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18/08/2011 21:18 CEST - DOPPIO...GIOCO

Newcombe e Roche: che rocce!

TENNIS – Dopo aver esordito dedicando un articolo a Billie Jean King e Rosie Casals, ecco un contributo per una delle coppie più celebri e vincenti del panorama tennistico maschile a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta : quella composta dai due aussie John Newcombe e Tony Roche. Tempra d’acciaio, spirito indomito ed una tenacia da veri guerrieri… Daniele Camoni

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Nella storia del tennis forse nessuno può vantare una carriera da allenatore così colma di successi e soddisfazioni come quella di Anthony Dalton Roche, per tutti “Tony” Roche : sotto la sua saggia guida ed il suo sguardo apparentemente burbero sono infatti passati campioni del calibro di Ivan Lendl, capace di dare al suo eccezionale gioco da fondocampo una spinta marcatamente offensiva (sotto la guida di Roche il ceco raggiunse le finali di Wimbledon ’86 e ’87, risultandone in entrambe sconfitto rispettivamente da Becker e Cash), Pat Rafter (vincitore degli US Open ’97 e ’98), Roger Federer (ai posteri l’ardua sentenza…) e Lleyton Hewitt.

Già nel 2005, primo anno di collaborazione con il divino svizzero, Roche era solito dire : “He (Federer) is such an all-round player, which is a little unusual in today's tennis. He sort of reminds me a lot of Rod Laver” (È un giocatore a tutto campo, fatto abbastanza insolito nel tennis di oggi. Mi ricorda molto Rod Laver”), o ancora : “He can rally from the baseline, use the slice and drop shots and play the winning volley. I haven't seen such a complete player around for so long and I'd put him up there with Laver” (“Sa scambiare da fondocampo, giocare slice, palle corte e volée vincenti. Da tanto tempo non vedevo un giocatore così completo ; lo paragonerei a Laver”). Come dargli torto (qualcuno ne sarebbe pure capace…).

Nato nel 1945 in Australia, Tony Roche iniziò a giocare a tennis sotto la guida di Harry Hopman (colui al quale verrà dedicata nel 1989 la Hopman Cup), vincitore, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, di ben 16 Coppe Davis in qualità di capitano, nonché allenatore di “Little Mo” Maureen Connolly nel 1953 (anno del secondo Grande Slam della storia ; il primo venne realizzato nel ’38 da Don Budge, ndr). Mancino, dotato di uno dei migliori rovesci dell’epoca (paragonabile a quello di Ken Rosewall e Rod Laver) e di un servizio molto efficace dalla dinamica assai veloce, praticamente identico a quello di “The Rocket” (Laver, ndr), Roche combinò con successo le modalità di singolo e di doppio, proponendo un tennis spietatamente offensivo, seguendo la grande tradizione della scuola australiana già inaugurata da Frank Sedgman (22 Slam tra singolo, doppio e misto) e Ken McGregor (9 Slam totali).

Vincitore del Roland Garros nel ’66 (ed altre cinque volte finalista in singolo a livello Slam, sempre sconfitto da formidabili connazionali quali Fred Stolle, Roy Emerson, Rod Laver e Ken Rosewall), una delle sue più grandi soddisfazioni in singolo la ottenne in Coppa Davis nel 1977, quando, ormai trentaduenne, sconfisse un Adriano Panatta sulla cresta dell’onda dopo il formidabile ’76 (Internazionali d’Italia, Roland Garros, e Coppa Davis), per poi vincere la coppa assieme a John Alexander e Phil Dent sull’amata erba australiana di Sydney. A livello di doppio misto (specialità che meriterebbe più rispetto e considerazione: un tempo li giocavano Billie Jean King, Rod Laver, John Newcombe, Virginia Wade, Ken Rosewall, Rosie Casals, Fred Stolle, e chi più ne ha più ne metta…) il burbero Tony vanta 2 titoli (Australian Open ’66 e Wimbledon ’76) in coppia con Judy Tegart, compagna di lungo corso di Margaret Court, e Françoise Durr, l’ultima vera francese ad imporsi a Parigi nel già lontano 1967.

Il grande successo arrivò tuttavia grazie ad una fruttifera collaborazione con John Newcombe, uomo capace di stregare migliaia di ammiratrici grazie al suo folto baffo magnetico, primo esempio di viveur in ambito tennistico (“At Wimbledon the ladies are simply the candles on the cake” : “A Wimbledon le signore sono semplicemente le candeline sulla torta”) ma implacabile gladiatore sul campo da tennis : “There was a kind of a code that you had as an Australian that you never left the court losing unless you had the blood all over you” (“Come australiano avevi un codice morale da seguire, in base al quale non potevi uscire sconfitto dal campo a meno che non fossi completamente cosparso di sangue”). Parole che non necessitano di spiegazione alcuna, e che farebbero molto comodo, per esempio, ad un ricco lèttone avvistato sporadicamente nel circuito ATP…

Nato in quel di Sydney nel 1944, John Newcombe si rivelò al grande pubblico agli US Open del 1966, uscendone sconfitto in finale da Fred Stolle, altro grande esponente della gloriosa scuola australiana. Già da quel torneo gli spettatori capirono con quale giocatore avessero a che fare : gran diritto, servizio potente e preciso (la sua seconda di servizio venne addirittura classificata da Jack Kramer come la migliore di tutti i tempi : tutto va ovviamente valutato in relazione al periodo storico, ndr), rovescio insidioso al fulmicotone, giocato prevalentemente in back, grande varietà di gioco e pallonetti millimetrici capaci di far ammattire anche un grande corridore come Jimmy Connors, letteralmente spiazzato dai moonball australiani nella finale australiana del ’75 (secondo ed ultimo Australian Open giocato dallo stesso Connors). La vittoria di Newcombe in quell’edizione ebbe grandissima risonanza : oltre ad aver visto vincere l’idolo di casa, sebbene chiaramente sfavorito dopo la precedente annata stratosferica di Connors (1974, con tre vittorie Slam), il pubblico australiano ottenne un trionfo con gli interessi nei confronti dell’antipatico americano, la cui acida arroganza e spocchiosa strafottenza avevano veramente esasperato ed indignato tutti (allo stesso modo anche il 32enne Arthur Ashe ripagherà Connors con la stessa moneta a Wimbledon ’75, dimostrandogli come un tennis ragionato ed intelligente potessero avere il sopravvento su di un avversario che credeva di aver vinto ancor prima di essere sceso in campo…).

Ultimo grande dominatore a tutto tondo del tennis australiano, Newcombe chiuderà la sua carriera da singolarista con 7 Slam (3 Wimbledon, 2 Us Open e 2 Australian Open) e 72 tornei vinti. Il successo proseguirà poi anche in doppio, modalità nella quale “Newk” alternerà diversi partner (su tutti Tom Okker, l’olandese volante, vincitore di ben 68 tornei di doppio, e Owen Davidson, ricordato soprattutto come partner abituale di Billie Jean King nel misto), trovando finalmente una spalla assai affidabile in Tony Roche : insieme vantano ben 12 Slam, di cui 4 Australian Open, 5 Wimbledon, 2 Roland Garros ed 1 Us Open (Newcombe ne vincerà poi altri cinque facendo coppia con Ken Fletcher, storico partner nel misto di Margaret Court, assieme alla quale completò il Grande Slam nel 1963, l’erbivoro britannico Roger Taylor, Mal Anderson, Tom Okker e Owen Davidson ; Roche dovrà accontentarsi di un altro titolo, lo US Open 1977 assieme al mitico Arthur Ashe).

"So there was a fire inside me. And that fire inside you, it can be turned into a negative form or a positive form. And I gradually realised that I had this fire and that it had to be used in a positive way.” (“C’era un fuoco dentro di me, e quel fuoco interiore può essere usato positivamente o negativamente. Realizzai di avere quel fuoco dentro il mio animo e, soprattutto, che avrei potuto trasformarlo in energia positiva”) ; quale miglior frase per riassumere lo spirito gladiatorio di “Baffo Newk”, uno in grado di mantenere i nervi saldissimi come pochi, come testimonia il fatto che vanti una percentuale del 70 % circa di vittorie in partite al quinto set o conclusesi al set decisivo ; tenacia e grinta, ma anche tocco ed una sensibilità squisita.

Ciononostante, oltre che disquisire su una delle più grandi coppie che la storia del tennis abbia mai visto, parlare di Tony Roche e John Newcombe è anche parlare di un’epoca assai delicata per il nostro amato sport, quella del passaggio dal dilettantismo al professionismo. Se oggi tendiamo ad associare l’idea di professionismo all’ATP (la cui controversa nascita nel 1972, su pressione di Jack Kramer e Cliff Drysdale, scatenerà diversi episodi di protesta, primo fra tutti quelli di Jimmy Connors, cui verrà negata la partecipazione a Parigi nel 1974 ; all’ATP Connors preferì infatti i lucrativi contratti garantiti garantitigli dal World Team Tennis, associazione in netto contrasto con la Federazione francese, allora presieduta dal compianto Philippe Chatrier), non dobbiamo dimenticarci del WCT (World Championship Tennis), primo vero circuito a livello professionale nato nel 1967 e le cui principali punte di diamante vennero ribattezzate “The Handsome Eight” (“I fantastici otto”), vale a dire Niki Pilic, Butch Buchholz, Dennis Ralston (celebre per aver perso la finale di Wimbledon del 1966 contro Santana, non proprio un erbivoro...), Pierre Barthès, Cliff Drysdale, Roger Taylor (omonimo del batterista dei Queen) e, ovviamente, John Newcombe e Tony Roche : fu proprio grazie alle pressioni del WTC che il tennis diverrà ufficialmente “Open” il 28 Aprile del 1968, anno in cui si disputò il primo vero torneo aperto ai professionisti presso il West Hants Club di Bournemouth.

La carriera di questi due giganti del tennis troverà finalmente una ricompensa incancellabile nell’introduzione alla Hall of Fame nel 1987 (nel medesimo anno verrà introdotto anche Nicola Pietrangeli), estremamente saggia nel tributare un meritato riconoscimento a due tra i più celebri e vincenti giocatori della scuola australiana, foriera di mitici ed indimenticati campioni, prima culla di un tennis tra i più scintillanti e spettacolari che il mondo (tennistico) abbia mai contemplato e che molti (come il sottoscritto) amaramente rimpiangono…

DOPPIO...GIOCO: KING-CASALS

Daniele Camoni

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