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22/06/2012 13:12 CEST - Wimbledon

Wimby: preferisco
i secondi

TENNIS - Breve storia di Wimbledon attraverso i grandi campioni che non sono mai riusciti a vincere i Championships. Da Ivan Lendl a Tim Henman, da Ken Rosewall a Hana Mandlikova e Justine Henin. Alessandro Mastroluca

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Otto storie. Nove campioni con qualcosa in comune: non hanno mai vinto Wimbledon

Gottfried Von Cramm
Per Bill Tilden, è “la più affascinante e intrigante personalità che il tennis abbia conosciuto”. “Può spingere il suo gioco un po’ più in là di quella che crediamo essere la perfezione” scrive John Oliff. Terzo figlio di una famiglia dell’aristocrazia tedesca, inizia la carriera nel 1924, e non si ferma nemmeno quando un cavallo cui stava porgendo una zolletta di zucchero gli stacca l’indice della mano con un morso. Nel 1928 entra nel più esclusivo tennis club di Berlino, il Rot-Weiss.

Sotto il regime nazista, gioca in condizioni estreme data la sua omosessualità sempre meno latente. Ma Hitler, che perseguita e uccide i gay, lo tollera in virtù dei suoi successi sportivi che danno lustro al Reich. A Wimbledon gioca tre finali. Nel 1935 e 1936 perde da Fred Perry, battuto pochi mesi prima del suo ultimo trionfo a Wimbledon dallo stesso Cramm agli Internazionali di Francia. Il 6-0 al quinto a Parigi è la più grande vittoria del Barone.

L’ultima vittoria inglese nel singolare maschile ai Championships è favorita dall’infortunio muscolare alla coscia che frena Von Cramm nel primo game del match. Ma il Barone, esempio di fair play che dà il punto all’avversario se ritiene di essere stato ingiustamente avvantaggiato da una chiamata dubbia, non dice niente fino al termine dell’incontro per non guastare il trionfo dell’avversario.

Nel 1937 viene sconfitto dall’americano Don Budge, che pochi mesi dopo sugli stessi campi lo batterà di nuovo nella finale Inter-Zona di Coppa Davis. Intorno a quella partita è fiorita la leggenda della telefonata di Hitler a Von Cramm poco prima dell’inizio dell’incontro. È un “Terribile splendore”, come il titolo dello splendido libro di Marshall Jon Fisher che lo racconta, in cui entra anche Bill Tilden, americano velatamente accusato di tendenze al limite della pedofilia, ispiratore del Ned Litam protagonista di "Lolita", che era entrato a far parte ufficiosamente dello staff della nazionale tedesca. Dopo la sconfitta con Budge, Cramm viene arrestato per immoralità. Ammette di aver avuto una relazione con l’attore e cantante ebreo Manasse Herbst tra il 1931 e il 1934 e viene condannato a un anno di prigione, pena poi ridotta a sei mesi per buona condotta.

Nel 1939 tenta di tornare a Wimbledon, si iscrive individualmente e non con l’appoggio della federazione, ma il comitato stabilisce che non può ammettere un giocatore condannato per comportamenti contrari alla morale.

Ken Rosewall
“A winner in defeat”, un vincitore nella sconfitta. Il titolo del profilo che Robert Philip gli ha dedicato sul Telegraph nel 2007 è perfetto per definire il più grande perdente nella storia di Wimbledon. Gioca la sua prima finale nel 1954, a 19 anni, ma la perde contro il 32enne mancino cecoslovacco, ma naturalizzato egiziano, Jaroslav Drobny, spinto dal tifo di quasi tutto il pubblico del centrale. La chiave del match è nel primo set. Viene chiamato un fallo di piede a Drobny che si ritrova a servire 10-11 30-40.

Rosewall manca il set point con un passante di dritto largo e finirà per cedere 13-11 4-6 6-2 9-7. Due anni dopo è ancora lui lo sconfitto contro Lew Hoad, il suo compagno di doppio, che conquista il terzo Slam di fila: 6-2 4-6 7-5 6-4. Rosewall ha tirato fuori il meglio dagli avversari e creato finali indimenticabili. Nel 1957 diventa professionista. Dieci anni dopo la BBC inizia a trasmettere Wimbledon a colori, 350 milioni di persone guardano i Beatles che cantano All You Need is Love su Our World e il tennis si apre ai pro. Viene organizzato un torneo a inviti, a Wimbledon, nel 1967, per otto giocatori: in finale Laver batte Rosewall che si prenderà la rivincita nel primo torneo open della storia, il British Hardcourt Championship a Bournemouth. Rosewall torna in finale nel 1970: riesce a portare Newcombe al quinto, ma il baffuto connazionale di nove anni più giovane gli lascia solo un game. Nel 1973 si unisce al boicottaggio in difesa di Nikki Pilic. L’anno successivo è lui il vecchio campione appoggiato da tutto il pubblico contro il giovane rampante Jimmy Connors. Rosewall vince il primo game ma ne porterà a casa solo altri cinque nel match: 61 61 64. I promessi sposi Connors e Chris Evert vincono Wimbledon nello stesso anno. “Wimbledon resta il mio più grande rimpianto” ha detto Rosewall, “ma credo di aver fatto divertire tanta gente”.

Ilie Nastase
Due prime volte hanno fermato il sogno di Nasty. Nel 1972 la pioggia costringe gli organizzatori a rinunciare alla tradizione e giocare la finale di domenica. Nastase vince il primo set contro Stan Smith, testa di serie numero 1. Ma inizia a distrarsi e cambiare una racchetta dietro l’altra mentre Smith si porta avanti due set a uno. Nasty cambia l’ultima racchetta nel quarto game del quarto set, alza il livello dei colpi a rimbalzo, domina a rete e allunga al quinto. A dopo 164 minuti mette in rete una volée alta di rovescio: Smith vince 46 63 63 46 75. è la finale più equilibrata dal 1933 quando Jack Crawford sconfisse Ellsworth Vines.

Quattro anni dopo, Nastase è il testimone del primo trionfo londinese dell’Angelo Adolescente, che presto diventerà l’Assassino di Ghiaccio, Bjorn Borg, nella prima finale tutta europea dal 1936. Nastase, arrivato in finale senza perdere un set, ha solo un barlume di speranza sul 6-5 del terzo set, ma Borg contiene il gioco d’attacco del rumeno a suon di dritti in top-spin e chiude 64 62 97.

Ivan Lendl
“Non gioco a Wimbledon perché sono allergico all’erba” disse Ivan Lendl nel 1982. Ma un fotografo, quella sera stessa, lo sorprese a giocare a golf. Non ha giocato i Championships fino al 1979, poi però ha perso l’allergia all’erba, ha chiuso la carriera con un bilancio vittorie e sconfitte tra i primi 20 di tutti i tempi, ma non ha mai vinto Wimbledon. Ha perso due volte in finale e cinque in semifinale. L’immagine che resta più forte di tutte è l’arrampicata di Pat Cash che sale sul Player’s Box per abbracciare i familiari e il coach Ian Barclay dopo averlo sconfitto 76 62 75 nella finale del 1987.

Tim Henman
Quel soprannome, Timbledon, se lo porta dietro come una maledizione, lui che a Wimbledon ha perso quattro semifinali su quattro. Mai come nel 2001 si è avuta l’impressione che il destino gli abbia voltato le spalle. Ivanisevic vince il primo 7-5, Henman chiude il secondo al tiebreak e firma il sorpasso con un 6-0 al terzo. Poi arriva la pioggia e spegne la luce alla fine del tunnel. Al ritorno in campo Goran si impone 63 al quinto. “Dio voleva che vincessi questa partita e ha mandato la pioggia” dirà. La finale rafforza questa convinzione.

Donne

Lili de Alvarez
L’unica a giocare tre finali consecutive a Wimbledon, tra il 1926 e il 1928, e a perderle tutte. Cresce in Svizzera, a 16 anni vince i campionati di Saint-Moritz di pattinaggio su ghiaccio e a 19 il “Campeonato de Cataluña de Automovilismo”.

Incredibile la sua prima sconfitta in finale ai Championships contro la britannica Kathleen McKane. Perso il primo set 6-2, sotto gli occhi del Re Alfonso XIII e della Regina Victoria Eugenia, vince il secondo e conduce 3-1 40-15 nel terzo. Poi si perde.

Autrice del libro “Modern Lawn Tennis” pubblicato in inglese nel 1927, fa scalpore nel 1931 presentandosi con un gonnellino più corto disegnato da Elsa Schiapparelli che è a tutti gli effetti l’antesignano del pantaloncino. Colta, dalla personalità forte, fervente femminista, di Lili l’aneddotica tramanda un simpatico scambio di battute con il maresciallo francese Ferdinand Foch. “Non oserei proporre una partita a tennis a quella donna” disse Foch. “Non si preoccupi, nemmeno io le dichiarerei guerra” rispose Lili.

Hana Mandlikova
“Ha le gambe più belle che abbia mai visto”. Parola di Ginger Rogers, una che di gambe certo se ne intendeva. Parlava di Hana Mandlikova durante i Championships del 1981. Hana, che per anni ha indossato gonne talmente di rado da non riuscire a sedersi accavallando le gambe, quell’anno arriva per la prima volta in finale a Wimbledon, ma perde da Chris Evert in quella che diventerà una delle più intense rivalità del tennis femminile degli anni ‘80. “Sono una persona semplice” ha detto in un’intervista del 1987 per Sports Illustrated, “ma a volte le persone fanno di me una persona complicata. Vedo sempre le cose o bianche o nere, vere o false. Sto imparando il grigio, però”. Nel 1984, prima della semifinale con Evert disse: “Se gioco al massimo, sono migliore di lei”. Ipse dixit: Evert vinse 61 62.

Figlia di un velocista, suo padre Vilem Mandlik è stato per undici volte campione nazionale nei 100 e 200 metri e ha partecipato alle Olimpiadi del 1956 e del 1960, Mandlikova ha fatto da raccattapalle a Martina Navratilova allo Sparta Club. Proprio da Martina perse la seconda finale a Wimbledon, nel 1986.

Justine Henin
La finale persa nel 2006 contro Amelie Mauresmo rimane il rimpianto più grande della sua carriera. Era già arrivata a giocarsi il titolo a Wimbledon nel 2001. Il nonno, Georges Rosiere, il suo più grande tifoso, muore la mattina della finale. Ma suo padre, che si è allontanato dalla figlia sei anni prima dopo la morte della moglie Francoise per un cancro, non le dice niente fino al termine del match. Venus Williams comunque vince 61 36 60.

Cinque anni dopo Justine trova in finale Amelie Mauresmo, nella riedizione del title-match degli Australian Open finito con Justine che si ritira in preda ai crampi allo stomaco. Mauresmo vince il sorteggio, sceglie di servire e viene subito breakata. Henin chiude facilmente 6-2: è il 27mo set di fila per la belga tra Roland Garros e Wimbledon. Amelie seppellisce la testa nell’asciugamano e rinasce. Vince 13 dei primi 17 punti del secondo set, subisce il break nel settimo game ma controbreaka immediatamente salendo 5-3 con un vincente incrociato di dritto. Si va al terzo. Henin è sempre più nervosa (nemmeno un rovescio vincente in tutta la partita) e perde il servizio nel terzo game. Mauresmo tiene i successivi quattro turni di battuta conquistando 16 punti su 21. “Adesso non parlate più dei miei nervi” commenta a fine partita.

Alessandro Mastroluca

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