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09/12/2011 13:08 CEST - DOPPIO...GIOCO

Court-Wade: pacate, esplosive

TENNIS – Breve ritratto di una coppia alquanto estemporanea ma assolutamente fondamentale nel nostro riepilogo “doppistico”: quella costituita dall’acchiappa- tutto Margaret Smith Court e dalla tenace britannica Virginia Wade. Due giocatrici che seppero completarsi a vicenda in modo particolarmente efficace. Quando una breve collaborazione dà prestigioso lustro ad un intero movimento tennistico… Daniele Camoni

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Non sempre le grandi coppie hanno avuto una storia particolarmente lunga: se da un lato pensiamo alle collaborazioni ultradecennali tra Martina Navratilova e Pam Shriver, Mark Woodforde e Todd Woodbridge, Bob Hewitt e Frew McMillan, dall’altro nulla ci impedisce di identificare come grandi e storici paladini della modalità anche tennisti e tenniste la cui sinergia “doppistica” ha avuto vita alquanto breve. Rientrano in questa seconda categoria mostri sacri come Margaret Smith Court e Virginia Wade, la cui collaborazione, seppur breve e ad intermittenza rappresenta un momento particolarmente importante nella storia della specialità, se non altro per il solo calibro delle protagoniste in campo…

Nata nel 1945, la saggia Virginia Wade (essendo laureata in matematica e fisica presso la University of Sussex) è da sempre considerata non solo come una delle più grandi giocatrici che la storia del tennis abbia mai avuto, ma soprattutto come uno splendido scrigno contenente un infinito numero di emozioni. Per qualsiasi grande appassionato il riferimento a Wimbledon ’77 è menzione d’obbligo : arrivata alla sua sedicesima partecipazione consecutiva ai Championships, oramai 32enne e con una serie di risultati erbivori non particolarmente fenomenali (dal 1962 al 1976 Virginia raggiunse al massimo due semifinali, nel ’74 perdendo con Olga Morozova, e nel ’76 sconfitta da Evonne Goolagong), Virginia non godeva certamente dei favori del pronostico, tutti per Chris Evert (saldamente #1 e con 7 Slam già in bacheca). L’occasione era tuttavia straordinariamente eccezionale : nel 1977 ricorreva infatti il glorioso centenario dei Championships (la cui prima edizione, nel 1877, venne vinta da Spencer Gore), nonché il 25esimo anniversario dell’incoronazione della regina Elisabetta II, succeduta nel 1952 al padre Giorgio VI, deceduto alquanto improvvisamente. “I always felt that I hadn't achieved what I wanted to achieve. I always felt I could get better” (“Ho sempre sentito di non aver raggiunto quello che volevo. Ho sempre sentito di poter far meglio”) diceva di sé la giocatrice britannica…

Tutto il resto è storia : in semifinale Virginia sfoderò una prestazione fenomenale, annichilendo la Evert (di ben nove anni più giovane) per 6-2/4-6/6-1, candidandosi come possibile vincitrice a otto anni di distanza dall’ultima vittoria britannica, ottenuta da Ann Haydon Jones nel 1969 (su Billie Jean King). In finale la giocatrice britannica trovò la gigantessa olandese Betty Stöve, buona doppista ma sicuramente non un mostro in quanto a tecnica e mobilità : dopo un primo set tutto nervi e tensione, Virginia sciolse progressivamente il braccio ed iniziò a trovare tutti i colpi del suo vasto ed eccezionale repertorio, vincendo finalmente per 4-6/6-3/6-1.

Oltre al trofeo di Wimbledon (senza dubbio la gemma più luminosa di tutta la carriera della Wade), Virginia vinse gli US Open nel 1968, sconfiggendo Billie Jean King (piccola nota : l’assegno della vincitrice era di $6,000…) e gli Australian Open nel 1972, contro Evonne Goolagong : in carriera vanta 55 titoli, oltre ad aver raggiunto la seconda posizione mondiale come best ranking (nel 1975) ed essere rimasta tra le prime 10 delle classifiche ininterrottamente dal 1967 al 1979. Inoltre, la Wade ebbe l’onore di essere la prima vincitrice del primo torneo dell’Era Open : nel 1968 si aggiudicò infatti il torneo di Bournemouth (peraltro sua città natale), rifiutando tuttavia l’assegno di $720 (!!) destinato al vincitore.

Sotto il profilo più spiccatamente tecnico, il gioco di Virginia Wade è stato indubbiamente tra i più completi di sempre : oltre ad una capacità atletica incredibile, Virginia ha saputo combinare come poche gioco e solidità da fondocampo (prima dell’avvento della Evert era cosa alquanto rara, visto il dominio pressoché assoluto della scuola serve&volley) e dominio della rete ; tra i suoi colpi ricordiamo un diritto in presa continental ma terribilmente avvelenato (è stata una delle prime, assieme alla Goolagong, a sfruttare le risorse garantite dal topspin), un rovescio in back assai elegante, tradizionale ed efficace e, soprattutto, un servizio come mai si era visto all’epoca : la Wade è forse stata la prima donna a puntare su un servizio di potenza (coadiuvato da un’estrema precisione), rovesciando sulla pallina tutta l’energia generata da un’intensa torsione delle spalle, nonché dal sollevamento dei piedi dal suolo, con conseguente slancio degli arti inferiori. Una vera e propria rivoluzione ante litteram, se pensiamo che il primo servizio che ha tutti i crismi della piena modernità è quello della Navratilova post-racchette di legno (chi l’ha vista giocare, anche solo in video, avrà sicuramente notato la radicale differenza dei servizi di Martina con la racchetta di legno e con quella in grafite).

Anche il gioco di volo della Wade era di pregevole fattura (soprattutto nella volée di rovescio e negli approcci), aspetto che le permetterà di essere un’ottima doppista e di collezionare 39 titoli (il palmarès è incompleto, ndr) : tra le sue compagne abituali ricordiamo soprattutto Françoise Durr (nota per indossare spesso i suoi sgargianti occhiali da sole in campo, una vera e propria femme fatale degli anni Sessanta), ultima vincitrice indigena del Roland Garros (nel 1967) e l’acchiappa-tutto Margaret Smith Court, 62 titoli del Grande Slam tra il 1960 ed il 1975.

Nata nel 1942, Margaret Court (o Smith Court) è senza dubbio una delle più grandi tenniste di tutti i tempi, come recita la cerimoniosa frase che la introduce nella Hall of Fame di Newport : “For sheer strength of performance and accomplishment there has never been a tennis player to match (her)” (“Per la forza assoluta di prestazioni e risultati non è mai esistita una tennista sua pari”). Tanti sono i record detenuti dalla Court, alcuni di dubbia certificazione (come quello che le attribuisce uno score vittorie-sconfitte in carriera di 1177/106 o 192 titoli in singolare), altri assolutamente autentici : si passa dai 62 Slam totali ai 24 in singolare, dal Grande Slam del 1970 al “boxed set” di Slam in carriera (con almeno 2 vittorie in ognuno dei 12 Slam). Nessuno può tuttavia criticare l’abilità tennistica di Margaret, capace di giocare da fondocampo o a rete, di diritto, rovescio o in volée con una semplicità disarmante, combinando tocco e potenza, precisione e velocità (non a caso era soprannominata “The arm”).

In doppio i successi piovevano a grappoli (come in singolo, d’altronde) : 19 Slam in doppio (8 Australian Open, 4 Roland Garros, 2 Wimbledon e 5 US Open) e 21 in misto (4 AO, 4 Roland Garros, 5 Wimbledon e 8 US Open, con due Grandi Slam nel 1963 e 1965), se ce ne fosse bisogno, lo certificano appieno. Le classifiche le attribuiscono poi 48 titoli, nella modalità, nella sola Era Open, motivo che induce a credere che questo numero sia notevolmente maggiore, se solo avessimo a disposizione cifre sicure ed affidabili che riguardano l’era pre-Open…

Nel corso della sua carriera la Court alternò diverse partner (vinse i suoi 19 Slam con ben sette compagne differenti), rimanendo tuttavia particolarmente legata a Virginia Wade : insieme le due vinsero ben quattro Slam in cinque finali (AO, Roland Garros e US Open ’73, Us Open ’75, peraltro ultimo Slam nella carriera di Margaret) e 12 titoli, tra i quali gli Internazionali d’Italia del ’68 ed il Virginia Slims Championships di fine anno del ’75, contro Billie Jean King e Rosie Casals : insomma, un bottino ridotto ma di assoluto prestigio.

Le caratteristiche tecniche di Margaret e Virginia si adattavano particolarmente bene alla tipologia del doppio : Virginia aveva un gran bel servizio ed era una garanzia in colpi quali smash e palle ravvicinate nei pressi della rete, Margaret, dalla sua, poteva far valere una notevole pesantezza di palla (soprattutto nel diritto, colpito piatto e secco) ed una visione di gioco particolarmente acuta ed intelligente. Virginia era poi estremamente determinata, pronta ad attaccare la pallina sempre con grande intensità e carattere, Margaret era più compassata e delicata, anche se, quando bisognava picchiare la palla, non si tirava certo indietro.

Difficilmente una coppia (come quella costituita appunto da Margaret Court e Virginia Wade), la cui collaborazione è stata alquanto risicata, ha lasciato un segno così importante nella storia del tennis : certamente siamo di fronte a due grandissime interpreti della specialità, nonché di una tipologia di tennis che molti, con scarsa conoscenza storica, non esitano a definire come “lento e noioso”. Mi permetto di andare controcorrente (o, semplicemente, rappresento solo un’esigua minoranza), e di dire che forse un rovescio in back, un attacco in controtempo o, più semplicemente, un tennis fatto di innumerevoli e preziose variazioni, seppur attraverso l’uso di un’artigianale racchetta in legno, può entusiasmare maggiormente rispetto ad un cannoneggiamento monotono e di pura potenza…

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