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15/07/2012 17:45 CEST - Personaggi

Storia di Jenny: glorie e drammi

TENNIS – Vita e carriera di Jennifer Capriati, colei che per raggiungere il paradiso passò dall'inferno. Adesso la Hall of Fame la accoglie tra le immortali. Un oro olimpico e tre slam in carriera (2 Australian Open e 1 Roland Garros). Luca Pasta

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La classica copertina con la cornice rossa di Matchball, ad inquadrare una ragazzina sorridente, con i denti un po' in fuori, che festeggia la sua prima finale del circuito; un pomeriggio parigino nuvoloso, con la stessa ragazzina che, indossando un maglioncino arancione di quelli senza maniche a coprire la t-shirt, in uno di quei giorni ventosi e freddini a Roland Garros, si gioca una semifinale di uno Slam.
Quando ho saputo che avrei scritto questo articolo, in occasione della sua entrata nella Hall of Fame, ho pensato "Jennifer Capriati" e le due immagini evocate sono quelle che per prime mi sono venute alla mente. Forse poi, quella copertina non aveva il riquadro rosso (ma credo di sì), forse i denti non erano troppo in fuori, forse la magliettina non era arancione, ma le riviste sono troppo scomode da riprendere, sono stanco, ed è bello a volte affidarsi al modo in cui la nostra mente ricorda la realtà, più che alla realtà stessa.

Cosa faceva quella ragazzina su quella copertina del 1990? Cosa faceva lo stesso anno un paio di mesi dopo sul centrale di Parigi? Eh, cosa faceva...E' che la ragazzina, a 14 anni appena compiuti il 29 marzo, era andata a giocare il suo primo torneo del circuito maggiore a Boca Raton ed aveva pensato bene di spazzare via la Sukova e la Sanchez, solo le numero 10 e 5 del mondo, ed arrivare in finale, dove aveva perduto da Gabriela Sabatini. Dopo di che, secondo torneo a Hilton Head, seconda finale, persa con la Navratilova. Arriva poi in Europa, gioca il suo primo Grand Slam, e che fa? Arriva in semifinale, perde solo dalla futura campionessa, l'"anziana" Monica Seles, ben 16 anni e mezzo. E' proprio cambiato il tennis, se ieri sera a Palermo, la bianca figlia d'Albione Laura Robson, che ha 18 anni, sembrava giovanissima.

Ma torniamo a Jenny, come spesso la chiameremo. Dopo gli ottavi nel suo primo Wimbledon, ad ottobre la quattordicenne (sono ripetitivo, ma è bene che il lettore rifletta su questa parola) vince il suo primo titolo del circuito a Puerto Rico, gioca il Masters e chiude la stagione al numero 8 del mondo. I sogni di papà Stefano, un ex pugile e stuntman brindisino emigrato in America, stanno diventando realtà, prima del previsto tra l'altro. In fondo sono passati solo 4 anni da quando lui e sua moglie si sono trasferiti stabilmente in Florida, in modo che Jenny potesse essere "massacrata" tutti i giorni da un certo signor Evert, padre di una certa tennista, ed è trascorso solo un anno dalle vittorie juniores a Parigi e a New York.

Nel 1991 Jennifer diventa una stabile top ten, vince titoli come San Diego e Toronto, butta fuori da Wimbledon nei quarti la regina Martina e gioca la semifinale anche a Flushing Meadows, perdendo per un soffio da Monica Seles dopo aver servito due volte per il match, in un incontro i cui scambi farebbero ancora oggi impallidire quelli che si vedono in molti incontri del circuito femminile. Finisce l'annata da numero 6 del mondo.
 

La Capriati ha 15 anni, ma ormai è una giocatrice fatta, se non finita, con due splendidi fondamentali, in particolare un dritto tra i più devastanti, una prima palla di servizio pesante, una eccellente mobilità laterale, una fantastica risposta, un raro spirito da "fighter". E non si contano i record di precocità battuti.
 

Arriva così il 1992, un anno che racchiude uno dei ricordi più dolci, l'oro olimpico di Barcellona: in semifinale piega la Sanchez, in finale nega a Steffi Graf la possibilità di bissare l'oro di Seul 1988. L'alto rendimento medio continua, alla fine dell'anno è numero 7. Anche il 1993 comincia bene con la vittoria a Sydney, ma nei primi tre Slam dell'anno non va oltre i quarti. Arrivano poi gli Us Open 1993, lo Slam per eccellenza per una giocatrice americana, lo Slam dove tutti si aspettano che lei un giorno finalmente trionfi. Ed invece è un fallimento. Esce al primo turno con Leila Meskhi.

Tutto improvvisamente si rompe in Jenny. Ma in realtà si stava già rompendo da tempo. Va a vivere da sola a Boca Raton. E' stufa del tennis, è stufa di una famiglia e di amici che vogliono solo che lei giochi e vinca. Ma uno Slam non l'ha ancora vinto, e si sente una perdente. Si sente anche grassa e brutta, confesserà in seguito. Nel dicembre 1993, a Tampa, in Florida, la fermano con un anello d'argento che ha portato via da un banchetto. Dirà di averlo preso con sè e di essersi dimenticata di pagarlo. Ma non è finita qui. A maggio '94, vicino a Miami, nel suo zainetto i poliziotti trovano un sacchettino di marijuana e delle fialette di crack nelle tasche del suo amico Tom Wineland. L'arrestano. La foto segnaletica. Poi, come nei classici telefilm americani, viene rilasciata su cauzione. Dovrà sottoporsi ad una terapia.

In tutto il 1994 gioca un solo match, nel 1995 neppure quello. Addio Capriati. Una meteora, luminosa, ma una meteora.

Ed invece non è così.

Nel 1996 torna gradualmente a giocare. Perde al primo turno sia a Parigi che a New York, batte la Sabatini nel glorioso indoor di Zurigo, ora scomparso, in quello che risulterà essere l'ultimo incontro di Gaby in carriera. Finisce al numero 24.
 

Nel 1997 le cose vanno peggio, gioca poco e male, alla fine è numero 66. E' demoralizzata.
Nella prima parte del 1998 non gioca per nulla, è inghiottita dagli inferi della classifica, non è nelle prime 200. Poi qualche timido risultato la porta a fine anno a sfiorare l'ingresso nelle top-100.
Ma Jennifer Capriati non è nata per essere tennisticamente mediocre.
 

E nel 1999 comincia una scalata a cui nessuno poteva credere. Dapprima sottovoce, con la vittoria a Strasburgo, gli ottavi a Roland Garros e a Wimbledon, il titolo a Quebec City. Poi la voce di Jenny si alza con la semifinale dell'Australian Open 2000 persa con la coetanea, giunonica Davenport. Ah, quanto diversa Lindsay da lei! Jenny turbolenta, instabile, ribelle, la Davenport la brava ragazza modello americana che ha fatto le cose nei tempi giusti, senza traumi, e che, a differenza di lei, sta vicendo gli Slam.
 

Adesso che la mente è più stabile, ci si mettono infiniti problemi fisici a frenarla e ad impedirle di andare oltre gli ottavi a Wimbledon e New York. Ma la vittoria a Lussemburgo in autunno è il segno premonitore dell'esplosione.
A Melbourne, nel gennaio successivo, gioca il più grande torneo della sua carriera: sotto di un set e di un break con Monica Seles, rimonta e vince nei quarti, poi in semifinale mostra al mondo che l'assennata Davenport nulla può se lei è veramente ispirata, Lindsay deve cedere in due set, e così deve fare Martina Hingis in finale: la ragazzina prodigio, la bimba che quasi tutti i record di precocità aveva stabilto, ha dovuto aspettare di avere più o meno 25 anni, ma ha vinto il suo primo titolo del Grande Slam spazzando via le prime due giocatrici del mondo senza lasciar loro la miseria di un set.

E a Roland Garros la vincitrice non cambia: una giovane bionda ragazza belga, la 18-enne Kim Cljisters prova a sbarrarle la strada, ma cede 12-10 al terzo set, dopo una lotta furibonda. Sarà la sua connazionale Justine Henin a vendicarla, piegando Jenny in semifinale a Wimbledon. E semifinale sarà anche a Flushing Meadows, dove perde con la maggiore delle ormai devastanti sorelle Williams. Ma è un'annata eccezionale, coronata dal raggiungimento della prima posizione mondiale il 15 ottobre. A fine anno sarà numero 2.
 

A gennaio 2002, Jenny è di nuovo in finale a Melbourne. In un'atmosfera infuocata, in tutti i sensi, su quella che ora è la Rod Laver Arena, la Capriati dà a Martina Hingis, già traumatizzata dalla violenza delle sorelle nere e di Giunone, il colpo di grazia. Sotto 6-4 4-0, Jenny salva 4 match point e trionfa per la seconda volta in Australia. Tre le grandi finali giocate dalla Capriati, tre le vittorie. Una sconfitta che porterà la Hingis lentamente verso il suo primo ritiro. Jenny invece, torna per un po' numero uno.
 

A quel giorno australiano, che è stato il punto più alto della sua carriera, seguono ancora tre anni di altissimo livello, che la vedono difendersi egregiamente, nel bel mezzo delle due scatenate Williams, del braccio d'oro di Amelie Mauresmo, del talento purissimo di Justine Henin. Nel 2002, che termina al terzo posto nel ranking mondiale, ancora una semifinale a Parigi e due quarti a Wimbledon e New York; nel 2003 dopo un'operazione agli occhi, perde subito in Australia, ma prosegue su buoni livelli, riesce a vincere a New Haven. A Flushing Meadows gioca una drammatica, meravigliosa semifinale con la Henin, in cui non le basterà trovarsi 11 volte a due punti dalla vittoria.
 

Nel 2004 sono i problemi alla schiena a tormentarla, ma questo non le impedisce di giocare forse la più bella finale femminile degli internazionali d'Italia che io ricordi, nella quale cede di un soffio alla Mauresmo. Ci sono ancora i colpi di coda delle semifinali a Parigi ed agli Us Open, dove piega Serena in un match polemico e nervoso. Ma con il 2004, in sostanza, si chiude la sua carriera agonistica. Jenny, che non annuncerà mai il ritiro, perseguitata da problemi fisici di ogni genere, in particolare alle spalle ed al polso, per i quali subirà numerosi interventi, non giocherà più nel tour.

Una delle ultime vicende che l'hanno vista protagonista, è, ancora una volta, una vicenda triste, un ricovero in ospedale del 2010, per quello che è stato definito un sovradosaggio accidentale di medicinali, a smentire che si trattasse invece di un'overdose di stupefacenti.

Una vita sul filo, quella di Jennifer, sul costante spartiacque tra il bene ed il male, ma anche un'esistenza in cui quella ragazzina della copertina di matchball ha saputo diventare una donna ed una grande campionessa.

E così, ricordando le dichiarazioni di fuoco fatte su di lei da Xavier Malisse, con il quale ebbe una tempestosa storia d'amore, non ci dimentichiamo neppure che un giorno, il leggendario Ted Tinling, ebbe a dire:
«Se esiste un dio del tennis, è stato lui a donare Jennifer Capriati agli Stati Uniti».
 

Luca Pasta

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