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09/02/2012 09:57 CEST - L'intervista

Solomon riporta
tennis al Garden

TENNIS - Intervista con Jerry Solomon, ex agente di Lendl, e ora presidente di Stargames, società che organizza eventi sportivi. Per il 2 marzo ha organizzato un quadrangolare con Lendl, Connors, Agassi e Chang a Montreal. "Portare grandi campioni è una garanzia", dice. Perché un evento abbia successo servono tre ingredienti: "La sede, gli atleti, la promozione". Vanni Gibertini

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le rendez vous des maitres: lendl, connors, chang, agassi
le rendez vous des maitres: lendl, connors, chang, agassi

Tra poco meno di un mese, il 5 marzo prossimo, il Madison Square Garden ospiterà per il quinto anno consecutivo il BNP Showdown, uno special event che ha riportato il tennis nel cuore della Grande Mela dopo oltre 15 anni di assenza. L’uomo che ha reso possibile il ritorno del tennis in uno dei suoi palcoscenici tradizionali è Jerry Solomon, ex-agente di Ivan Lendl e ora presidente di Stargames, la società che tra le altre cose si occupa dell’organizzazione di eventi sportivi e che, pochi giorni prima della serata newyorchese, ha deciso di organizzare un quadrangolare di vecchie glorie a Montreal, nella città che detiene il record mondiale di pubblico per i tornei di una settimana (oltre 213.000 spettatori in occasione del Masters 1000 dello scorso agosto). Il 2 marzo infatti si affronteranno in due sfide dal sapore antico da una parte Ivan Lendl e Jimmy Connors, e dall’altra Andre Agassi e Michael Chang.

Durante la sua visita a Montreal prima dell’evento abbiamo avuto occasione di scambiare due battute con lui.

D. Com’è nata l’idea di organizzare un’esibizione a Montreal nel bel mezzo dell’inverno? Ci può illustrare le motivazioni che vi hanno portato a questa scelta?
JS. Cinque anni organizzammo un’esibizione al Madison Square Garden di New York che ora è diventata un appuntamento annuale di grande successo. Di conseguenza abbiamo iniziato a guardarci intorno per trovare altre possibili sedi per un evento di questo tipo. Montreal non era nella nostra “lista”, ma i dirigenti di Evenko [il principale promoter di avvenimenti della città canadese] hanno contattato la BNP [sponsor dello special event di New York], e loro si sono messi in contatto con me. So che Montreal è una città in cui il tennis è molto seguito, ed in base alla nostra esperienza quando si va in una piazza che ha già un grande torneo estivo la gente di solito è molto contenta di avere la possibilità di vedere del tennis anche durante la “off season”. La combinazione di un torneo di una settimana durante l’estate ed una serata durante l’inverno sembra essere una formula vincente.

D. Come sta andando la vendita dei biglietti?
JS. Finora la risposta è stata straordinaria. Abbiamo sponsor importanti come la BNP Paribas, la Genesis by Hyundai è appena diventata presenting sponsor, abbiamo ditte locali che sostengono l’iniziativa, così come grosse aziende internazionali come Wilson o Hugo Boss. Quando ci sono nomi di questo calibro coinvolti, la credibilità dell’evento cresce in maniera esponenziale e ciò normalmente si traduce in biglietti venduti. Siamo molto contenti di come le cose stanno andando finora.

D. Quindi vi aspettate il tutto esaurito?
JS. Io non pronostico mai il tutto esaurito, perché di solito quello dipende anche da circostanze al di fuori dal nostro controllo, ma credo che ci sarà un gran bel pubblico, e l’atmosfera nel Bell Centre di Montreal sarà elettrica: far giovare le stelle in impianti di grande prestigio è solitamente un mix di sicuro successo. E vogliamo far sapere al pubblico che non siamo qui per una serata isolata, ma intendiamo riproporre l’avvenimento anche negli anni a seguire, come abbiamo già fatto al Madison Square Garden.

D. Parlando dell’evento del Garden, lei è responsabile per aver riportato il tennis in un’arena che ha un posto di grande rilievo nella storia del tennis, con i Master maschili e femminili che vi si sono giocati per così tanti anni. Che cosa l’ha spinta a un’operazione del genere?
JS. Pete Sampras un giorno disse che gli sarebbe piaciuto incontrare Roger Federer in un’esibizione, e questo suo desiderio arrivò all’orecchio di Ivan Lendl, che è un mio partner d’affari e di cui sono stato l’agente quando era ancora nel circuito professionistico. Ivan pensava che non fosse possibile organizzzare la cosa, ma me ne parlò ugualmente ed allora cominciai a lavorare al progetto. Io ho iniziato la mia carriera al Madison Square Garden, quando lavorando per la Colgate-Palmolive mi occupavo dell’organizzazione del Colgate Master [nel 1978-79], per cui ho una particolare affinità con quel luogo e credo che sia la più importante arena del mondo. Gli eventi che accadono là hanno un che di magico. In qualche modo sono riuscito a raggiungere un accordo con il Garden, è arrivato uno sponsor, poi abbiamo organizzato la copertura televisiva, e quindi ne abbiamo parlato con Roger. Lui si è dimostrato interessato, anche se a causa dei suoi impegni ci ha dato una sola possibile data per organizzare l’evento.

D. Ed il Madison era libero quel giorno?
JS. Abbiamo dovuto sistemare un po’ il calendario, ma siamo riusciti a realizzare la serata, nel giorno che è oggi diventato l’appuntamento annuale con il tennis al Garden. E’ una data molto congeniale per Federer e per i giocatori in genere [il lunedì precedente l’inizio di Indian Wells, n.d.r], così come crediamo che sia congeniale la data di Montreal: collocata verso la fine dell’inverno, quando la gente comincia a pensare al tennis, darà alla gente la possibilità di trovare ispirazione guardando questi grandi campioni giocare. E vogliamo fare in modo di fugare l’impressione che questo sarà sempre un evento di vecchie glorie: come a New York, dove alterniamo giocatori del passato a campioni contemporanei, anche a Montreal speriamo di avere la possibilità nelle prossime edizioni di coinvolgere i migliori tennisti di oggi.

D. C’è qualche programma di espandere l’evento del Madison Square Garden in qualcosa di più di una esibizione di una sola sera?
JS. Ne abbiamo parlato, ma il calendario al momento non lo permette, e tutti sembrano contenti con la formula attuale, per cui per il momento va bene così.

D. Lei è stato l’agente di Ivan Lendl, con cui è tuttora partner in affari. Ivan ha recentemente iniziato a collaborare con Andy Murray in qualità di suo coach a tempo pieno: come si sposa questo suo nuovo impegno con la sua disponibilità per la esibizione di Montreal?
JS. Nessun problema da questo punto di vista. Quando hanno iniziato a lavorare insieme hanno preso in considerazione gli impegni che entrambi avevano preso in precedenza ed hanno rapidamente raggiunto un accordo. Sembra si sia creata un’ottima intesa tra i due e spero che riescano a raggiungere ottimi risultati.

D. Cosa ne pensa della loro collaborazione? Qual è stata la prima cosa che ha pensato quando ha saputo che avrebbero lavorato insieme?
JS. Ovviamente ero a conoscenza della possibile collaborazione mentre la cosa era in divenire, e credo che sia un’ottima cosa per entrambi. Ivan ha una grande esperienza, un palmares di grande prestigio, un’ottima conoscenza del gioco e dei suoi vari aspetti, è un accanito studioso del tennis, ed anche se negli ultimi anni non è stato in contatto con il mondo del tennis in senso tradizionale, è comunque rimasto molto vicino allo sport a modo suo, ed è comunque una persona molto intelligente ed arguta. Credo che Andy abbia fatto una scelta eccellente e che se riesce a mettere in pratica gli insegnamenti di Lendl potrà arrivare molto lontano.

D. La sua azienda, Stargames, di cui è amministratore delegato, è attiva in parecchi campi oltre a quello dell’organizzazione di eventi sportivi.
JS. Sì, ci occupiamo di rappresentare atleti, di produzione televisiva di eventi sportivi e di show, abbiamo un paio di cose su internet, ma circa il 70% del nostro fatturato proviene dagli eventi sportivi dal vivo.

D. C’è qualche nuovo progetto in arrivo?
JS. Stiamo lavorando su alcune cose ma per il momento è abbastanza prematuro parlarne.

D. Lei ha scritto un libro su come organizzare eventi sportivi di successo. Quali sono i tre aspetti più importanti che bisogna curare per assicurare la riuscita di un evento?
JS. La sede, gli atleti e la promozione.

D. Cosa intende esattamente per “sede”? Uno stadio funzionale, la vicinanza al grande pubblico o qualcos’altro?
JS. Credo che i grandi eventi si identifichino nel luogo in cui si svolgono. Wimbledon si identifica con l’All England Club. Se spostassero lo stesso torneo in un altro luogo, non sarebbe Wimbledon. La 500 miglia di Daytona ha il fascino che ha perché si disputa in quell’autodromo. E così via. Il successo di un evento a mio avviso è legato a quei luoghi nei quali la gente vuole andare, perché sa che lì accadono cose “magiche”. Credo sia un aspetto fondamentale di ciò che facciamo.

D. Quindi lei crede che sia stato un errore spostare gli US Open da Forest Hills a Flushing Meadows nel 1978?
JS. Credo sia stato necessario parecchio tempo per superare la perdita del West Side Tennis Club. Sono stati in grado di ricostruire la tradizione nel corso degli anni, operazione nella quale sono stati aiutati da alcune grandi partite che hanno avuto luogo nella nuova sede. Ma è un’operazione di non facile riuscita. Ormai il torneo si disputa a Flushing Meadows da abbastanza tempo per far sì che la nuova sede sia diventata un luogo iconico. Tuttavia ci sono stati diversi casi in cui ciò non è accaduto. Per esempio, il Boston Garden [il vecchio palazzo dello sport di Boston, dove i Boston Celtics hanno vinto tutti i titoli NBA della loro storia n.d.r]: il vecchio edificio è stato demolito ed hanno costruito una nuova arena moderna. Solo che l’atmosfera del luogo è completamente diversa. Non dico che non sarà mai magica, magari tra 35 anni sarà diverso, ma credo sia difficile trovare un luogo che ha un tale significato nell’immaginario collettivo dei tifosi da trascendere l’evento che vi si disputa. E’ questo che normalmente noi cerchiamo quando vogliamo organizzare un’esibizione.
E’ un errore sostituire le sedi storiche? Qualche volta l’evento diventa troppo grande per la sua sede originale, qualche volta gli edifici diventano troppo vecchi e devono essere demoliti. Dal nostro punto di vista, dal momento che non abbiamo controllo sugli impianti stessi, cerchiamo sempre di scegliere un luogo che abbia un significato intrinseco e possa diventare un’attrattiva in sé stesso.

D. Rimanendo sullo stesso argomento, in Italia da qualche tempo si discute della sede attuale degli Internazionali d’Italia, il Foro Italico, con la sua storia decennale e le sue statue, che specialmente da quando il torneo è diventato un combined ha iniziato a mostrare la sua inadeguatezza soprattutto dal punto di vista delle dimensioni e della disponibilità dei campi. Sono state avanzate ipotesi per la costruzione di un nuovo impianto più lontano dalla città, ma finora il torneo è rimasto nella sua cornice tradizionale nonostante i problemi logistici. Se lei fosse il direttore del torneo, cosa farebbe? Rimarrebbe nella incantevole sede attuale gestendo le conseguenti problematiche, come per esempio il fatto che lo scorso anno Nadal il primo giorno si è dovuto allenare in albergo per la carenza di campi d’allenamento, o cercherebbe di traslocare in una sede più moderna come hanno fatto a Melbourne?
JS. Non ho una conoscenza molto approfondita della situazione dell’Italian Open, ma come ho detto prima, qualche volta l’evento semplicemente diventa troppo grande per la sua sede e bisogna fare la difficile scelta di traslocare. Sono stato al Foro Italico diverse volte e posso dire che se dovesse veramente essere necessario cambiare luogo sarebbe veramente un peccato, perché si tratta di uno scenario davvero unico. Ma qualche volta semplicemente non ci sono alternative.
Ho rapporti di lavoro molto stretti con il Madison Square Garden, che negli anni scorsi ha dovuto affrontare l’ipotesi di una possibile demolizione, dal momento che l’edificio mostrava i segni dell’età e non disponeva delle strutture necessarie nelle arene moderne. E’ stato deciso di restaurare l’arena originale e di intraprendere un lungo progetto di rinnovamento attraverso il quale sono stati in grado di mantenere l’atmosfera unica di quel teatro ed allo stesso tempo integrare gli elementi di modernità che servono per ospitare in maniera degna ed efficiente gli eventi del ventunesimo secolo. Quando fra 2 anni il restauro sarà completato, il Garden sarà non soltanto la più famosa arena sportiva del mondo, ma anche la più straordinaria combinazione di atmosfera storica ed efficienza moderna.
La stessa cosa stanno facendo a Fenway Park [lo stadio dei Boston Red Sox di baseball n.d.r.]: sarebbe stato impossibile ricreare Fenway Park da qualche altra parte, quindi stanno cercando di mantenersi al passo con i tempi conservando allo stesso tempo quell’elemento storico che nello sport è di grande importanza per i fans, gli spettatori, le televisioni e gli atleti. Non è un argomento nel quale ci sia universalmente una soluzione giusta ed una sbagliata, ma è un elemento molto importante che deve essere valutato caso per caso.

D. Cosa rende il Bell Centre di Montreal un’arena meritevole di ospitare un evento organizzato da voi?
JS. Innanzitutto è la seconda arena per numero di spettatori in Nord-America, ospita una delle più blasonate squadre della storia dello sport [i Montreal Canadiens, squadra di hockey NHL fondata nel 1909 e vincitrice di 24 titoli n.d.r.], si trova in una città che è stata teatro di alcuni tra i più importanti eventi sportivi degli ultimi 50 anni, incluse le Olimpiadi, ed è un luogo nel quale gli sportivi vogliono giocare. Quando i giocatori entreranno in campo il prossimo 2 marzo, e vedranno le immagini dei campioni sui muri, le maglie ritirate dai Canadiens sul soffitto e gli schermi giganti, avranno la sensazione di essere una delle migliori arene del mondo, e questo è il motivo per cui abbiamo deciso di venire qui a giocare.

Vanni Gibertini

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La frase del giorno

I grandi eventi si identificano nel luogo in cui si svolgono. Wimbledon si identifica con l’All England Club. Se spostassero lo stesso torneo in un altro luogo, non sarebbe Wimbledon. Il successo di un evento è legato a quei luoghi nei quali la gente vuole andare, perché sa che lì accadono cose “magiche”.

Jerry Solomon

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