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24/08/2011 22:49 CEST - IL RACCONTO

A caccia del primo punto ATP

TENNIS – Ideale prosecuzione del pezzo che qualche settimana fa avevamo intitolato “Viaggio nell’inferno del circuito”. Vi raccontiamo cosa succede nelle qualificazioni di un torneo Future in Argentina, dove l’unico obiettivo dei giocatori è racimolare il sospirato primo punto ATP, quello che ti fa entrare nella geografia del tennis. Storie di tennisti in cerca di una gloria che probabilmente non arriverà mai. Da un racconto di Jorge Viale per ESPN. Riccardo Bisti

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Questo pezzo prende spunto e diverse nozioni da un articolo uscito sul sito di ESPN Sudamerica a firma di Jorge Viale.

Il circolo si chiama “Clu”. Come se la B mancante ci facesse capire che qualcosa manca per davvero. Siamo a Buenos Aires, una delle città tennisticamente più importanti del mondo. Ma siamo lontani dal Lawn Tennis Club (sede del torneo ATP) o dal Vilas Club, dove se sei un forestiero fanno mille storie per farti entrare. No, stavolta siamo in un circolo con meno ambizioni, nel quartiere Saavedra. Si gioca il decimo Future argentino del 2011. O meglio, le qualificazioni. Ci sono 121 giocatori per 8 posti in tabellone. 121 storie che cercano di uscire dall’anonimato e vanno a caccia di gloria, ove per gloria si intende il primo punto ATP. Entrare nel main draw non sarà sufficiente. Per acciuffare almeno un punto, bisogna vincere una partita anche nel tabellone principale. Dopo aver vinto quattro match in tre giorni, gli otto “reduci” dall’inferno, stanchi fisicamente e psicologicamente, entrano in un tabellone guidato da Sebastian Decoud (una specie di Puerta dimagrito) e dal 20enne Diego Sebastian Schwartzman. Nessuno di loro ha passato il primo turno, eccezion fatta per l’argentino Bruno Tiberti. Ha avuto la fortuna di pescare un altro qualificato, l’italiano Francesco Garzelli. Lo ha battuto 6-1 6-3, e pazienza se contro Schwartzman ha raccolto quattro game. Nella classifica ATP del 22 agosto ci sarà ancora lui. Il suo portafoglio, tra l’altro, sarà appesantito da 200 dollari americani in più. Mica male, in un paese dove la “plata” yankee fa ancora la sua figura. Certamente più dello svalutatissimo Peso. Per gli altri niente. Zero punti e zero dollari per chi ha perso nelle qualificazioni, zero punti e 117,50 dollari per chi ha perso al primo turno. Una marea di tennisti in cerca di un posto al sole. Una scena che evoca i casting per diventare modella o velina. Sono in tanti, pronti a tutto, ma solo in pochi ce la faranno. La differenza è che non ci sono favoritismi né raccomandazioni. Juan Pablo Guzman, uno che è partito proprio da qui per poi arrivare tra i top 100 nel 2007, racconta. “Delle centinaia di giocatori che giocano questi tornei, saranno al massimo quattro o cinque quelli che riusciranno a vivere con il tennis”. Uno degli ultimi a uscire dal tritacarne è stato Facundo Arguello, già vincitore al Trofeo Bonfiglio nel 2010. Si è subito distinto, ha fatto bene nei tornei challenger ed è già intorno al numero 200 ATP. Ma ce ne sono mille altri che magari arrivano ad annusare l’odore dei challenger e poi finiscono di nuovo nei Futures. Un mondo durissimo, da cui è complicatissimo uscire. Il primo punto ATP è un passaggio simbolico ma fondamentale. Prendetevi un venerdì libero e andate nella sede di un qualsiasi torneo Future, dove si firma per giocare le qualificazioni. I ragazzi senza classifica hanno il terrore negli occhi. Se arrivano troppi giocatori già dotati di classifica si corre il rischio di non poter nemmeno giocare. Capita spesso, praticamente ogni settimana. E’ successo anche a Riccardo Maiga, 22enne svizzero del Canton Ticino. Gioca bene, è un ragazzo serio, ma ha dovuto aspettare 3 anni prima di raccattare il suo primo punto in un Future spagnolo. E pensare che aveva giocato alla pari contro ottimi giocatori, anche top 300. Sembrava una maledizione, poi finalmente ce l’ha fatta e in un anno ha raccolto 7 punti che lo hanno proiettato intorno al numero 1000 ATP. Ma la scalata è ancora dura.

“Arbitro, mi rubano i punti!”
Al “Clu” di Buenos Aires sembra esserci un vero e proprio corso di sopravvivenza. Per portarsi avanti con il tabellone, i match vengono programmati sin dalle 8.30 del mattino. Vento, freddo invernale e due match da giocare nello stesso giorno. Per giocare bisogna pagare un’iscrizione di 40 dollari, la stessa in ogni Future del mondo. Inoltre bisogna essere in regola con la quota annuale (55 dollari) dell’IPIN, una sorta di associazione all’ITF che consente di giocare questi tornei. L’iscrizione è libera. Mentre i ragazzi aspettano di scendere in campo, appoggiano gli occhi sugli LCD della club house: si gioca il Masters 1000 di Montreal, tutti sognano di essere lì, un giorno. “Come sarebbe bello essere un top 100” dice uno “Ma scherzi? Anche solo poter andare a giocare in Canada…” risponde l’altro. Si gioca in campi attigui. Può capitare (e capita) che un servizio troppo angolato possa interrompere il match che si sta giocando nel campo vicino. Non ci sono i raccattapalle. Il regolamento dice che i giocatori devono passarsi la palla tra di loro in modo cortese, comodo, tranquillo. E se per caso lasci una palla in mezzo al campo sono problemi tuoi. Non ci sono giudici di sedia. Gli ufficiali di gara girano per il club e sono a disposizione per eventuali diatribe. In quel caso possono entrare in campo e dirimere le questioni. “Arbitroooo” esclama un giocatore stufo che il rivale segni sistematicamente fuori le sue palle. “Vogliamo giocare a tennis?” dice l’altro, con tono di sfida. Insomma, il clima non è dei migliori e il giudice decide di restare su questo match. Quando manca l’arbitro, il giocatore che contesta una palla ha il diritto di andare a controllare il segno dall’altra parte del campo. “Guarda che se continui a rubare i punti come l’altra volta, qui finisce male” minaccia un genitore all’avversario del figlio. Arriva trafelato il coach del giocatore minacciato, desideroso di spiegazioni. Il dialogo tranquillizza tutti, ma la tensione resta. Alcuni giocatori sacramentano in castigliano, obbligando gli arbitri a intervenire con un “warning”. Una mamma trova il modo di scherzare: “E’ meglio che lo dica prima l’arbitro che la madre!”. L’arbitro, con apprezzabile ironia, replica: “Lei lo vedrà più tardi. Il lavoro continuerà a casa”. E poi ci sono gli allenatori, pure loro a caccia del fenomeno che tramuti il loro status da maestro di provincia a coach internazionale. Alcuni si presentano con nidiate di ragazzi. Uno dice: “Ne avevo sette, me ne restano tre”. Ma alla fine nessuno dei suoi entrerà in tabellone. Ci sono tanti ragazzi giovanissimi: 15, 16 anni. Il loro obiettivo è superare lo scoglio psicologico del giocare contro i “grandi”. Il risultato (per ora) conta poco. Il più giovane in pista era Mariano Kestelboim, nato il 6 febbraio 1996. Cinque giorni dopo il nostro Gianluigi Quinzi. Ha un bel tennis, moderno e potente. Potrebbe essere uno dei “quattro o cinque” che faranno strada. C’è anche Dante Gennaro, 18 anni, nome italiano e corazon argentino. E’ allenato da Guillermo Coria, vivace sponsor del suo rovescio a una mano. Reduce dai tornei junior in Europa, veste una polo arancione e celeste. E mostra con orgoglio l’asciugamano di Wimbledon, tutto colorato, come se gli conferisse uno status diverso rispetto agli altri.

Star fasulle e pochi soldi
Qualche punto ATP in cascina permetterebbe di bypassare questa fase. Ma mica sempre è così: se diamo un’occhiata ai tabelloni, capita spesso di vedere buoni giocatori costretti a giocare le “quali”. Ma avere qualche punto è “trendy”, conferisce uno status. “Per questo è normale che chi ha già qualche punto si atteggi come se fosse Nadal” racconta un anonimo giocatore che evita le qualificazioni ma non ostenta il suo misero bottino ATP “Ma come si fa a pensare che con qualche punto hai risolto tutto? Dovrebbero prendere esempio dal vero Nadal, uno che dice sempre di volersi migliorare. Quello che dobbiamo fare noi”. Tanti sono nervosi perché giocano davanti alla famiglia, alla fidanzata, agli amici. Lo sponsor è un investitore privato, uno di quelli che pagano le spese ai giocatori con la speranza di poter recuperare tutto in futuro. Da quelle parti funziona più o meno così: il privato paga tutto, poi quando iniziano ad entrare un po’ di soldi il prize money è così suddiviso: 20% al giocatore, 80% al “manager”. Quando il debito è saldato, le percentuali si invertono. Questo sistema funziona, ma non sempre. Alcune relazioni sono finite male. Ma in un paese dove la federazione non ha risorse economiche, beh, è l’unico modo per andare avanti. Altrimenti si può acciuffare uno sponsor. In effetti i rappresentanti delle aziende specializzate gironzolano tra un campo e l’altro, ma i contratti sono roba per pochi. Come detto, perdere al primo turno offre un prize money di 117,50 dollari. Per non perdere il 21% della cifra, i giocatori devono presentare una fattura. La maggior parte di loro è attentissima a questi dettagli. Tutti tranne Juan Ignacio Galarza: qualche settimana fa aveva lasciato il torneo…dimenticandosi di ritirare un prize money faticosamente conquistato. Dovettero avvisarlo per farlo tornare indietro. Con quei soldi, ha invitato i suoi genitori a mangiare in un barbecue. Lautaro Pane, 15 anni, ha appena colto il suo primo prize money. “Me ne sono reso conto solo quando ho intascato i soldi. Se avessi pensato che mi stavo giocando 600 pesos, beh, credo che non l’avrei mai messa in campo”. Al martedì inizia il tabellone principale. Adesso la lotta è diversa: l’obiettivo è conquistare punti preziosi per scalare il ranking e poter giocare qualche challenger. Come a dire: passare dall’inferno al purgatorio. Il tennis è anche questo.

VIAGGIO NELL'INFERNO DEL CIRCUITO - 27 LUGLIO 2011

Riccardo Bisti

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