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19/07/2012 09:33 CEST - IL LIBRO

Tennista e gentiluomo

TENNIS - Recensione del libro "Giorgio de’ Stefani: il gentleman con la racchetta" della giornalista Francesca Paoletti. Grande tennista, è stato anche membro del CIO, presidente della FIT e dell'ITF. Enos Mantoani

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Giorgio De Stefani: il gentleman con la racchetta
Giorgio De Stefani: il gentleman con la racchetta

De’ Stefani, il tennista senza rovescio. Giorgio de’ Stefani, il gentiluomo. Così i giornali ci ricordano questa figura. Senza rovescio in quanto aveva la particolarità di cambiare mano nell’impugnare la racchetta durante gli scambi e quindi di giocare di diritto sia a destra che a sinistra. Gentiluomo in quanto sia nella sua carriera da giocatore che in quella di dirigente sportivo si distinse per la signorilità e l’eleganza. Recensiamo il seguente libro che ce lo ricorda:

Francesca Paoletti - Giorgio de’ Stefani: il gentleman con la racchetta, presentazione di Mario Pescante.

Roma : Riccardo Viola editore, 2005 - Racconti di sport di Roma e del Lazio, 3 - 115 p. -Eur 5,00

ISBN : 8890170719

Osservato a prima vista, il libro mi ha fatto temere di non aver azzeccato un buon affare; per fortuna i libri hanno la capacità di smentirci. Più avanti spiegherò il perché, ora vorrei riassumere brevemente la vita del protagonista:

IL PROTAGONISTA

Giorgio de’ Stefani nacque a Verona nel 1904. Figlio di un ministro del governo salutò da bambino il Nord per trasferirsi a Roma, di cui sempre si considerò un figlio tra i più fortunati. I primi approcci con lo sport si devono alla mamma, donna di notevole intraprendenza e che lo seguì spesso nei viaggi che lo videro ambasciatore del tennis in tutti i continenti. Arrivato a Roma iniziò a giocare al Club Parioli, a cui fu sempre molto legato. Fu uno dei principali tennisti italiani e internazionali; raggiunse la finale del Roland Garros perdendola dal Moschettiere Cochet in quattro onorevoli set nel 1932 e raggiunse la top ten nei suoi anni migliori. Vanta 44 vittorie in Davis su 66 presenze e fu anche capitano nel 1948. Il suo tennis era imprevedibile, vista la particolarità del suo gioco (tendenzialmente mancino, cambiava mano per giocare sempre di diritto); fortissimo nei passanti e indecifrabile negli smash, con queste armi riuscì a battere autentiche leggende come Fred Perry. Hopman, e a dare del filo da torcere a Von Cramm, a Lacoste, a Cochet... Punti deboli erano la sua battuta (una seconda non molto solida, in particolare) e il gioco di rete, visto che il passaggio della racchetta tra le due mani era piuttosto laborioso.

Iniziò seguendo le orme di De Martino per poi essere secondo di De’ Morpurgo, che di certo non aveva un carattere facile visto che, quando De’ Stefani riuscì a batterlo per la prima volta si vide recapitare uno schiaffo al momento della stretta di mano per mancanza di rispetto... Insieme però formarono una squadra di Davis molto temibile, tanto da costringere lo squadrone dei Moschettieri al 3-2. Dopo la seconda guerra mondiale, venne nominato membro del CIO dal 1951 (vi fece parte fino alla morte, avvenuta nel 1992) e presidente della Federazione internazionale di tennis dalla seconda metà anni ‘50 al 1969 (non in anni successivi), ancor prima di essere presidente della FIT (consecutivamente dal 1958 al 1969). Da tutti viene ricordato come un gran signore, mosso solo dall’amore per lo sport e per il tennis in particolare. Si consideri che sotto la sua egida vennero attribuite le Olimpiadi a Roma nel 1960, edizione particolarmente riuscita, e ancor prima le olimpiadi invernali di Cortina.

Due sue storiche battaglie sono menzionate; la prima fu quella per la riammissione del tennis alle Olimpiadi, evento osteggiato dagli inglesi e da qualche grande torneo in quanto rischiava di far perdere a Wimbledon qualche popolarità. Dopo più di trent’anni di perseveranza riuscì a rivedere il “suo” sport nell’edizione di Seul ‘88. Se quest’anno potremo goderci il tennis a cinque cerchi, lo dobbiamo anche a lui. Si opponeva poi strenuamente all’era del professionismo, e considerò un tremendo oltraggio la posizione di Wimbledon che nel 1968 aprì i propri cancelli anche ai pro. Se questa posizione è ora criticabile per il suo conservatorismo, bisogna però considerare lo spirito dell’uomo, che si definiva uno degli ultimi seguaci di De Coubertin. Su questo non si possono aver dubbi, visto che rifiutò sempre le laute prebende della sua carica e si oppose alla politica dei politicanti di mestiere che nello sport entrarono negli ultimi decenni della sua vita a dettar legge, spesso la legge del denaro con tutto ciò che ne consegue (ricatti, corruzione, etc...).

 

IL LIBRO

Dicevo prima che a considerarlo a prima vista, questo libro mi dava l’idea di essere stato un pessimo investimento, per fortuna mi sbagliavo. Tra i punti di forza ci sono sicuramente le molte fotografie: De’ Stefani era anche un appassionato fotografo, e considerati i numerosi viaggi che fece e le molte personalità che incontrò la scelta di cosa pubblicare dev’essere stata piacevolmente imbarazzante. Notevole e interessante è l’apparato che ci ricorda i suoi record e diverse statistiche, come le presenze in Davis, i suoi match, ma anche l’elenco dei presidenti della FIT, addirittura l’albo d’oro del tennis Parioli a livello nazionale. Poi ci sono estratti dai giornali dell’epoca che danno un’idea non solo della popolarità di De’ Stefani, ma anche, visto che sono inquadrati molto bene nel loro momento storico, del clima dell’epoca. La qualità di stampa è buona; ho notato, a onor del vero, due piccoli refusi, ma sia la carta che la copertina mi sembrano adatte al tipo di pubblicazione.

Il libro è poi scritto molto bene da una giornalista sportiva, Francesca Paoletti: è piuttosto scorrevole e ricco di aneddoti. Ad esempio riporto questo: nella sua giovinezza era uso giocare una partita al giorno con l’amico e validissimo tennista Clemente Serventi. Ad un certo punto sentono un gran vociare accanto al club, si sporgono e vedono diverse persone in una divisa che prevedeva una camicia nera attraversare la capitale provenienti da Ponte Milvio. Al che il suo compagno gli fa: “Annamo Gio’, lassali perde. Quanto stavamo? Quaranta-quindici?”. Era la Marcia su Roma...Criticherei forse il tono un po’ troppo agiografico dell’insieme. Sicuramente De’ Stefani è stato molto importante per il tennis e lo sport italiano e si è trovato ad affrontare momenti storici non facili, però andrebbe spiegata meglio la sua posizione in un’epoca storica che vide l’ascesa del regime fascista. Come la stragrande maggioranza degli italiani, dovette convivere con il fascismo e l’ideologia che lo guidava. Non fu certo uno strenuo oppositore di Mussolini, ma neanche un fervente sostenitore fanatico: questo sembra emergere dalle notizie che ho cercato di raccogliere. Forse avrei messo questo in maggior luce, visto che nel libro ci sono le foto delle parate a cui partecipò e del suo primo incontro disputato sul Campo della Pallacorda (fu il primo a giocarci, inaugurandolo). Sicuramente la stampa del regime cercò di utilizzare i suoi successi per mettere in luce la fierezza italica. C’è anche da dire che in quel periodo de’ Stefani fu quasi sempre in viaggio, immagino spesso ospite dei vari re e marajà che se lo contendevano (come gli emiri di oggi si contendono Federer e Nadal), ma altrettanto spesso fu alla guida di delegazioni italiane che ci rappresentavano nei quattro continenti.

Chiudo questa breve recensione parlando degli ultimi due capitoli che mi sembrano interessanti. Un ricordo di Nicola Pietrangeli, compagno del Parioli, che lo ricorda come una persona riservata, ma molto affezionata anche in qualità di dirigente e che ricorda i motivi di contrasto che i giocatori dell’epoca avevano con lui: la questione del professionismo (che Pietrangeli dice di aver sempre appoggiato) e la questione del challenge round in Davis e la possibilità di scelta dei campi da parte dei finalisti, senza le quali, dice Nicola, avremmo ottenuto qualche successo in più e su questo punto de’ Stefani non fu abbastanza fermo nel proporne l’abolizione. L’ultimo capitolo riporta estratti dai giornali del 1992 che lo ricordano nel momento della morte e si chiude con l’articolo di Clerici che ne ricorda il tennista, il dirigente e la persona. Per gli amanti del tennis elegante, dai nobili gesti e dai pantaloni bianchi è sicuramente un libro da conservare in biblioteca.

Enos Mantoani

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