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31/03/2012 08:49 CEST - Rassegna Nazionale

Nadal sl blocca ancora, Murray diretto in finale (Martucci); Sampras choc "Odiavo l'erba di Wimbledon" (Semeraro); Nadal, smash al doping (Condò); Otto azzurri ci provano al Tc Eur (Palizzotto)

31-03-2012

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Nadal sl blocca ancora, Murray diretto in finale (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 31-03-2012)


Povero, Rafa. Alla vigilia di Melbourne, il ginocchio destro gli si era bloccato alzandosi da una poltrona dell'albergo, ma non gli aveva negato un'altra finale epica contro Djokovic (ancora persa, però). Dopo un mese di cure, a Indian Wells, il ginocchio sinistro gli aveva impedito di schizzare di qua e di là per il campo come una molla (e ha ceduto a Federer): «Prima, ho fatto delle iniezioni, ma il problema non è sparito». A Miami, lo stesso ginocchio gli ha fatto stringere i denti sin dal via, l'ha costretto a cedere un set a Nishikori e un altro a Tsonga («La situazione è peggiorata di giorno in giorno, il ginocchio mi fa male, quando uno non sta bene le vittorie sono ancora più importanti perché fai quel che puoi»), e quindi gli ha fatto alzare bandiera bianca prima delle semifinali contro Andy Murray, via twitter: «Mi dispiace peri miei tifosi a Miami e nel mondo, ma oggi il mio ginocchio non mi permette di giocare».
 

Dannato Povero Nadal, perché il formidabile mancino di Maiorca convive da sempre con i guai alle articolazioni, dalla pianta dei piedi alle ginocchia (tendinite), e ha un gioco molto fisico, che lo costringe a continui, vigorosi, scatti, strappi, sforzi. In passato, la foga, l'amore per lo sport e lo spirito guerriero sono stati cattivi consiglieri, e Rafa ha peggiorato la situazione giocando sempre e comunque, sul dolore. Stavolta, nell'imminenza della stagione sulla terra del 15 aprile a Montecarlo (torneo che vince da 7 anni consecutivi), il più grande terraiolo di sempre tira il freno a mano, dando via libera a Murray per la finale contro il vincente di Djokovic-Monaco: «L'infortunio non è peggiore di prima, le cure funzionano, i tendini vanno meglio di tre anni fa, ma devo fermarmi. E non per recuperare per Montecarlo, proprio perché non riesco a giocare».
 

Sharapova-Radwanska La finale donne di oggi fra Maria Sharapova ed Agnieszka Radwanska sembra già dell'ex numero 1 (e regina di 3 Slam), resuscitata da una grave operazione alla spalla, lanciata dalle sette vittorie contro una sola sconfitta nei precedenti contro la polacca, finalista già altre tre volte nel terzo mega-torneo della stagione (dopo Australian Open e Indian Wells), motivata da ricordi importanti: «A 12-13 anni, era l'unico torneo che guardavo da spettatrice. Venivamo da Bradenton (la Nick Bollettieri Academy, ndr), quattro ore d'auto con la famiglia e vedevo Rios, Kafelnikov e Seles». Ma, a Miami, «Masha» ha perso tre finali su tre e quest'anno ha balbettato, cedendo sotto il traguardo a Melbourne e Indian Wells. Mentre Agnieszka, «la nuova Hingis», non ha perso un set, smascherando Venus Williams e tagliando le gambe, per la settima volta su sette duelli, alla Bartoli (già handicappata dai soliti problemi muscolari). Eppoi, in questi primi mesi, la polacca ha vinto 25 partite (e un titolo, a Dubai), perdendo solo con la regina Azarenka, e sbandiera lo sgambetto alla Sharapova agli Us Open 2007, da numero 32 a 2 del mondo.
 

Sampras choc "Odiavo l'erba di Wimbledon" (Stefano Semeraro, La Stampa, 31-03-2012)

Pete Sampras, l'uomo che nel tennis moderno ha vinto più titoli di tutti a Wimbledon - sette, dal '93 al 2000 con l'eccezione del '96 - odiava giocare sull'erba. Non è un'illazione, ma una confessione: è stato Pistol  Pete in persona a raccontarlo in una intervista alla Cnn. Provate a pensarci: come se un leone rivelasse al National Geographic di aver sempre preferito il sushi all'antilope, o Rocco Siffredi di aspirare segretamente alla castità. Invece è proprio così.
 

«L'erba non mi piaceva per nulla», ha detto davanti alla telecamera il quarantenne ex-numero 1 del mondo, recuperando fra i riccioli ormai diradati il ricordo dell'antico astio. «La prima volta che mi ci trovai sopra scoprii di odiare la superficie. Per due o tre anni faticai tantissimo. Mi irritavo, in campo sembravo apatico. Avevo l'impressione che Wimbledon non facesse proprio per me». Okay. Con quella camminata da cowboy ipoteso e il linguone a penzoloni Sampras raramente è stato il ritratto del furore agonistico, ma tutti avevamo sempre pensato che si trattasse di una inclinazione naturale, non di una allergia al vegetale. Invece dietro a gesti che parevano perfetti per il lawn tennis, nel backstage mentale di quel serve & volley spietato ed entusiasmante si nascondeva la stessa convinzione che prima e dopo di lui avevano maturato, fra i tanti, Ivan Lendl e Marat Safin: «l'erba è buona per pascolarci le mucche». Una rivelazione. Condita dal sospetto che nei dintorni della clamorosa ammissione ci sia il tentativo, magari inconscio, di pareggiare il conto con l'antico rivale Andre Agassi, che nella sua fortunatissima autobiografia «Open» sostiene (a posteriori) di aver detestato non solo l'erba, ma il tennis tout-court, e con Serena Williams che ha confessato apertamente «di non sapere perché è diventata un'atleta».
 

È vero che casi di rigetto più o meno violento non sono inusuali fra i campioni dello sport, a partire da Federica Pellegrini e Laure Manaudou. Becker e Noah furono trasportati sull'orlo del suicidio dall'enorme notorietà - che pure attraverso il tennis avevano inseguito - Niki Lauda, dopo il rogo del Nurburgring nel '76 provò per la prima volta terrore verso l'adrenalina della Formula L Roberto Duran nel match con Sugar Ray Leonard disse «no mas» al mestiere di prenderle; la primatista del mondo degli 800 metri Vera Nicolic, dopo l'eliminazione ai Giochi del 1972 uscì sullo slancio dallo stadio e fu recuperata al volo mentre tentava di buttarsi da un ponte, mentre Paolo De Chiesa prima di uscire dal cancel-letto per uno slalom sospettava che il pubblico attendesse solo di vederlo inciampare in un paletto.
 

Alla fine, però, intolleranze e ansie i fuoriclassi veri sanno domarle, superarle, trasformarle in motivazioni aggiuntive. «Quando un anno raggiunsi le semifinali - ha concluso quel vegetariano convertito di Sampras - ruppi l'incantesimo e cominciai a impadronirmi di Wimbledon». Restiamo in attesa di scoprire, fra un decennio, che Nadal ha sempre e solo voluto giocare a cricket.
 

Nadal, smash al doping (Paolo Condò, Sportweek/La Gazzetta dello Sport, 31-03-2012)

L’eterno dilemma fra il sospetto in assenza di prove e la presunzione d'innocenza riemerge prepotente nella bella intervista che Rafael Nadal ha concesso qualche giorno fa a Julien Reboullet dell'Equipe.

La tribuna non è stata scelta a caso dal campione maiorchino, perché quello che assieme alla Gazzetta è il quotidiano sportivo più prestigioso del mondo appartiene alla Francia, il Paese che più di ogni altro incalza la Spagna sul tema del doping. Lo scorso anno uscì allo scoperto Yannick Noah, ironizzando sulla "pozione magica" che sarebbe alla base dei molteplici successi iberici; e a gennaio una trasmissione satirica di Canal Plus, Les Guignols, ha scherzato anche più pesantemente (una caricatura di Nadal faceva la pipì nel serbatoio di un'auto che subito partiva a razzo) innescando una guerra diplomatica arrivata a livello di ambasciatori. Diciamo subito che nell'intervista in questione la difesa di Rafa è degna del suo stile di gioco: convinta, grintosa, aggressiva, assoluta.

«Non accetto di venire etichettato come dopato dopo che dall'età di sette anni avrò passato migliaia di ore sul campo a lavorare per migliorare». Ha ragione lui: da quando ha cominciato a far soffrire Federer - della cui perfezione stilistica siamo tutti perdutamente innamorati - Nadal è sempre stato gratificato di maliziose battutine. «certo che è instancabile», «guarda che muscoli ha messo su» e così via. II che è sommamente ingiusto se messo in parallelo con le centinaia di controlli superati senza problemi.

Non siamo così ingenui da non sapere che in molti casi il doping è un passo avanti l'antidoping, ma se ci autoconvinciamo che Tizio è pulito e Caio sporco a prescindere dai risultati dei loro test, salta l'unico parametro possibile e giudichiamo in base a simpatie e antipatie. In giro sul web, o meglio ancora su Twitter, capita di leggere farneticanti accuse al Barcellona in generale e a Messi in particolare, e questo malgrado i controlli a sorpresa effettuati quest'anno al centro sportivo dei catalani abbiano di gran lunga superato quelli delle stagioni precedenti. «Dobbiamo essere reperibili 365 giorni all'anno, non possiamo sparire nemmeno 24 ore», si lamenta Nadal. «e dunque cosa possiamo fare di più per essere creduti».

Forse accettare l'idea opposta: chi viene beccato, pulito non è. Rafa difende a spada tratta Alberto Conta-dor («mi fido di lui perché è un caro amico, si può risultare positivi in tante maniere fortuite») cadendo nell'errore uguale e opposto: rifiutarsi di credere ai controlli per non urtare una convinzione predefinita. E’ possibile che i test antidoping non siano attuali, ma il nostro modo di ragionare è ancora più vecchio.
 

Otto azzurri ci provano al Tc Eur (Daniele Palizzotto, Il Tempo Roma, 31-03-2012)

Parte dal Circolo Tennis Eur la stagione tennistica laziale. Da oggi lo storico circolo di viale dell'Artigianato ospita il tradizionale torneo Itf Future con montepremi da 15 mila dollari, giunto alla 4la edizione e con un campo di partecipazione interessante: il numero uno del tabellone è il 26enne olandese Boy Westerhof, numero 288 della classifica mondiale, mentre il secondo favorito del torneo è il 27enne marchigiano Daniele Giorgini, numero 294 Atp e campione in carica al Ct Eur. Tanti gli italiani ai nastri di partenza del torneo romano. In attesa del responso delle qualificazioni (in programma oggi e domani) sono otto i tennisti azzurri già ammessi al tabellone principale, al via lunedì mattina: Claudio Grassi (numero 357 Atp), Luca Vanni (384), Riccardo Bellotti (423) e Riccardo Sinicropi (451), più le wild card Marco Cecchinato (19enne numero 584 in ascesa), Marco Viola (682) e Davide Della Tommasina (1141), oltre al già ricordato Giorgini.

«Anche quest'anno il livello è molto buono—ha spiegato il direttore del Future romano Peppe Pozzi — Su questi campi sono passati tanti futuri campioni, da Davydenko a Ferrero, da Andreev a Bellucci fino all'amico Noah. Il tennista che più mi ha colpito? Forse Berdych». In attesa di conoscere il nome del 41 vincitore del torneo (la finale è in programma sabato 7 aprile alle 10), Pozzi ha già in programma una sorpresa per il prossimo anno: «Mi piacerebbe festeggiare il 50° anniversario del circolo organizzando un challenger da 50 mila dollari, e poi chiudere con l'organizzazione».
 

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