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17/02/2011 16:21 CEST - TENNIS E POLITICA

Un'israeliana a Dubai...Parte 2

TENNIS – Shahar Peer, figlia di Israele, gioca per il secondo anno consecutivo a Dubai. Nel 2009 le negarono il visto, oggi la tensione si è allentata. E lei continua a giocare bene "Mi trovo benissimo qui". Semifinalista l’anno scorso, quest’anno è già nei quarti. Che faranno gli organizzatori se dovesse arrivare in finale? La confineranno ancora nei campi secondari? Riccardo Bisti

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Quando le giocatrici finiscono un match, hanno una routine ben precisa. Doccia, interviste, poi tutte in Players Lounge a chiacchierare prima di tornare in albergo. Tutte tranne una. Quando si gioca il torneo di Dubai, per Shahar Peer è tutto diverso. Ha uno spogliatoio tutto per sé, poi si deve rintanare in una specie di bunker in cui guarda qualche film in DVD in compagnia di papà Dov. L’anno scorso la sua presenza a Dubai fece rumore. Ne parlarono anche i media extra-tennistici. La notizia era troppo succosa: una giocatrice israeliana in terra araba, protetta dalle guardie e costretta a giocare sui campi secondari perché sul centrale avrebbe corso chissà quali rischi. Fece ancor più rumore perché l’anno prima le negarono il visto per entrare negli Emirati Arabi Uniti. La WTA fiutò l’incidente diplomatico: dopo averla rimborsata con punti e dollari, hanno obbligato gli organizzatori ad accettare la sua iscrizione. Non c’è offensiva militare che tenga: lo sport deve rimanere fuori da certi meccanismi. L’attenzione sul suo caso la fece giocare bene: si issò in semifinale, battendo anche la futura numero 1 Caroline Wozniacki. Quest’anno Shahar è di nuovo a Dubai: c’è meno clamore attorno a lei, ma la sua presenza non perde connotati simbolici. E continua a giocare bene: è già nei quarti di finale grazie alle vittorie su Martinez Sanchez, Dulgheru e Wickmayer (quest’ultima in rimonta: 3-6 6-4 6-1 lo score). La protezione attorno all’ex soldatessa dell’esercito israeliano (nel suo paese la leva è obbligatoria e dura tre anni, anche se ha potuto usufruire di qualche sconto riservato agli sportivi.) è inferiore, ma ci sono ancora i metal detector fuori dallo stadio. E lei è ancora confinata nella sua abitazione all’interno dell’Aviation Club, anche se continua a sostenere di sentirsi la benvenuta in una città che le hanno sconsigliato di visitare.

Metal detector si, poliziotti no
La Peer e la WTA, su consiglio delle autorità locali, non sono autorizzati a fornire i dettagli sulle misure di sicurezza. Eppure Associated Press è riuscita a strappare una dichiarazione a papà Dov, il quale ha detto che “La situazione è molto più rilassata rispetto all’anno scorso”. “C’è la stessa gente intorno a me” ha detto Shahar in un’intervista di qualche giorno fa, rilasciata all’interno della sua dimora-bunker “Ci sono tante persone simpatiche che si prendono cura di me. Poi qui sembra di stare in una specie di casa, da cui è possibile trarre ottime ispirazioni….mi sento alla grande. Cercherò di restare qui il più a lungo possibile”. Per gli appassionati è una speranza, per gli organizzatori è una minaccia. L’anno scorso hanno accolto con un sospiro di sollievo la sua eliminazione in semifinale, altrimenti sarebbero stati costretti a farla giocare sul campo centrale. Per lei è una motivazione extra, anche se il percorso è duro: nei quarti potrebbe trovare la Wozniacki in un match che per la danese significherebbe leadership mondiale. In semifinale avrebbe la Stosur oppure, chissà, la Jankovic. Come l’anno scorso, Shahar sta giocando sul campo numero 1. Il più lontano dall’ingresso dell’Aviation Club. Il più isolato. Ma lei è arrivata a definirlo la sua seconda casa. “Conosco ogni centimetro e ogni rimbalzo di questo campo” ha scherzato. Solo uan ventina di spettatori hanno seguito il suo match di primo turno. Pochi di più i match successivi. Il torneo di Dubai non attrae il pubblico fino al weekend finale. Nessuno ha mostrato sentimenti pro o contro Israele. E non c’erano poliziotti, mentre si contavano sulle dita di un paio di mani le guardie all’ingresso dell’impianto.

Un sogno chiamato Pace
L’anno scorso nessun match della Peer venne trasmesso dalla TV locale (Dubai Sport, che poi irradia le immagini in tutto il mondo). Il campo 1 è senza telecamere. Venus Williams accettò di buon grado di "declassarsi": era stata proprio lei a minacciare di non difendere il suo titolo se alla Peer non fosse stato concesso di giocare. Israele non ha rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi: lo sport ha saputo abbattere barriere importanti, ma è difficile pensare che la presenza della Peer a Dubai possa riavvicinare due Paesi così diversi. Eppure lei ci crede: “Se mi danno l’opportunità di giocare a Dubai e in Qatar (la prossima settimana giocherà a Doha, ndr), e mi dicono di aver apprezzato…beh, la politica passa in secondo piano ed è molto importante. Credo che siamo tutti esseri umani, e dobbiamo lottare affinchè ci sia un rispetto reciproco”. Amir Hadad e Aisam-ul-Haq Qureshi, il “doppio della pace” composto da un israeliano e un pakistano, apprezzerebbero sicuramente. Sono stati loro a lanciare la campagna “Stop War, Start Tennis” che ha furoreggiato l’anno scorso. Sognare, in fondo, non costa niente.

Riccardo Bisti

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