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18/12/2010 10:44 CEST - SPECIALE

Il tennis e l’Uomo ad una dimensione

TENNIS - Spazio Wallace, Capitolo 1. Parte il nostro piccolo viaggio sul più grande scrittore (di tennis) del mondo. "Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più" è una buona summa di Wallace. Manca “soltanto” il lato letterario . Per il resto c’è tutto, compresa la sensazione di avere tra le mani uno dei più grandi scrittori di sempre, più la strana urgenza di una matita e di un vocabolario durante la lettura. Pier Paolo Zampieri

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Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più (1) , minimum fax, 1999.
Cominciamo il nostro piccolo viaggio sul più grande scrittore (di tennis) del mondo da qui. Pubblicato nel l997 ma scritto quasi tutto a meno di trent’anni, il libro in questione è una buona summa di Wallace. Manca “soltanto” il lato letterario (2) . Per il resto c’è tutto, ma proprio tutto, compresa la sensazione di avere tra le mani uno dei più grandi scrittori di sempre, associata alla strana urgenza di una matita e di un vocabolario durante la lettura.
Tennis, tv, ecc si divide in sei “pezzi” autonomi di cui ben due sul tennis. Rispettivamente un intro venato di autobiografia (tennistica), spleen adolescenziale e trigonometria, e in chiusura semplicemente la cosa più figa mai scritta sul tennis. Sentite il titolo: L’abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scelta, la libertà, i limiti, la gioia, l’assurdità e la completezza del genere umano. Favoloso no? E quello che c’è dentro mantiene interamente le promesse. Descrizioni al fulmicotone diluite dentro un reportage quasi esistenzialista (ma allegro) che chiama in causa il concetto di “scelta” e quello di “libertà” più o meno all’interno della trappola del successo (e del tennis professionistico). Tra i due momenti ci sono un paio di saggi e due reportage strepitosi di cui quello sul cinema di David Lynch (e la morale americana) è un capolavoro assoluto che da solo vale l’intero prezzo del libro. Insomma il nostro “breve invito alla lettura di Wallace” comincia da un libro composto da sei pezzi eterogenei con almeno tre gemme . Anticipo che terminata la lettura, e consumata la matita, in genere succedono matematicamente (almeno) due cose: si va subito in libreria a cercarne un altro (la prossima puntata) e si (ri)vede Velluto blu di Lynch.
Ma andiamo con ordine:
2) E Unibus Pluram: Gli scrittori americani e la televisione, (saggio) da pag. 29 a 104: si discute dell’influenza della televisione e dello spettacolo negli scrittori e nella letteratura. In buona sintesi siamo diventati i giullari dei nostri becchini. Interessante.
3) Invadenti evasioni, (reportage) da pag. 105 a 173: un capolavoro piccino piccino. Un reportage olfattivo (7) sensoriale di una fiera statale dell’Illinois. Mucche, cavalli, galline e campi di granoturco che misteriosamente diventano in rapida successione letteratura, divertimento a cinque stelle e ritratto impietoso dell’America più profonda, quella rurale e irriducibilmente repubblicana (8). Tutto brilla. I cowboy, le donne che ballano, le ciclopiche zanzare, il terrificante Palazzo del Pollame il cui rumore è “cacofonico e scroto-astringente e assolutamente terrificante (9)”, e poi le giostre, dio le giostre, per non parlare dei giostrai (fidatevi). Se la domanda è come è possibile rendere fenomenale una lettura su galline e tendoni la risposta è semplice: David Foster Wallace.
4) Che esagerazione, (mah) da pag. 174 a 182: acuta disquisizione sulla presunta “morte dell’autore” da Roland Barthes ai poststrutturalisti. Per appassionati del genere.
5) David Lynch non perde la testa, (reportage) da pag 175 a 264: capolavoro assoluto. Se amate Lynch (10) dovete leggerlo, se amate il cinema dovete leggerlo, se amate leggere dovete farlo. Se invece amate scrivere, umiliatevi (con gioia). Poi (ri)guardatevi (almeno) Velluto Blu. Clamoroso.
6) L’abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scelta, la libertà, i limiti, la gioia, l’assurdità e la completezza del genere umano, da pag. 265 a 317, (reportage): Fa-vo-lo-so. Wallace a pieni giri davanti alla cosa che ama di più: il Tennis. Non saprei dirla meglio, quelle 50 pagine sono semplicemente immigliorabili. Mandato a seguire da vicino la giovane promessa americana Michael Joyce attraverso il Vietnam delle qualificazioni degli Open Canadesi “che somigliano alle raffinate finali che si vedono in TV più o meno quanto un macello assomiglia a un pezzo di filetto presentato elegantemente in un ristorante (11)”, il tennis viene fotografato ai raggi x, e ci è restituito dentro la miglior grana letteraria immaginabile.
Degli assaggi: “Michael Chang, 23 anni e n. 5 del mondo, sembra composto di due persone cucite insieme grossolanamente: un tronco normale appollaiato su delle enormi gambe muscolose e completamente prive di peli. Ha la testa a fungo, capelli neri come l’inchiostro e un’espressione di profonda e ostinata infelicità, la faccia più infelice che io abbia mai visto al di fuori di un corso post-laurea di scrittura creativa (12) ”.
“Richard Krajicek, un olandese di 1 metro e 90 che porta un cappellino bianco quando c’è il sole, si lancia verso la rete come se questa gli dovesse dei soldi, e in generale gioca come una gru impazzita (13) ”.
“La bizzarra posizione di servizio di McEnroe, aperta e con le braccia rigide, con entrambi i piedi paralleli alla linea di fondo e il fianco rivolto così rigorosamente alla rete che sembra una figura su un fregio egizio (14) .” Potrei andare avanti a lungo, il reportage è pieno zeppo di queste perle, ma paradossalmente il valore assoluto non è lì. Non è nelle perle. Il quid che traghetta Wallace fuori dalla ristretta parentesi del più grande scrittore (di tennis) del mondo risiede nel crostaceo narrativo che le contiene. Nello specifico di L’abilità professionistica del tennista... il valore aggiunto è nelle empatiche riflessioni “filosofiche(?)” sulla psiche del tennista Michael Joyce la cui “scelta” primordiale, di essere un giocatore professionista, gli ha negato, per sempre, una visione più ampia (15) del mondo, e della vita. Il risultatante di questo processo è una specie di “Uomo ad una dimensione (16) ” di lusso, con la doverosa considerazione che mentre in Marcuse “l’Uomo ad una dimensione” simboleggiava l’appiattimento dell’uomo moderno nel consumatore totale, in Wallace Michael Joyce rappresenta la sua più inquietante radicalizzazione: un prodotto perfetto.
Insomma per essere davvero un tennista professionistico non puoi permetterti di essere anche dell’altro. E non credo valga solo per il tennis professionistico… Paradigmatico.

(1) Wallace D. F., Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più, Minimum fax, Roma, 1999, trad. Vincenzo Ostuni, Christian Raimo e Marina Testa (1997).
(2) Più o meno è un buco grande quanto la fossa delle Marianne, letteralmente.
(3) Di Agassi (vedi articolo precedente), di Korda (idem), di Sampras, di Chang (in questo articolo, più avanti), di Edberg (ah-ah-ah), di McEnroe (in questo articolo, più avanti), di Lendl e molto altro.
(4) La terza è quella sulla sagra dell’Illinois.
(5) p. 13.
(6) p. 11.
(7)
“La sensazione complessiva è di trovarsi nel bel mezzo di un’ascella” pag. 144.
(8) “C’è un’atmosfera, in sala non – ecco non razzista, ma grintosamente bianca. (…) Non è tipo che se venisse qui un nero lo tratterebbero male; è più che altro che, semplicemente, a un nero non passerebbe mai per la testa di venire qui.” Pag. 157.
(9) p. 137.
(10) Se non lo amate, lo amerete.
(11) p. 270.
(12) p. 313.
(13) p. 274.
(14) p. 289.
(15) E più complessa.
(16) Questo virgolettato non è presente nelle pagine di Wallace ma è una mia estensione della famosa categoria di Marcuse. Sono ragionevolmente sicuro che entrambi sarebbero d’accordo. H. Marcuse, L’uomo ad una Dimensione. Ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, Torino, 1967, (1964).

Pier Paolo Zampieri

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