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14/09/2010 20:06 CEST - Us Open

Tutto lo Slam che non si vede

Riepilogo e inediti: raccattapalle centenari, Clijsters alle prese con UBRSOCCU. E poi: Cibi volanti non identificati, i malori e i misteri sugli infortuni, Rafa e Roger che distorcono ogni prospettiva. Tutto ciò che non si vede, guardando uno Slam. Gianluca Comuniello

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Opening night - Photo by Anita Ruthling Klaussen
Opening night - Photo by Anita Ruthling Klaussen

I hate this job. Aggirandosi per i campi di uno Slam si possono incontrare storie particolari. La prima è quella dell'addetto al campo 10 che odia il suo lavoro. Qual è il lavoro di un addetto al campo 10? Spostare una catenella di plastica, quella che impedisce o meno l'accesso del pubblico sugli spalti. Incontro questo ragazzo dall'aria veramente triste, durante la prima settimana. Lui guarda il mio pass e fa una scrollata di spalle che significa più o meno “il mondo è una merda”, poi dice: “Vorrei uno di quelli. Odio il mio lavoro. Probabilmente oggi mi licenzio.”
Un assist a chiedere di più, insomma. Un assist a fare da assistente sociale.
Viene fuori che il ragazzo viene dall'università dell'Oregon, voleva fare l'application per lavorare nel media office ma non ha fatto l'errore di fare prima quella per addetto ai campi. Quando gliel'hanno accettata, è diventato immediatamente incompatibile con il mestiere di giornalista (come se per fare il giornalista ci volesse più sforzo intellettuale che per spostare una catenella di plastica...). “Vengo qui alle nove e mezza la mattina e finchè non è finito l'ultimo match non faccio altro che spostare la catenella” mi dice, a giustificare i suoi propositi di licenziamento (e sospetto che accarezzi da lontano anche l'idea del suicidio). “Ti pagano, almeno?”. “Sì, mi pagano. Ma forse stasera mi licenzio” ripete. Spero che almeno una volta gli abbiano dato il campo centrale...

I love this job. Ma quel raccattapalle non era quello di Laver? Succede anche che ti sembra di aver visto male, passando dal campo 4, e quindi ti fermi di nuovo a guardare. Non ti sbagli: quel raccattapalle è veramente vecchio. Di solito vedi ragazzini e ragazzine terrorizzati (a Wimbledon), gran pezzi di donna nel pieno sbocciare della loro bellezza (a Madrid), ma non un uomo che doveva avere già le sue buone venti primavere sulle spalle quando Laver faceva il Grande Slam. E' Jerrey Laughran, ha 62 anni e inseguiva il sogno di fare il raccattapalle da quando ne aveva 58. Lo vedi lì felice, a lanciare palle a quelli che potrebbero essere i suoi nipoti. Sembra un bambino.

Clijsters e UBRSOCCU. Ebbene sì, con il pezzo sulla finale femminile mi sono attirato gli strali degli appassionati della wta. Me lo merito, perchè ho un po' calcato la mano e me ne scuso. Rimane il fatto che a mio avviso la finale non è stata all'altezza di un torneo che qualche partita di pregevole livello l'ha offerta. Ma qui non voglio parlare di questo. Voglio parlare di Kim Clijsters e della sua conferenza stampa post partita di cui probabilmente avrete letto il transcript su queste pagine. Bene, Kim è arrivata, raggiante, dopo un bel po' di tempo rispetto al termine della partita. Ha cominciato a rispondere educatamente alle domande della stampa mondiale, fra gli scatti dei fotografi. Fino al momento in cui si è sentito quello che potrei definire Un Brutto Rumore Secco di Oggetto Costoso su Cranio Umano (per gli amanti degli acronimi: UBRSOCCU). Tale UBRSOCCU era stato provocato da un fotografo distratto che, per guadagnare qualche fila più avanti per i suoi scatti, non si era accorto che sui gradini era seduta un'altra fotografa, la cui testa aveva l'unica colpa di trovarsi in traiettoria del teleobiettivo del suddetto fotografo maschio di razza caucasica distratto. E' andata giù come un pupazzo, povera. Tanto che Kim stessa è saltata sulla sedia ed ha esclamato “oh my god, are you ok?” Il fotografo maschio aveva l'aria di chi stava per dire: “non c'è più niente da fare”. Ma si sa, le fotografe donne sono più toste: la tipa si è rialzata a sedere, ha guardato Kim con l'aria di quella che ne sta vedendo sette di Clijsters (il che farebbe 21 Us Open) e ha alzato un pollice nel segno internazionalmente riconosciuto come “va tutto bene”. Poi si è sdraiata di nuovo. Forse è ancora lì.

I hate this restaurant. Uno frequenta per quindici giorni il media restaurant e crede di averle viste tutte, a livello di cibi. Poi scopre che addirittura ne sa più delle cassiere del restaurant stesso. Il momento è quello della non finale maschile di domenica: sta piovendo, la gente gigioneggia in giro in attesa che spiova o che diano il via libera per tornarsene a casa. Il nostro soggetto decide di andarsi a prendere un gelato. Va alla vasca-frigo e ne vede una tipologia che non ha mai assaggiato nei tredici giorni precedenti. Incuriosito, lo prende e lo porta alla cassiera per farsi “sparaflashare il pass” (è il modo in cui ti addebitano il cibo). Lei guarda in maniera veramente costernata il pacchetto rosso che il nostro soggetto ha in mano. “What's that?” dice, con l'aria di chi si trovi di fronte ad una cosa fuori dalla concezione umana. “E' un gelato” dice il soggetto “lo tenete nelle vasche frigo”. La sua aria costernata non cambia: “I've never seen one of that, in a fortnight”. Con l'aria di chi dice di non aver mai viso qualcosa del genere in tutta la vita. Il soggetto scopre poi perché: quel gelato è la cosa più disgutosa mai assaggiata. Giusto epilogo ad una piovosa giornata di EMME.

Giornalismo medico, un'impresa al di sopra delle possibilità. E ditecelo, per favore. Il malore dell'Azarenka, che si è accasciata in campo dopo pochi games, e la successiva poca chiarezza su cosa era successo veramente, hanno fatto sbottare più di un giornalista, per una volta. Motivo della rivolta intellettuale: non si capisce perché, in un'epoca in cui le informazioni viaggiano veloci, sugli infortuni di qualsiasi tipo si debba tenere un riserbo che neanche la STASI. Effettivamente c'è da pensarci: non date ad un giornalista l'opportunità di fare delle supposizioni mediche. Per il bene di tutti...

Rafa e Roger. Accapigliatevi come più vi aggrada, ma avendo la fortuna di vederli giocare ripetutamente dal vivo e pensando ai numeri che hanno costruito, ci si rende conto una volta di più che la loro forza ha stravolto il metro di giudizio sui risultati di chiunque. Nel senso che se uno come Djokovic fa solo una finale Slam ed una semifinale viene considerato scarso. Mi è venuto in mente un mio vecchio pallino tennistico, Boris Becker. Nell'anno in cui diventò numero uno, il 1991, vinse un solo Slam e poi fece una semifinale ed una finale, per cadere miseramente al terzo turno a New York. Ora si parlebbe quasi di annata da buttare. Mi sono riguardato alcune annate di Sampras e Agassi: capitavano stagioni in cui in alcuni Slam facevano figure veramente pessime, considerate con il metro attuale. Già, il metro attuale. E' questo che è distorto, mica quello di allora. Uno che ha vinto 16 Slam in sette anni, comprensivo di Career Slam e detiene il record di settimane consecutive in cima al mondo ed uno che il career Slam lo ha completato a 24 anni e tre mesi e che in cima al mondo pare doverci stare ancora a lungo non sono due tennisti come quelli che eravamo abituati a vedere. Ed è quello che sentendo gli altri protagonisti in conferenza stampa salta fuori più spesso: “gente, ma che dobbiamo fare se ci sono questi due? Che dobbiamo fare se una volta finito Federer ci sarà ancora a lungo Nadal?”. Viene da dire solo una cosa: povero Nole...

Gianluca Comuniello

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"E' stato bello.. voglio dire, eccetto per quel 99,9% di pubblico che tifava contro di me".

Sergiy Stakhovsky, riguardo l'atmosfera che regnava sul Grandstand durante il suo match contro il giovane americano Harrison

Accadde oggi...

8 Settembre 1969

Rod Laver completa il quarto Grande Slam della storia del tennis (il suo secondo dopo il 1962) battendo Tony Roche 7-9 6-1 6-3 6-2 nella finale degli US Open giocatasi lunedì causa pioggia .

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker