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05/09/2010 13:15 CEST - Us Open

Ryan Harrison
The Next Big Thing

Per i media, è il nuovo prodigio a stelle e strisce. Ryan Harrison, primo teenager americano a battere un top-20 in uno Slam dopo Roddick, ha tutto per emergere: talento, gioco a tutto campo, confidenza con il serve&volley, carattere e una grande maturità. Alessandro Mastroluca

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E' dai tempi della generazione d'oro dei Sampras, degli Agassi, dei Courier, dei Chang che gli Stati Uniti cercano il campione del futuro. E i tentativi di leggere il futuro sono aumentati in misura e intensità inversamente proporzionali al calo di risultati e ranking dei tennisti a stelle e strisce, per la prima volta fuori dai top-10 dal 1973.

Ne hanno azzardate tante di profezie, ne hanno bruciati parecchi di supposti futuri campioni. Ma da qualche giorno si sono tutti convinti su un nome. Il Prossimo Campione Americano è il “soldato” Ryan Harrison, che ha imparato a tenere in mano una racchetta prima ancora di imparare a leggere. L'ambizione è quella dei 18 anni, senza limiti e confini (“Voglio diventare n.1: non sono di quelli che pensano di diventare solo top-10: se sarò n.10, vorrà dire che ci saranno altri nove giocatori migliori di me”), ma la maturità è quella dei giocatori veri, non delle meteore che ballano per una notte, per una stagione. “Sono felice, è stata una grande esperienza, ma ho sempre perso al secondo turno, ed è il momento più alto della mia carriera finora: ho ancora tanto da lavorare”.

E' il padre, Pat, ad avviarlo al tennis. Era stato giocatore di college a Oklahoma State e Mississippi prima di una rapida parentesi tra i pro a livello di Futures e Challenger, ora è head pro alla John Newcombe's Tennis Academy. Quando Ryan ha undici anni, sfida Pat al Querbes Racquet Club della sua città, Shreveport: suo padre lo batte 6-1 6-3. Per il competitivo Ryan è uno dei match che gli cambia la vita. Un anno dopo Ryan riuscirà per la prima volta a battere suo padre, e inizia a scrivere la sua storia di successi precoci.

“Ha voluto fin dall'inizio che sviluppassi un gioco a tutto campo” ha spiegato a Flushing Meadows. “Ha sempre pensato che fossi un grande atleta, che avessi l'abilità per scendere a rete e non sentirmi a disagio nel gioco di volo, ma che allo stesso tempo avessi la velocità necessaria per giocare in difesa dietro la riga e per tirare vincenti ogni volta che ne avessi l'occasione”.

Innamorato del gioco, Harrison di tennis ne ha sempre guardato tanto alla tv, e a 14 anni per la prima volta è andato ad assistere dal vivo agli incontri degli Us Open. Al torneo che in questi giorni lo ha consacrato è legato uno dei suoi ricordi più belli di spettatore e tifoso di Pete Sampras: l'ultimo trionfo di Pistol Pete prima del ritiro.

Come il suo idolo, Harrison è maturo e votato all'obiettivo. Ma le affinità finiscono qui. Se Sampras sapeva sempre quale colpo usare nei momenti di difficoltà, se aveva sempre due risorse su cui contare, servizio e diritto, Harrison ha il pregio di saper fare tutto abbastanza bene e il difetto di non avere ancora un colpo “killer”.

Il dritto rimane un marchio di fabbrica, a maggior ragione per chi come il giovane americano si è allenato e si allena anche con Bollettieri. Quando riesce a piantare i piedi un metro o due dentro il campo riesce a generare una notevole velocità di rotazione e profondità di palla. A dispetto del rovescio bimane Harrison ha una naturale propensione alla verticalizzazione, anche se non si ritiene un serve&volleyer puro: un approccio che ricorda un po' quello di Connors, forse l'ultimo top-player che scendeva stabilmente a rete giocando il rovescio a due mani. Deve migliorare, invece, in difesa. Se l'avversario prende la rete, ha dimostrato sia contro Ljubicic che contro Stakhovsky, soffre un po' nel trovare un passante degno di questo nome, anche dalla parte del dritto. Contro il chip and charge ha mostrato più volte solo difese appena liftate con poco angolo che sono un invito alla volée dell'avversario a rete.

Harrison vive il tennis come un continuo processo di auto-miglioramento, che porta avanti allenandosi, quando può, con tutti i top-players americani. “E' una spugna” ha detto Mardy Fish. “Fa un sacco di domande, a volte troppe domande: secondo me è destinato ad arrivare in alto. In lui rivedo un po' del giovane Roddick”.

Proprio A-Rod, nove anni fa, era stato l'ultimo teenager statunitense a battere un top-20 in un torneo dello Slam (Corretja, numero 11, al terzo turno degli Us Open).

“Roddick mi dà una mano da due, tre anni” ha raccontato Harrison. “E' sempre di grande aiuto ogni volta che lo incontro. Parliamo tanto di quello che ha provato i primi tempi nel circuito”.

La serietà sul campo, e in allenamento, ben si combina con un buon senso dell'umorismo. Proprio con Roddick un anno fa perse una scommessa e, per pegno, gli portò un caffé dalla players lounge indossando solo un asciugamano. “Per fortuna era molto grande” ha ricordato.

Perdere, però, gli è sempre piaciuto poco. Harrison è un competitor naturale, con una personalità orgogliosa che ha ereditato da suo padre. Quel carattere che, in sostanza, gli ha permesso di vivere la migliore esperienza della sua carriera. Perché, a dispetto delle prospettive e delle belle parole, l'USTA ha deciso di non dargli la wild-card. Harrison ha così partecipato al playoff a otto per l'ultimo “invito” disponibile nel tabellone principale ma ha perso in finale con un triplo 6-4 da Tim Smyczek, che è così entrato nel maindraw. Harrison ha affrontato le qualificazioni, e nel match di secondo turno contro il veterano portoghese Rui Machado, ha iniziato a avvertire forti crampi alle gambe e a un certo punto ha lanciato a terra la racchetta per la frustrazione. Ma non si è perso d'animo e, novello Chang, per vincere è ricorso anche al servizio da sotto. “Il migliore che abbia mai visto”, ha poi commentato Jay Berger, direttore dell'allemento per i ragazzi nell'ambito del programma di sviluppo giocatori dell'USTA.

E' anche grazie a questa personalità che Ryan è diventato, a Houston 2008, il decimo più giovane giocatore a entrare nel tabellone principale di un torneo ATP e iul terzo più giovane vincitore di un incontro dal 1990, dopo Nadal e Gasquet, grazie al successo al primo turno su Cuevas.

Quest'anno, a Indian Wells, ha eliminato al primo turno Taylor Dent ed è diventato il quarto diciassettenne a passare un turno al BNP Paribas Open dopo Sampras, Agassi, Chang e Nadal. Al secondo turno, poi, perse da Ljubicic.

Ma ha dovuto aspettare solo pochi mesi per la rivincita. Tenendo conto che, ad esempio, Connors, Sampras, Agassi e Roddick hanno tutti perso al debutto assoluto agli Us Open, gli indizi su un futuro positivo per Harrison ci sono tutti.

Ma gli indizi non bastano, altrimenti i prodigi a stelle e strisce avrebbero dovuto riempire le bacheche nazionali di trofei. Altrimenti Donald Young, unico atleta nell'annuale “Who's next” del 2004 di Newsweek (in cui c'era anche Barack Obama), il più giovane a finire la stagione da numero uno juniores a 16 ani e cinque mesi, vincitore di due Slam juniores, a quest'ora avrebbe già vinto parecchi major.

Harrison, che entrerà nei primi 200, è diventato un beniamino del pubblico e dei media. Ma l'attenzione che gli hanno riservato non è paragonabile a quella che ha avuto l'anno scorso Oudin, comprensibilmente dato che Melanie è arrivata ai quarti. Quest'anno, però, la diciottenne ha avuto una stagione con poche luci. Perciò potrebbe far bene al “soldato Ryan” rimanere lontano dai radar ancora per un po' per migliorare il gioco.

Le basi perché possa ripercorrere, e chissà migliorare, le strade degli ultimi due “Usa kid” Querrey e Isner ci sono tutte. Harrison ha un sogno ben chiaro, e tutti gli dicono che può realizzarlo. Non gli resta che mettere in pratica il principio Chris Gardner: se vuoi qualcosa, vai e inseguila.

Alessandro Mastroluca

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"E' stato bello.. voglio dire, eccetto per quel 99,9% di pubblico che tifava contro di me".

Sergiy Stakhovsky, riguardo l'atmosfera che regnava sul Grandstand durante il suo match contro il giovane americano Harrison

Accadde oggi...

5 Settembre 1990

Pete Sampras mette fine alla campagna di Ivan Lendl per il record di nove finali consecutive agli US Open con un 6-4 7-6 3-6 4-6 6-2 nei quarti di finale.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker