport si è evoluto in maniera enorme negli ultimi anni, è diventato più atletico, più veloce, più preciso e quindi migliore.

Ti mancano i veri personaggi sul circuito?

Ci sono abbastanza personaggi nel tennis al momento. Federer, Nadal, Djokovic, Del Potro, sono tutti tipi fantastici.

Ma sono un po’ più sbiaditi in confronto a John McEnroe e Jimmy Connors.

Di giocatori come McEnroe se ne trova uno ogni cento anni. In passato avere personaggi “buoni” e “cattivi” sul circuito ha certamente aiutato il tennis. Ha attirato un sacco di gente, anche chi non aveva idea di cosa fosse il tennis. Ma al giorno d’oggi non si vedono più personaggi davvero “cattivi” sul circuito. Oggi bisogna essere totalmente concentrati per essere in grado di competere ai massimi livelli. Nessuno può permettersi buffonate. Tutto viene notato e messo su internet nel giro di qualche ora. Perciò nessuno può permettersi di comportarsi come alcuni dei miei avversari “cattivi” dei vecchi tempi.

Tu invece sei sempre appartenuto ai personaggi “buoni”. Come ci sei riuscito?

Ho seguito regole semplici: rimanere fedeli a se stessi, accogliere solo persone prudenti nel tuo ambiente e pensarci bene prima di dire qualcosa.

Pete Sampras una volta ti ha descritto come “l’idolo tennistico ideale”. Da dove viene questa reputazione così immacolata?

Forse dal fatto che sono una persona calma e, in qualche modo, diplomatica. Il mio motto è sempre stato: non dire niente è meglio che dire troppo.

Non ti sei mai arrabbiato sul campo. È tutta una questione di autocontrollo?

Se mi fossi arrabbiato, sarebbe stato controproducente per il mio gioco. Ma molto spesso mi sentivo ribollire dentro. Dovevo stare calmo, altrimenti non sarei riuscito a giocare il mio miglior tennis.

Ti manca il palcoscenico oggi?

In realtà devo rispondere con un forte “No!”. Gioco ogni tanto qualche torneo senior, il che potrebbe dare l’impressione che mi manca davvero il palcoscenico. Ma gioco quei tornei per incontrare vecchi amici. Ed è anche bello che i miei figli abbiano la possibilità di vedermi giocare.

Ti piace oggi essere sotto la luce dei riflettori?

Non mi piacerà mai davvero perché non si adatta al mio carattere. Anche da ragazzino non mi piaceva attirare l’attenzione. A scuola mi facevo notare il meno possibile. Mi sedevo sempre all’ultima fila, non alzavo mai la mano. Iniziavo a sudare ogni volta che un professore mi chiedeva di andare alla lavagna. Questa paura di essere al centro dell’attenzione l’ho avuta anche da tennista professionista. Ma ho dovuto imparare a conviverci.

Ogni quanto ti alleni oggi?

Con regolarità. Il tennis è la mia passione. Gioco con mia moglie, con i miei figli, con i miei amici e con buoni giovani svedesi.

Quanto è popolare il tennis in Svezia?

Il calcio e l’hockey sul ghiaccio sono più popolari. Ma i risultati di Robin Söderling al Roland Garros nel 2009 e nel 2010 hanno cambiato molto. Specialmente la sua vittoria contro Rafael Nadal l’anno scorso ha sollevato molto entusiasmo. È stata la migliore notizia per il tennis svedese degli ultimi dieci anni.

Ma Thomas Johansson è riuscito a vincere l’Australian Open nel 2002.

Oh lascia stare. Non ha interessato nessuno. Il fatto che Söderling sia stato capace di battere il re della terra battuta Nadal a Parigi è stato di tutta un’altra dimensione. Un singolo incontro può cambiare molto. È stata la storia perfetta e tutti ne erano interessati. È tutto ciò che conta nello sport: quando c’è una bella storia tutti la notano. Gli svedesi improvvisamente guardavano il tennis nei bar e nei caffè per strada, ovunque, è pazzesco!

Di cosa pensi sia capace Söderling?

Può fare molto. La pubblicità per il tennis che ha portato è davvero notevole. Non è nei primi cinque in classifica (in realtà Söderling però è numero 5, ndt), non ha vinto ancora un torneo importante, ma i giornali sono pieni di articoli su di lui. Ai miei tempi avevamo un sacco di giocatori svedesi forti, ma i giornalisti sbadigliavano quando uno di noi entrava nei top-10.

Ti viene chiesto spesso di Söderling oggi?

No. Non sono presente nei media svedesi come altri ex giocatori svedesi. Per me altre cose nella vita sono molto più importanti.

Per esempio?

La mia famiglia. Viviamo vicino a Växjö, in campagna. Porto a scuola i miei figli, Emilie e Christopher, la mattina. Nel pomeriggio, quando tornano, facciamo qualcosa insieme. Il più delle volte si tratta di sport.

Una volta dicesti che non avresti voluto diventare una “primadonna”. Ci sei riuscito?

Penso di sì. La mia vita non è quella tipica di una cosiddetta “ex star”. Lavo i piatti e faccio il bucato a casa.

Davvero?

Sì, non posso dire che mi piaccia, ma deve essere fatto. E non deve fare tutto mia moglie.

La tipica emancipazione svedese.

È così. In Svezia è normale che l’uomo sia coinvolto nelle faccende di casa. All’estero a volte gli uomini mi guardano in modo strano quando me lo sentono dire. Ma non mi dà fastidio. Non voglio fare l’uomo che porta soltanto i soldi a casa.

Come ti guadagni da vivere oggi?

Avevo già fondato una società di investimenti con l’aiuto di un manager quando ancora giocavo da professionista. Oltre a questo possiedo una foresta di 40 ettari proprio accanto alla mia casa.

Allora fai il guardaboschi?

No (ride), non proprio. Vendo solo gli alberi all’industria del legname e della carta. È una cosa che deve essere organizzata e riesco perfettamente a farlo da casa.

Cosa succede quando entri in un ristorante in Svezia?

Cosa dovrebbe succedere? Entro proprio come qualsiasi altro cliente.

Quando Boris entra in un ristorante in Germania la gente impazzisce.

Beh, Boris e io siamo sempre stati molto diversi.
 

a cura di Mauro Cappiello

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