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18/05/2012 15:04 CEST - Roma 2012

Yannick e il Foro una storia d‘amore

TENNIS - Yannick Noah festeggia 52 anni e la Racchetta d'Oro. Aveva tutto per piacere al pubblico romano: intemperanze, fantasia, imprevedibilità. La vittoria a Roma nel 1985 è stata importante quanto quella a Parigi nel 1983. Luca Pasta

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Yannik Noah - Foto di Monique Filippella
Yannik Noah - Foto di Monique Filippella

Yannick Noah è stato e rimane certamente ancora oggi il giocatore francese più rappresentativo degli ultimi trent’anni, l’ultimo galletto in campo maschile a trionfare nel 1983 a Roland Garros nel mitico stadio costruito in onore dei leggendari quattro moschettieri che in tempi ben più remoti fecero grande la Francia tennistica.

Yannick era la fantasia, l’estro, la vivacità fatte persone e portate sul campo ed aveva quindi tutto per piacere ad un pubblico caldo, passionale, rumoroso e talvonta intemperante proprio come lui: il pubblico del Foro Italico. Gli appassionati romani degli anni ottanta, rimasti orfani di Panatta, dei magici momenti che Adriano fece loro vivere soprattutto nel 1976 con la vittoria e nel 1978 (finale con IceBorg persa al quinto), e di tutta un’epoca gloriosa esaltante ed irripetibile del tennis italiano, sonnecchiavano stretti tra la gelida perfezione dell‘Orso prima e la soffocante era arrotina sudamericana dopo, con il solo Vitas Gerulaitis a vivacizzare un pò il torneo con le sue vittorie del 1977 e del 1979. Ma a metà del decennio, ci penserà uno splendido, flessuoso e spettacolare atleta di colore, ad accendere di nuovo l’entusiasmo nel cuore del Foro.

Il giovane Yannick, già campione di Wimbledon juniores nel 1977, esordisce a Roma nel 1978, a soli 18 anni, perdendo subito con l’australiano Giltinan a cui strappa un set. Pochi giorni dopo porterà il grande Vilas al quarto set al terzo turno a Roland Garros. Nel corso di quello stesso anno, in quella magica epoca di primavera del tennis che sta vedendo sbocciare il genio di John MnEnroe e presto vedrà nascere la stella dell’est Ivan Lendl, anche il giovane ragazzo francese di colore cresce a vista d’occhio. I suoi primi titoli sono spesso vinti proprio sulla terra; quel bizzarro sport che è il tennis, nell’epoca di Borg e degli implacabili arrotini spagnoli e sudamericani si era divertito a far nascere un tipo che vince sulla terra attaccando, quasi a rifiutare l’estinzione della specie, nel momento del tramonto di Panatta. Potente, con un servizio pesante ma anche molto composito in quanto a rotazioni, Yannick non ha due grandi fondamentali da fondocampo, in particolare il dritto è difettoso, a volte giocato in chop, un colpo rimediato insomma. Eccellente in compenso è il rovescio tagliato, quello slice che lo accompagna spesso nelle sue incursioni verso la la zona del campo che ama: la rete ed i suoi pressi, dove Noah si esalta con le sue straordinarie doti di elastica muscolarità, di allungo, potenza e con i suoi balzi felini, con quel suo saltare a destra ed a sinistra ‘‘come un gatto, un tigre…‘‘ come ebbe a dire nel suo italiano la vecchia volpe Monsieur Tiriac a Lea Pericoli una volta a Montecarlo. Ecco Yannick che vola in cielo staccando a piè pari per dare luogo a smash clamorosi, ecco Yannick che scavalcato per una volta da un lob, lo rincorre, apre le gambe e vi fa passar la palla in mezzo, inventando il SUO colpo, il colpo Noah, quando ancora colui che ne avrebbe conservato la tradizione non era nato, o era un bimbo, Roger Federer.

Dopo aver vinto tra l’altro a Madrid nel 1979 mettendo in fila sul rosso Higueras e Orantes, Yannick torna a Roma nel 1980 ed ingrana la marcia giusta: dopo aver sofferto con l’uruguayano Damiani al primo turno, cadono sotto i suoi colpi il ceco Hrebec, Dibbs, quell’animale da terra battuta che rispondeva al nome di Corrado Barazzutti, Tomas Smid. E‘ in finale, con il grande Guillermo Vilas: scarico, di fronte alla regolarità ed alla profondità dell’argentino, il ventenne Yannick cede la finale in tre set. Seguono gli anni che vedono Noah esplodere definitivamente ai massimi livelli: i quarti a Parigi nel 1981, la vittoria di La Quinta nel 1982 che pone fine 44 vittorie consecutive di Ivan Lendl, la finale di Coppa Davis raggiunta e persa a Grenoble con gli Stati Uniti a fine 1982 sono solo alcune delle tappe della sua ascesa. Poi nel 1983 (dopo le vittorie a Madrid e ad Amburgo),a Parigi, il miracolo, il momento che tutta la Francia ancora oggi ricorda: è il 5 giugno, un francese è in finale a Roland Garros, ed è Yannick, che ha battuto Lendl nei quarti di finale: i ‘‘50 millions de Noah‘‘ evocati dall’Equipe quella mattina, assistono in delirio al trionfo di quel ragazzo nato in Africa, ma che sentono e sentiranno loro figlio per sempre di più di quel genio nato loro in casa di Henry Leconte. Il sole abbagliante di quel giorno, il campione in carica Mats Wilander che educatamente si avvia a stringergli la mano, le treccine, la commozione di Yannick, le lacrime durante l’abbraccio con il padre, sono immagini che nessuno che ami il tennis e le abbia vissute potrà mai dimenticare.

Chi pensa che sia nato un rullo compressore capace di vincere Slam in serie però sbaglia: Noah è come il tempo di marzo, sole e pioggia, esaltazione e depressione, irregolarità, discontinuità. Yannick si sposa, ha dei figli, decide di lasciare la Francia e di vivere con la moglie a New York. A Roland Garros nel 1984 tutti si aspettano tutto da lui, e Yannick non può reggere. Cede in 5 set a Wilander nei quarti. Giocherà ancora un match al Queen’s ritirandosi, dopo che già a Parigi aveva sofferto per dolori addominali e pubalgia. Poi una lunghissima sosta, durante l‘anno non giocherà più che qualche match a novembre a Tolosa.
 

Nel 1985 Yannick riparte con voglia, ma a parte una finale a Menphis, non combina molto. Sembra davvero essersi perso, tra infortuni e problemi psicologici. A salvarlo sarà Roma.

Dopo alcuni anni piuttosto bui, con due vittorie di Andres Gomez nel 1982 e nel 1984 inframmezzate dall’affermazione del primo ‘‘ rudimentale‘‘ prodotto di Nick Bollettieri, Jimmy Arias, nel 1985 agli Internazionali si respira un‘aria nuova, il pubblico è in discreto aumento, il tabellone di discreto prestigio. Yannick (che non aveva giocato nell’81 e nell’83, aveva perso con con Gomez al terzo turno nel 1982 e sempre al terzo turno con Diego Perez nel 1984), dopo essersi liberato di Sergaceanu, Osterthum e del giovane Jarryd, trova Josè Luis Clerc nei quarti e, dopo aver vinto nettamente il primo set 6-1, è nei guai nel secondo: sul 4-2 per Clerc, chiede i tre minuti per un lieve dolore, poi si ritrova 4-5 e 0-30 sul suo servizio:sull’orlo del baratro ritrova la prima palla e scampato il pericolo chiude per 7-5. In semifinale un ragazzone biondo di 17 anni e mezzo prova a sbarrargli la strada, ma viene rispedito a casa in due set per 6-3 6-3. Trattasi dell’adolescente che un mese e mezzo dopo vincerà Wimbledon, un certo Boris Becker.
 

Arriva così domenica 19 maggio 1985. La vita in finale, per Noah, non è facile, perchè di fronte a lui c’è un giovane slovacco, che gioca un tennis strano ma pericoloso: è Miroslav Mecir, che ha già cominciato a costruirsi la fama di ‘‘ammazza-svedesi‘‘, estromettendo sia ad Amburgo due settimane prima sia qui in semifinale niente meno che Mats Wilander. Ma Noah in questa settimana romana è irresistibile: con coraggio, affronta gli angoli, le variazioni ed i passanti di Mecir rispondendo con una aggressione continua che sulla terra nessuno aveva mai mostrato se non quel genio di Mac. Nonostante la perdita del secondo set, soffre ma si carica, al punto da lasciarsi andare a scene di esaltazione dopo la conquista dei punti importanti. Alla fine, dopo 3 ore 5 minuti, piega il Gattone sornione 6-3 3-6 6-2 7-6, e nel cadere in ginocchio sulla terra del Foro dopo il matchpoint, c’è non solo la gioia ma anche un senso di liberazione, di rinascita, dopo il lungo periodo oscuro che era seguito al suo trionfo di quasi due anni prima a Parigi, due lunghi anni che non lo avevano visto più sollevare alcun trofeo. Era dal 1932 che un francese non vinceva al Foro Italico. Quella vittoria di Roma nell’85 rimarrà nella carriera di Noah importante quasi quanto quella di Roland Garros, perchè se il trionfo dell’83 gli ha insegnato che si può raggiungere il paradiso, il titolo degli Internazionali gli ha detto che è possibile dopo essere scesi all’inferno, risorgere, se lo si vuole veramente.

Ma la storia di Noah a Roma non finisce qui. Dopo un 1985 proseguito su ottimi livelli proprio grazie alla ritrovata fiducia che la vittoria di Roma gli ha dato, Yannick nella primavera del 1986 è saldamente nei primi dieci giocatori del mondo. Con l’arrivo della primavera per lui non arriva l’incubo della terra come per molti attaccanti, ma la gioia di giocarvi. E Noah dà luogo ad un periodo sontuoso: a Montecarlo piega Wilander in una splendida semifinale e cede a Nystrom in finale, mentre sulla terra verde americana di Forest Hills trionfa in finale sull’ormai anziano Vilas, non senza aver piegato prima in semifinale il numero uno del mondo, Ivan Lendl. Un Lendl furente, che ha finora perso un solo match dall’inizio dell’anno, è battuto netto in semifinale da uno strepitoso Noah in due set 6-2 7-5. Già, Lendl. Noah non lo ha mai sopportato, e non ha mai fatto nulla per nasconderlo. D’altronde, li potreste trovare due tipi più diversi? Forse Yannick ed il suo modo di vedere la vita sono ancora più agli antipodi di quelli di Ivan di quanto non lo siano quelli di John McEnroe. In fondo Lendl e Mac, seppur partendo da mondi e mentalità opposte, hanno fatto del tennis per alcuni anni la loro principale ragione di vita, sono stati due grandi numeri uno, hanno dominato a lungo e con costanza il circuito. E poi Noah ama la bella vita; arriverà una volta ad irridere la condotta quasi militare di Lendl dicendo ‘‘un giorno sarà lui stesso ad accorgersi che avrebbe potuto vivere diversamente“. Yannick non ha nulla di regolare, è invece proprio l’artista estemporaneo, colui che non è capace di alcuna continuità, ma le cui sporadiche fiammate possono essere letali. Ed infatti Lendl si è bruciato parecchie volte, l’ultima proprio a Forest Hills. Ma la settimana dopo, Roma li aspetta. Ed è lì, sul centrale del Foro Italico, che avverrà la resa dei conti, il loro mezzogiorno di fuoco .

Quel sabato pomeriggio di metà maggio, il sole picchia forte sul vecchio centrale romano, dove le antiche statue osservano i campioni facendo capolino tra le tribune metalliche provvisorie. Che sarà una giornata molto nervosa lo si capisce già nel primo set, quando una voleè del cecoslovacco sfiora il corpo di Noah suscitando l’ira del francese. Nel primo set, complice un Lendl un pò lento, Yannick è irresistibile, con le sue discese e la potenza del suo elaborato servizio.
 

Il primo set è suo, 6-1. Ma ha lo stesso i nervi a fior di pelle. Le esasperanti attese di Lendl, tra un punto e l’altro ed al cambio campo, gli danno sui nervi. All’inizio del secondo set, con il solito ritardo, dopo le solite meticolose attenzioni rivolte alle corde della racchetta, Lendl si avvia a riprendere il gioco, ma Yannick furente gli fa notare che sta perdendo troppo tempo. Ivan non gradisce, i due uomini si avvicinano alla rete, si scambiano sguardi e parole di fuoco, in un’atmosfera da corrida con gran parte del pubblico schierato con Noah. Per poco non si arriva alle mani. Il gioco riprende in un’atmosfera incandescente e Lendl comincia ad affondare i colpi, il secondo set lo vince lui, 6-2. Il terzo set è magnifico, la gente del Foro assiste esaltata al meraviglioso confronto di stili tra un grande attaccante ed un grande giocatore di passanti, uno spettacolo oggi scomparso. Noah vola 4-1, ma Lendl reagisce, 4-4. Sul 5-4 Noah però, è costretto a servire sul 30-40: matchpoint Yannick. Ivan scarica una prima piatta esterna sulla riga, ma c’è l’out del giudice di linea, Kaufmann, uno dei migliori arbitri professionisti dell’epoca, procede immediatamente all‘“overrule“ concendendo direttamente il punto a Lendl, mentre Noah pretende le due palle sostenendo di essere stato disturbato dalla chiamata del giudice di linea. Ma il giudice di sedia statunitense è irremovibile e cancella il matchpoint. Dopo altri superbi scambi, il tiebreak decisivo vede il numero uno del mondo aggiudicarselo per 7 punti a 4. Lendl ha piegato Noah 1-6, 6-2, 7-6 in uno dei più bei match che si siano visti sul vecchio centrale del Foro Italico. L’ultima grande recita di Yannick sul palcoscenico di Roma, che si aggiudicherà il doppio con Forget.

Noah giocherà ancora agli Internazionali, ma senza più grandissimi risultati, perdendo subito nel 1987, cedendo alla macchina svedese Kent Carlsson nel 1988 per 6-4 al terzo nei quarti, nuovamente al primo turno ad Andres Gomez nel 1990, l’anno di grazia dell’equadoriano e nel 1991 dal rampante Sergi Bruguera. E' bello ricordare tra i tanti bei ricordi lasciati da Noah al pubblico italiano, la vittoria a Milano indoor nel 1988, dopo aver piegato Becker in una spettacolare semifinale. Ma è soprattuto nella ‘‘ville éternel‘‘, la città eterna, che Yannick ha senza dubbio lasciato nel cuore dei tifosi italiani la sua indelebile impronta.
 

Luca Pasta

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