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20/12/2010 13:23 CEST - LA STORIA

La transessuale che ha fatto storia

TENNIS - La storia di Renèe Richards, transessuale più famosa nella storia del tennis. Nata Richards Raskind, negli anni 70 fu bandiera di hippy, omosessuali, neri e ispanici. La Corte Suprema di New York le permise di giocare nel circuito WTA. Troppo anziana rispetto alle altre, non andò oltre la 20esima posizione. Tornata alla professione di medico, oggi vive di rimpianti. Roberto Paterlini

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Richard Raskind nacque a New York il 19 Agosto del 1934. Capitano della squadra di tennis del suo liceo, l’ Horace Main School, a 15 anni vinse il torneo di singolare del campionato interscolastico tra istituti privati della East-Coast. All’università di Yale fu ancora capitano del team di tennis e si laureò poi alla Medical School di Rochester, divenendo un chirurgo oculista; servì nella marina americana come tenente capitano e nel 1972 vinse i campionati americani over 35.

Perché stiamo parlando di Richard Raskind? Bè, in parte perché è quasi Natale e di tennis giocato non ce n’è. Ma il motivo principale è che siamo recentemente incappati in un film TV sulla sua storia - intitolato "Second Serve", preso dalla sua prima autobiografia  - interpretato nientemeno che da Vanessa Redgrave.
Altre due domande dovrebbero ora seguire: per quale motivo è stato girato un film su un oculista / tennista (semi)amatoriale degli anni ‘60? E, soprattutto, per quale ragione è stata scelta una donna - e che donna! - per interpretare il suo ruolo? Tutti i tasselli del puzzle dovrebbero essere al loro posto e, a questo punto, ormai qualsiasi stupore smorzato nel dirvi che nel 1975 Richard Raskind, dopo essersi sposato, essere divenuto padre ed avere divorziato, divenne legalmente e fisicamente Renée Richards, la prima atleta transessuale della storia del nostro sport.

Tutto qui? Neanche per sogno! Dopo aver trapiantato la sua vita e l’attività di chirurgo sulla West-Coast, Renée, già quarantenne, iniziò a giocare diversi tornei femminili, sino a quando la stampa non scoprì il suo passato e la accusò di essere un uomo mascherato da donna. La USTA le negò la possibilità di giocare lo US Open, sostenendo che l’operazione di riassegnamento sessuale non poteva cambiare una persona dal punto di vista genetico, e che la Richards non avrebbe passato il test cromosomico adottato dal Comitato Olimpico. Le autorità del tennis giustificarono la loro decisione con quella che Renée ribattezzo “the floodgate theory” (“flood” significa flusso e “gate” cancello), a dire che se fosse stato permesso a lei di giocare, orde di uomini avrebbero invaso il circuito femminile e fatto a pezzi le varie Chris Evert ed Evonne Goolagong. “Quanto devi desiderare di diventare un campione di tennis se sei disposto a farti tagliare il pene per farcela?” fece notare ironicamente la Richards.

Renée divenne in quegli anni un baluardo delle minoranze, dagli hippy agli omosessuali, passando attraverso carcerati, neri, ispanici e naturalmente transessuali, che la convinsero a trascinare la USTA in giudizio - “Sembrava che tutto il mondo volesse che diventassi la loro Giovanna d’Arco” - sino alla sentenza della Corte Suprema di New York che nel 1977 le permise di prendere parte allo US Open - 17 anni dopo la sua ultima partecipazione al torneo maschile - nel quale tuttavia la nostra eroina fu sconfitta al primo turno da Virginia Wade.

“Dopo che vinse la causa le altre giocatrici stavano uscendo di testa,” ricordò Billie Jean King - sua frequente compagna di doppio di quegli anni - in occasione dell’uscita della seconda biografia di Renée, No Way Renée: The Second Half of My Notorious Life. “Io dissi: ragazze, è una donna, quindi giocherà. Fatevene una ragione!”
Ma in molte faticarono a mandar giù la faccenda, tanto che, ad esempio, ben 25 su 32 si ritirarono dal Tennis Week Open tenutosi a South Orange, New Jersey, come documenta questo interessante articolo del tempo di Sports Illustrated.
“Lo fai per i soldi?” le chiese Caroline Stoll, quindicenne appena sconfitta 6-1 al terzo al primo turno di quel torneo.
“È assurdo, Caroline,” tentò di farla riflettere Renée. “Guadagno centomila dollari l’anno facendo l’oculista. Tu cambieresti sesso per un milione?”
“Non è giusto,” disse però la Stroll in conferenza stampa. “Avete fatto caso alle sue braccia? È da quelle che ottiene tutto quello spin e la potenza al servizio.”
“Avete mai visto una donna tirare un colpo del genere?” le fece eco Linda Thomas dopo aver assistito a un suo rovescio vincente. “Ogni giorno fa qualcosa di diverso. Sicuramente non ci ha ancora mostrato tutto ciò di cui è capace…”
Più diplomatica la diciassettenne Linda Antopolis che, grazie anche al sole cocente del pomeriggio e ai 25 anni di vantaggio sulla sua avversaria, sconfisse Richards in semifinale. “Sarà difficile avere a che fare con lei, perché ha un vantaggio fisico. Ma ne ha ogni diritto: tutti i grandi atleti hanno una qualche superiorità fisica, è questo che distingue i campioni,” commentò.
Sarcastico e tagliente come sempre, Ilie Nastase - con il quale Renée raggiunse la semifinale nel doppio misto allo US Open del 1979 - disse invece: “Se indossa un completino da donna, perché non permetterle di giocare? Questa è la dimostrazione di quanto siano forti le tenniste: potrebbe essere loro madre, eppure si lamentano… Hanno paura!”

La carriera professionistica di Renée durò appena dal 1977 all’81, quando la Richards si ritirò, all’età di 47 anni, senza avere mai vinto un titolo sul circuito WTA ma avendo raggiunto il 20° posto nella classifica di singolare e la finale del doppio allo US Open del 1977 (in coppia con Betty-Ann Stuart, persero da Martina Navratilova e Betty Stove), oltre ad aver sconfitto giocatrici quali Hana Mandlikova, Pam Shriver, Silvia Hanika e Virginia Ruzici. Successivamente si dilettò nel fare l’allenatrice - seguì Martina Navratilova tra il 1981 e l’83 - prima di tornare alla medicina, professione che ancora oggi esercita quale primario di oculistica al Manhattan Eye, Ear and Throat Hospital di New York.
“Mi infastidisce,” ha dichiarato amareggiata in recenti interviste: “Quando morirò il mio necrologio dirà: tennista transessuale Dottor Renée Richards, e io non posso farci niente. All’inizio, dopo essermi trasferita in California, ho avuto delle storie d’amore, ma dopo che hanno scoperto il mio passato… È necessaria molta forza per avere una relazione con una donna che un tempo è stata un uomo, specie se tutti lo sanno. Ho dei rimpianti riguardo a come sono andate le cose; sarei potuta tornare al mio ufficio e decidere di avere una vita normale, ma ho preso la fatale decisione di combattere una battaglia legale per poter giocare a tennis da donna. A volte immagino come sarebbe potuta essere la mia vita se avessi scelto diversamente… ”

A seguito dell’evoluzione della società civile e degli sviluppi della legislazione sportiva in tema di transessualità, le posizioni della Richards suonano oggi controverse per un’atleta che è stata a suo tempo un baluardo - probabilmente involontario - dei diritti civili: “Il CIO ha deciso che gli atleti transessuali possono competere alle Olimpiadi se sono passati 2 anni dal cambio di sesso (è inoltre richiesto che vi sia stato il riconoscimento legale nel paese di appartenenza dell’atleta e che questo sia stato sottoposto alle adeguate cure ormonali per un congruo lasso di tempo, ndr)? Bè, peggio per loro. Io chiesi di giocare lo US Open, ma avevo 40 anni. Chris Evert e Tracy Austin ne avevano 20 di meno, non avevo alcuna chance contro di loro…”
Nel 1999 Tennis Magazine pubblicò su Renée un articolo dal titolo "Regrets, She's Had a Few," implicando i suoi rimpianti e il pentimento della Richards in relazione al suo cambio di sesso. “Avrei preferito non vivere l’esperienza di trascorrere metà della mia vita da uomo e l’altra metà da donna,” ha commentato lei: “Avrei preferito non nascere o diventare transessuale, ma una vita da uomo sarebbe stata per me impossibile. Per molti è così! Ricevo molte lettere di uomini sulla quarantina che vogliono affrontare il cambio del sesso, ma io li dissuado. Va bene se hai 20 anni, ma non se sei sposato e hai dei figli… ”

Resterebbe da chiarire la questione se le atlete transessuali abbiano un effettivo vantaggio rispetto alla competizione (è evidente che la questione non si ponga per gli atleti nati donna e successivamente divenuti uomini). Ebbene, alcune teorie sostengono addirittura il contrario, che le atlete transessuali, a seguito delle terapie ormonali e, per esse, a fronte di una muscolatura divenuta simile (a parità di peso) e una equivalente distribuzione e percentuale di massa grassa rispetto alle loro colleghe, conservano comunque la struttura ossea (più pesante) di quando erano uomini, e quindi hanno maggiore difficoltà negli spostamenti.

Ad oggi, e a seguito della decisione del CIO risalente al 2003, praticamente tutte le federazioni internazionali e nazionali di ogni disciplina sportiva hanno aperto i cancelli ad atleti ed atlete transessuali. Fa ancora eccezione l’LPGA tour di Golf, ancorato al proprio regolamento che vuole i suoi membri “nati donna”, ma che probabilmente sarà presto costretto a cambiare idea dalla causa che un ex poliziotto californiano, oggi la cinquantasettenne Lana Lawless - letteralmente, senza legge - gli ha intentato quando si è vista negare l’iscrizione al campionato del mondo per il drive più lungo, che la signora già aveva vinto nel 2008. Va detto che altri circuiti professionistici di golf, tra i quali quello Australiano ed Europeo, hanno invece cambiato il loro regolamento per permettere alla danese Mianne Berger di partecipare regolarmente ai tornei da loro organizzati.

Dopo Renée, una sola altra tennista transessuale ha calcato i campi del circuito professionistico: la trentasettenne cilena Andrea Paredes, sconfitta 6-0, 6-0 in 25 minuti dalla scozzese Nicola Slater al torneo di Buenos Aires del 2009. Anche in questo caso, per le donne-nate-donne il pericolo è stato scampato.

Roberto Paterlini

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker