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01/04/2012 11:25 CEST - Rassegna Nazionale

Una nuova Hingis: Radwanska manda in tilt la Sharapova (Martucci); Radwanska regina, Vinci-Errani in finale di doppio (Giorni); Radwanska trionfa a Miami (Palizzotto) ; Federer come esperienza filosofica (Imarisio)

01-04-2012

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Rubrica a cura di Davide Uccella

Una nuova Hingis: Radwanska tocco e tattica manda in tilt la Sharapova (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 01-04-2012)


La formica batte la cicala. Agniewska Radwanska non è appariscente, non è esaltante, e tanto meno eccitante, ma, da freddo, intelligente, difensore, imbavaglia l'esplosività fisica ed anche sonora di Maria Sharapova, strappandole la finale di Miami in due set pieni di equilibrio e di 45 errori (e 31 vincenti) della favorita. Aggiungendo una quarta delusione sotto il traguardo a quelle 2005, 2006 e 2011 della russa, allevata proprio in Florida, alla Nick Bollettieri Academy. Dimostrando, col secondo successo stagionale (dopo Dubai), e la seconda affermazione dopo 6 sconfitte di fila con la Sharapova, di aver fatto il salto di qualità contro avversarie di qualità ed esperienza, in un torneo importante, vinto senza cedere un set. Celebrando l'anniversario di Martina Hingis, la fuoriclasse alla quale «Aga» s'avvicina per intelligenza tattica, che proprio il 31 marzo, 1997, diventava 1 del mondo.


Azarenka Sia Sharapova (n. 2 del mondo) che Radwanska (4) approfittano dell'assenza di Victoria Azarenka, numero 1 del mondo e campionessa uscente a Miami, che quest'anno è stata praticamente l'unica a stopparle, firmando 2 delle 3 sconfitte di Masha ed addirittura tutt'e 4 quelle di Aga (contro 26 successi). Ma, mentre la famosa Sharapova non riesce a piazzare quasi mai l'uno-due, costretta a lavorare troppo di piedi e di mano per adattarsi alle continue palle avvelenate, la polacca è concentratissima sul servizio — il suo tallone d'Achille —e allunga molto gli scambi, lavorando ai fianchi l'attaccante siberiana, proprio come ha studiato a tavolino.


Servizio Così, la russa si tiene a galla con l'ottima prima di battuta, ma non entra con decisione sulla seconda, notoriamente deboluccia dell'avversaria, finisce troppo spesso i punti con la lingua di fuori e perde lucidità soprattutto col dritto. Proprio col suo colpo meno affidabile butta via le due palle break del primo set, troppe occasioni in mezzo al campo, e, clamorosamente, anche il primo set, dopo un'ora di estrema concentrazione. Con un tabellino eloquente: 25 vincenti e 16 errori Masha, 1/8 Aga.

Resistenze Chiusa in trincea a fondocampo, la Radwanska — ultima scommessa vincente di Veso Matjas — pizzica spesso e volentieri la Sharapova fuori posizione e la spinge a forzare, a strafare, a dubitare. La situazione peggiore per un attaccante, perché prelude all'errore. Che arriva, clamoroso e a ripetizione, di dritto, sull'importantissi-ma palla-break sul 3-3 del secondo set, e quindi sul 5-4 Radwanska, quando la Sharapova si scioglie, dopo un'ora e tre quarti.
 

Intelligenza «Per battere Maria bisognava essere al 100%. Sono contenta di aver giocato al miglior livello. Il servizio è stata la chiave del match», si sfoga al microfono in campo la vincitrice, dopo l'abbraccio con la sorella Ursula, tennista pro anche lei. Masha, a parte gli errori, deve meditare sugli scivoloni proprio sul finire di set, sulla terza finale stagionale persa (dopo Melbourne e Indian Wells), oltre a quelle dell'anno scorso ancora a Miami e a Wimbledon. Insomma, ha ritrovato il servizio, dopo la grave operazione alla spalla, ma deve ritrovare cattiveria agonistica e lucidità sui punti importanti. Ma il tennis donne esulta comunque: la Radwanska è un gran bell'esempio tennistico, la nuova frontiera di un gioco non possente, ma vario: «Non sarò mai in grado di battere come Maria, cerco di fare cose differenti e di mixare». Alla Hingis.

 

Radwanska regina, Vinci-Errani in finale di doppio (Alberto Giorni, Il Giorno 01-04-2012)

Il torneo di Miami resta tabù per Maria Sharapova, che perde la quarta finale (dopo quelle nel 2005, 2006 e 2011) per la felicità della sua giustiziera, Agnieszka Radwanska. La polacca, n°4 del ranking mondiale, si impone 7-5 6-4 vendicando le numerose sconfitte del passato con la siberiana che l’aveva battuta sette volte su otto. La Radwanska firma così il nono titolo in carriera, il più importante: a Miami ha vissuto la settimana perfetta, senza perdere neanche un set e superando tra le altre Venus Williams e la Bartoli. Il suo bilancio stagionale è ora di 26 vittorie e 4 sconfitte, tutte patite con la numero uno del mondo Victoria Azarenka, che l’ha stoppata a Sidney, Australian Open, Doha e Indian Wells. La polacca, che in altezza rende 16 centimetri alla Sharapova (172 contro 188) ha disputato un match di grande intelligenza tattica giocando meglio nei momenti importanti. Nella prima frazione il break decisivo è giunto al dodicesimo game, mentre nella seconda è arrivato al decimo: fatale l’ultimo rovescio in corridoio della Sharapova, autrice di troppi errori gratuiti.

Oggi è in programma la finale maschile tra Novak Djokovic ed Andy Murray (diretta tv alle 19 su Sky Sport 2) e dal doppio femminile arrivano buone notizie per i colori azzurri. Sara Errani e Roberta Vinci, teste di serie n°6, hanno superato in semifinale 7-5 6-3 Paola Suarez e Gisela Dulko (abituale partner di Flavia Pennetta, “tradita” per formare una coppia argentina in vista delle Olimpiadi). Oggi in finale affronteranno il duo russo formato da Nadia Petrova e Maria Kirilenko, n°5 del seeding. In caso di successo, Sara e Roberta conquisterebbero il terzo titolo dell’anno (dopo Monterrey e Acapulco, oltre alla finale persa agli Australian Open) e il settimo assoluto: l’anno scorso si sono imposte a Hobart, Pattaya City e Palermo, mentre nel 2010 hanno trionfato a Marbella e Barcellona. Un curriculum incoraggiante a quattro mesi dai Giochi di Londra.
 


Radwanska trionfa a Miami (Daniele Palizzotto, Il Tempo Roma, 01-04-2012)


Miami incorona Agnieszka Radwanska. Nella finale del prestigioso appuntamento di KeyBiscayne la polacca, numero 4 mondiale, ribalta il pronostico dettato dai precedenti e supera 7-5 6-4 Maria Sharapova, per la quarta volta sconfitta nell'atto conclusivo del torneo americano. Per la 22enne Aga è il nono titolo in carriera, sicuramente il più importante dopo Stoccolma 2007, Pattaya City, Istanbul e Eastbourne 2008, Carlsbad, Tokyo e Pechino 2011 e il recente trionfo colto a Dubai. Per qualcuno può sembrare sorprendente, ma la nuova Hingis sembra finalmente pronta all'ultimo salto di qualità. La Radwanska ha sempre giocato bene, anzi benissimo, ma ora riesce a farlo anche nei momenti importanti. A Miami la polacca ha ceduto appena 30 game in sei partite e quest'anno vanta un bilancio di 26 successi e sole 4 sconfitte, tutte subite dalla numero uno mondiale Azarenka. Oggi pomeriggio tocca agli uomini. La finale del Masters 1000 di Miami vedrà di fronte Novak Djokovic e Andy Murray (ore 19, diretta Sky Sport 2), al 23 confronto in carriera, il terzo quest' anno. Il serbo conduce 7-5 nei precedenti, ma lo scozzese ha vinto l'ultimo scontro diretto giocato lo scorso mese a Dubai e sembra in buone condizioni. E per una volta sul campo centrale di Key Biscayne ci sarà spazio anche per d'Italia: Sara Errani e Roberta Vinci disputeranno infatti la finale del torneo di doppio contro la coppia russa formata da Maria Kirilenko e Nadia Petrova.


Federer come esperienza filosofica (Marco Imarisio, Il Corriere della Sera / Supplemento “La Lettura”, 01-04-2012)

Roger Federer si è ritirato, dal tennis e dal mondo. Le sconfitte per mano di avversari più muscolosi, adepti del cyber-tennis che avanza, lo hanno consegnato a un crepuscolo da semidio. Un giornalista si appassiona al mistero della sua improvvisa sparizione. Entra nella sua villa di Basilea. Lo trova sdraiato nella sala dei trofei, in posizione fetale. Sulla scrivania, i libri dei suoi filosofi preferiti. Il campione è discepolo del trascendentalismo di Henry David Thoreau, il rapporto con la natura come possibilità per l’individuo di ritrovare se stesso in una società che non rappresenta i suoi valori, e della metafisica della qualità di Robert Pirsig, la presenza del divino non solo nella bellezza del paesaggio ma anche negli ingranaggi del cambio di una Harley Davidson. Il seguito di Je suis une aventure, romanzo esistenzial-filosofico del francese Arno Bettina (Editions Verticales) è un viaggio delirante che comprende il tentativo di furto della sua statua di cera al Madame Tussauds di Londra, e si conclude sulle rive del Niger, epilogo conradiano della traversata nel cuore di tenebra dell'idolo caduto. Lo stiamo perdendo, la verità è questa. Non importa quanti tornei vincerà ancora: guardarlo significa ormai prepararsi alla sua assenza. Ci saranno ancora fiammate, come avvenuto in queste settimane. Lo aiuteranno a illudersi che tutto è come prima, che si può inchiodare a fondo campo anche l'età che avanza, non solo gli avversari. Ma il risveglio sarà inevitabilmente amaro. Per lui, per noi.


In questo tennis, Federer è postumo in vita. Lo è sempre stato, forse, con quella bellezza estetica desueta e veloce. Il primo a capirne il potenziale mistico fu il mai troppo compianto David Foster Wallace, che in Roger Federer come esperienza religiosa (Edizioni Casagrande) tentò di spiegare l'elemento quasi esoterico nascosto in quei gesti leggeri. E dopo sono arrivati gli studiosi di filosofia, attirati dal paradosso di Federer, essere così moderno e così fuori dal suo tempo. «Lo stile e la presenza di Roger portano il tennis in un'altra direzione rispetto a quella tracciata dagli imperativi tecnici, economici e mediatici. Rivelano resistenza di una via di fuga». André Scala, uno dei più importanti studiosi dell'opera di Spinoza, ne è convinto. In Silences de Federer (Editions de la Différence) afferma che Roger Federer non è stato un monarca, ma un legislatore che tenta una impossibile restaurazione, o rivoluzione, neoclassica. A questo punto è necessario un passo indietro. Non può essere solo una coincidenza. Sia Scala che l'epistemologo Hans Ulrich Gumbrecht nel suo In praise of Athletic Beauty (Harvard University press) identificano con certezza l'ora e il giorno in cui tutto cambiò, e il tennis classico dovette cedere il passo a un nuovo ordine. Alle 19.08 del 10 giugno 1984, finale del Roland Garros, John McEnroe, il più geniale e creativo tennista di sempre, mette in rete una facile volée di dritto. Dall'altra parte esulta l'incredulo Ivan Lendl, il suo esatto contrario, sportivo e non solo. Game, set, match. In quel «momento barbaro», sostiene Scala, il tennis entra nell'era della sua riproducibilità tecnica.
 

Gumbrecht invece piange sulla vittoria del «gesto ripetuto sempre più forte, il concetto di forza come mercificazione dello sport». Abbiamo vissuto anni bui. Le poche luci, come quella emanata da Stefan Edberg, erano bagliori di una classe troppo leggera per essere definitiva. Il tennis è diventato cyber-tennis, luogo di forzuti e di parossismo atletico. Poi è arrivato Federer. Dice David Baggett, autore di tomi poco leggeri come Il buon Dio, ovvero la fondazione teistica della moralità nonché curatore di un monumentale Tennis and philosophy (edizioni Liberty University), che il suo avvento «obbliga a riplasmare i concetti di eccellenza ed estetica applicati all'era tecnologica». L'inconsapevole neoclassicismo di cui è portatore si riflette sul personaggio.
 

Frigidaire, re Indesit, questi sono i nomignoli che nel tempo hanno sottolineato una innegabile banalità espressiva. Andre Agassi, lo abbiamo letto in Open, odia il tennis. Anche Rafael Nadal e Nole Djokovic potrebbero giungere a conclusioni simili, una volta spente le luci della ribalta. Troppo sforzo, troppa sofferenza. Federer è diverso. «Gioca con un senso storico — scrive Scala —, convinto che il nobile passato del suo sport non sia materia da archivio. Si accosta a esso senza nostalgia, ma convinto di poterne realizzare le potenzialità mai espresse». Il tennis è tutto per lui, il tennis gli basta. «Il suo modo d'essere imperturbabile — sostiene Baggett — altro non è che l'omaggio a una storia dalla quale si sente rappresentato». Nessuno sfugge alla propria nemesi, e non si può parlare di Federer senza citare Rafael Nadal, il Grande Restauratore, un Metternich spagnolo che ha interrotto la sua opera di umanizzazione, umiliandolo a più riprese e dimostrando così al mondo che un altro tennis non era più possibile. Anche qui viene in soccorso la storia del pensiero, grazie a Carlo Magnani, professore all'Università di Urbino, autore di Filosofia del tennis (Edizioni Mimesis), libro di rara intelligenza e leggerezza, almeno a parere di chi scrive.
«Nel tennis Federer occupa la posizione di Heidegger nella storia del pensiero. Un uomo estremamente poco complicato si è ritrovato nel ruolo del Profeta, colui che porta finalmente la Reincarnazione e la Luce in un mondo compromesso e sconsacrato». Con il suo tremendismo agonistico, Rafael Nadal invece non esprime la metafisica della bellezza, ma quella della forza vitale. Il riferimento, anche in questo caso a sua insaputa, è l'anticartesiano Henri Bergson. «Pure lui è immerso in una raffigurazione che mira a trascendere l'esistente però non dal lato estetico ma da quello della espressione di pura energia. Tutto è spirito e forza vitale, perché a prevalere è il moto interiore e la volontà».
 

La finale degli ultimi Australian Open dimostra chi sia il vincitore finale. Quasi sei ore di battaglia muscolare tra Nadal e Nole Djokovic, portatori di un tennis inumano ed estremo, segnato dallo sforzo fisico. Federer non c'era, non poteva esserci. E in fondo questo elenco di romanzi e saggi filosofici più o meno seriosi sul suo conto non sono altro che un anticipo del rimpianto. Quando arriverà il giorno del suo ritiro, dal tennis se non dal mondo, ci mancherà moltissimo.
 

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