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16/03/2012 18:15 CEST - Personaggi

My name is Isner, John Isner

TENNIS - Spesso bistrattato e poco considerato, nel giro di pochi anni il gigante statunitense ha compiuto enormi progressi che lo hanno portato in alto. E' lui a 26 anni il presente e futuro degli USA? Rossana Capobianco

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La prima volta che si presentò al grande pubblico fu nell'estate del 2007: Flushing Meadows, Arthur Ashe Stadium, contro un certo Roger Federer che in quel match riuscì a scavalcare con un pallonetto di dritto il ragazzone di duemetriezerosei che allora gli soffiò anche un set, il primo di un terzo turno di uno slam conclusosi poi in maniera trionfante per l'elvetico.

John Isner, allora semplice spilungone bombardiere e promessa statunitense senza troppe pretese, non avrebbe immaginato, in quel momento, che cinque anni dopo, su una superficie a lui ancora indigesta come la terra rossa avrebbe provocato all'avversario di quel giorno una delle maggiori delusioni e sorprese della carriera.

Un altro lampo: Madrid 2010, ancora terra, ancora un altro terribile avversario. John deve vedersela contro Nadal, "El rey" della terra battuta a casa sua, match serale. Isner si è già affacciato a livelli medio-alti, ma le rotazioni di Rafa, la tensione, la sua difficoltà negli spostamenti laterali non può permettergli di competere come vorrebbe. Eppure lo fa, botta di servizio, dritto a chiudere, tra un respiro affannato e un altro per tirare fuori quell'ansia che si sente addosso, quella paura di essere "tennisticamente stuprato" dal cannibale al di là della rete. John non ci sta, e perde dignitosamente 7-5 6-4.

Di lì a poco avrebbe vinto una partita-maratona durata tre giorni a Wimbledon contro Mahut che entra nei record e nella storia. Non vi ha solo "partecipato", l'ha vinta. Perchè Isner è uno che se può, vince.

Solo un anno dopo, a Bois du Boulogne, ha ancora di fronte il maiorchino: primo turno. Nessuno sospetta che uno spilungone come lui possa realmente rappresentare una vera sfida per Nadal. Tre su cinque, poi, neanche a parlarne.
Invece quello è il momento in cui Isner mostra a tutti di che pasta è fatto
: d'accordo, la terra rossa, specie quella parigina, non sarà più la palude di una volta. Le palline usate a Parigi sono tra le più veloci del circuito, anche. Tutto quello che volete.
Ma tenere testa a chi ha vinto il Roland Garros per ben sei volte (e chissà quante altre ancora), portandosi 2 set a 1 di vantaggio e cedendo solo al quinto, non è da tutti.

Già contro Djokovic a Belgrado in Davis aveva dimostrato che non era un caso. E non è un caso nemmeno quell'undicesima posizione in classifica mondiale.

John Isner non è un semplice spilungone bombardiere che si tiene a galla solo col servizio (che poi, anche fosse, il servizio non è forse un colpo esattamente come il dritto, il rovescio, la risposta?). Isner è prima di tutto un giocatore vero, uno che la partita non te la regala mai, uno che sa cosa vuol dire costruirsi il punto e che nel giro di due anni ha migliorato di tanto l'appoggio sul proprio rovescio, potenziato anche di più il dritto esplosivo; è riuscito a dare una continuità alla propria risposta.

Non è un caso che anche sulla terra battuta abbia raccolto prestazioni e risultati che chi si ferma alla superficialità dell'apparenza può giudicare sorprendenti: Isner ha un'ampia preparazione dei colpi, e la terra battuta gli consente di colmare il gap tra questo e il ritardo negli spostamenti che, per quanto colmato, resta comunque ovvio data la mole. In più il dritto da sopra la spalla non ha solo potenza, ma anche un discreto margine di errore. E' un giocatore che, come Robin Soderling -con le dovute differenze- cresciuto sui campi rapidi ha poi trovato una propria confortevole dimensione anche sui campi più lenti e sulla terra.

E oggi, la top-ten è sempre più vicina: lì, ad un passo. Sarebbe così sorprendente se quello che viene liquidato facilmente come "semplice spilungone bombardiere" riuscisse a qualificarsi per le World Tour Finals di Londra?

Rossana Capobianco

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