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17/03/2012 23:12 CEST - Personaggi

Che fine ha fatto Melanie Oudin?

TENNIS - Nel 2009, Melanie Oudin è diventata la più giovane americana nei quarti degli Us Open dopo Serena Williams. Ora non vince una partita in un main draw da settembre. Una favola già finita? Alessandro Mastroluca

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L’hanno chiamata “Cenerentola”. Anche lei deve una parte del suo successo alle scarpette. Ma anche per lei il ballo a corte sembra essere finito. E chissà se ritornerà.

Nell’estate 2009 tutti gli Stati Unti si erano emozionati e commossi per la corsa di Melanie Oudin “l’ammazza-russe” (ma nessun revival di guerre fredde e cortine di ferro) che aveva eliminato Dementieva, Petrova e Sharapova prima di cadere davanti a Caroline “Wall-zniacki” ai quarti. Un trionfo talmente inaspettato che Melanie Oudin ha dovuto cambiare albergo: il superamento degli ottavi ha coinciso con la fine della prenotazione della stanza al Marriott di Manhattan con conseguente spostamento all'Intercontinental Hotel.

Era stato anche quel motto, “Believe!”, che portava scritto sulle scarpe, a spingerla fin lassù oltre le sue colonne d’Ercole. Si era fatta convincere dal boyfriend di allora, il 15-enne Austin Smith, che pure è una discreta promessa ed è all’ultimo anno della Keyston High School a Cumming, in Georgia. “Perché per me sta tutto in quello: credere che posso battere le tenniste più forti del mondo” diceva quella che Stefano Semeraro definiva “una sorta di Henin versione yankee, ancora da rifinire, ma già rincuorante per chi crede che il tennis non sia solo questione di muscolo”.

Qualche mese prima, a febbraio, aveva debuttato in Fed Cup, contro l’Argentina. Tutto merito di una bambina di sette anni, la figlia del capitano Mary Joe Fernandez. “Mamma, è così positiva” le ha detto mentre la guardavano giocare agli Australian Open. Detto fatto. Melanie debutta perdendo 62 75 da Gisela Dulko ma nella seconda giornata regala agli Usa un punto decisivo: batte 26 61 62 Betina Jozami e porta la sfida sul 2-2. Gli Stati Uniti poi vinceranno il doppio e passeranno in semifinale. “Guardandola non puoi dire se sta vincendo o perdendo” ha commentato Fernandez. “Anche quando è sotto, sembra sempre molto su”.

Sempre molto convinta di sé e dei suoi obiettivi, ha deciso di giocare a tennis a nove anni, guardando Wimbledon in tv. “Sarò su quei campi a 16 anni” disse alla mamma. Ha mantenuto la promessa. C’è forse una sola persona che ha invidiato, la sorella gemella Katherine, che poteva andare ai balli della scuola mentre Melanie ha avuto un insegnante a domicilio per potersi allenare quattro ore al giorno. Probabilmente un po’ del suo spirito competitivo le deriva proprio dal confronto quotidiano e costante con la sorella.

Non gioca nemmeno male a tennis, Katherine: è nel circuito universitario, studia alla Furman Unversity e sogna di diventare chirurgo e trovare una cura contro il cancro. Melanie, invece, dopo le luci, i riflettori, dopo il ballo di corte e una nazione convinta di aver trovato una nuova speranza nella più giovane quartofinalista degli US Open dopo Serena Williams, ha smesso di vincere o quasi. L’incantesimo di Cenerentola si è spezzato. Ora è fuori dalle prime 200, non ha nemmeno la classifica per entrare nelle qualificazioni di gran parte dei tornei più importanti. Non vince una partita nel main draw di un torneo da settembre, dal primo turno di un ITF da 75 mila dollari a Albuquerque. Il mese scorso ha perso al debutto in un Challenger USTA in Arizona ed è tornata a casa con un assegno di 294 dollari. E certo la vittoria agli US Open in doppio misto con Jack Sock non può essere sufficiente come premio di consolazione.

Alla fine della scorsa stagione ha lasciato il suo storico allenatore, Brian DeVilliers, che la segue da quando Melanie aveva nove anni. Brian è rimasto con lei anche dopo esser stato tirato in ballo dal padre di Melanie, John Oudin, che ha presentato causa di divorzio accusando sua moglie Leslie di aver fatto sesso con De Villiers.

Si è rivolta al programma di sviluppo della USTA e ha trovato sostegno in Tom Gullikson, ex coach di Pete Sampras e capitano della Davis americana nonchè gemello di Tim, scomparso nel 1996 per un cancro. È grazie a Tim che Sampras è diventato Sampras. Padre, fratello, psicologo e coach, è lui che l’ha preparato a scalare i vertici del tennis. Quando durante i quarti degli Australian Open contro Courier qualcuno dagli spalti grida “Vinci per Tim”, che ha appena avuto il primo attacco, Pete scoppia in lacrime e vince al quinto.

Tom, che per anni è andato in giro per gli Stati Uniti con il fratello, con Sampras e il suo maestro di golf Jim Loehr, che ad ogni inizio maggio si è incontrato con “Pistol Pete” sulla tomba di Tim, ora ha una nuova missione. Far rivivere l’esempio di Tim, che è nato allenatore, che lo riempiva di consigli sui prossimi colpi sui green di golf e sui campi da tennis, e con cui ha raggiunto la finale di Wimbledon in doppio nel 1983.

Non è stato un tennista di vertice, ma ha chiuso la carriera con un record positivo contro Edberg, Gerulaitis, Borg e Connors. Sapeva esaltarsi quando serviva. Melanie sembra aver dimenticato come si fa.

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Alessandro Mastroluca

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