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02/03/2012 16:47 CEST - IL RACCONTO

In odore di GOAT: Jack Kramer

TENNIS - Profilo di uno dei più grandi giocatori di sempre, Jack Kramer. Campione da amatore e da professionista. Fuoriclasse anche come commentatore e dirigente di quel mondo del tennis che lo ha visto per quarant’anni come protagonista assoluto. È stato inoltre uno dei fondatori e capi tra i più carismatici dell’ATP. Enos Mantoani

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Jack Kramer in un discorso sulla storia del tennis è quasi come il prezzemolo: c’è più o meno dappertutto. Giocatore, promoter, commentatore, giornalista, fine analista, innovatore. Innovatore sia del gioco che dell’organizzazione tennistica. Se il tennis è com’è oggi, lo dobbiamo molto a lui, alle sue intuizioni, alle sue capacità. È importante perciò avere un profilo (seppur abbozzato e sicuramente incompleto) di questo fuoriclasse americano, pietra miliare del tennis moderno.

John Albert Kramer nacque il primo agosto 1921 e, per chi crede e tiene a questo titolo, è uno dei papabili più forti alla corona di GOAT. Ci sarebbero diversi fiumi d’inchiostro da versare per cercare di raccontare quello che Jack ha fatto per il tennis, noi ci limiteremo a tre aspetti: la sua carriera da giocatore e le sue innovazioni stilistiche, la sua carriera di imprenditore e dirigente nel mondo professionale del tennis, le sue analisi sulla storia e sui giocatori del tennis

 

La sua carriera da giocatore

Scorrendo gli annali le vittorie di Kramer non sono poi così tante: 3 sparuti Slam in singolare (un Wimbledon, 1947, e due US Championships, 1946 e 1947); 6 Slam (due Wimbledon e quattro US) in doppio e uno solo in doppio misto. C’è però da considerare gli anni di attività di Jack: lui, nato nel 1921, dovette servire l’esercito americano negli anni in cui, in teoria, avrebbe potuto certamente lottare per altri titoli degli Slam (che comunque non si giocarono). E appena vinto il titolo di campione americano del 1947 passò al circuito professionista, e quindi non partecipò a nessun altro Slam. Ecco perché per lui, come per altri, il numero degli Slam vinti non è indicativo dell’effettiva grandezza come tennista. Jack era il tipico ragazzo che riusciva in ogni sport, ma visto giocare Vines optò per impegnarsi a fondo nel tennis, e in poco tempo, sotto la guida di esperti mentori che lo influenzarono molto nelle sue scelte di gioco, arrivò a vincere diverse competizioni giovanili a livello nazionale. Il suo gioco si basava sui fondamentali del servizio e del dritto, temibilissimi entrambi. Ma più che altro su quello che sarebbe poi passato alla storia come “tennis percentuale” e come Big Game.

Ovvero, più che basarsi sull’estro individuale, Jack, e la scuola che lo formò, individuarono alcuni colpi, prodotti quasi di serie, che nell’arco di una partita garantivano la maggior percentuale di successo, con minimo scarto di errore. Ad esempio, Kramer colpiva il dritto sempre lungolinea per poi attaccarsi a rete: era infatti convinto che la gran parte degli avversari non sarebbe riuscito a passarlo se non due volte su dieci, e in pochi avrebbero giocato bene il cross stretto di rovescio. Nell’arco della partita, dunque, avrebbe conquistato la maggior percentuale di punti, e quindi il match. Il suo tennis a percentuale, però, prevedeva anche di concentrarsi su certi game piuttosto che su altri, ad esempio (e oggi sembra una banalità) era vitale concentrare i maggiori sforzi sui propri turni di battuta. Seguiva poi sempre a rete il servizio potente e preciso, come ogni colpo d’attacco, il devastante diritto soprattutto; da qui il nome di Big Game e quello di Power Tennis, per Clerici: “i principi della grande industria applicati alla guerra” tradotti in un campo da tennis. Tutti possiamo rivedere questi concetti chiave applicati nelle generazioni successive.

Dopo un anno e mezzo di imbattibilità (compresa la conquista di due Coppe Davis, 1946 e 1947) passò al professionismo (la sua famiglia era benestante, ma non ricchissima) e fino al 1954 si esibì tra i migliori professionisti del suo tempo, iniziando da Bobby Riggs, con il quale iniziò le proprie esibizioni al Madison Square Garden. Poi fu la volta delle tournée con Pancho Gonzales, tournée che vinse nettamente; si impose pure nel US Pro Championships del 1948. Dovette ritirarsi abbastanza giovane dai campi a causa di problemi alla schiena, 1954.

 

La sua carriera di imprenditore e dirigente

Gli ultimi anni del Kramer giocatore furono frastagliati da problemi fisici che, se lo allontanarono dal tennis giocato, gli permisero di iniziare a cimentarsi nell’organizzazione degli eventi. Agli inizi degli anni ’50, infatti, seguendo un po’ il percorso tracciato da Bobby Riggs, iniziò a sedersi dietro la scrivania e a pensare come valorizzare il circuito professionale per attrarre sempre più audience al tennis. È in questi anni che si fece portavoce sempre più fervente dei tornei Open, cioè della possibilità per ogni giocatore, professionista o amatore che sia, di competere in tutti i tornei (a partire dagli Slam, ovviamente). Nel 1960 era lui a sostenere questa istanza, poi bocciata dai dirigenti dei tornei amatoriali (per soli cinque voti): i tempi non erano ancora maturi. Finalmente, nel 1968, venne inaugurata la prima stagione Open, ma altri problemi nascevano per i giocatori; ecco perché fu tra i padri fondatori dell’ATP (1972) assieme a Donald Dell e Cliff Drysdale e il primo direttore (per sua stessa richiesta non pagato). In questa veste lo troviamo, ad esempio, come principale sostenitore del boicottaggio di Wimbledon ’73 a difesa di Niki Pilic. Ma non solo, è uno dei principali artefici, se non l’ideatore, del sistema a punti attribuiti ai risultati dei tornei che, seppur rivisto più volte, conosciamo ancora oggi e che utilizziamo per le varie classifiche.

 

La sua carriera di analista

Altrettanto importante Kramer lo fu come commentatore e come analista del tennis. Non c’è storia del tennis, quando si provi a ripercorrerla, che possa prescindere dal giudizio di Kramer. Nel suo “The Game, My 40 Years in Tennis” (1979) ha fissato una serie di valutazioni e di classifiche che tuttora perdurano. La sua autorevolezza deriva naturalmente dal fatto di aver vissuto nel mondo del tennis per oltre quarant’anni in tutte le vesti possibili immaginabili. Ad esempio, negli anni ’60 fu apprezzatissimo commentatore a Wimbledon per la BBC (scaricato nel 1973 in quanto, come detto, boicottò il torneo). Poi lo ritroviamo come giudice arbitro a Los Angeles. Poi come scrittore di memorie tennistiche. Insomma, non si può dire che non amasse quell’ambiente e che non lo conoscesse come le sue tasche. Proprio nel 1968, data oltremodo significativa, fu introdotto nella International Tennis Hall of Fame in Newport. Morì nel 2009 nella sua casa di Bel Air, California.

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