01/09/2012 19:29 CEST - Us Open

Roddick: autunno a New York "Ho amato ogni minuto"

TENNIS - Andy Roddick ha scelto di lasciare. Chiude la carriera con il suo torneo preferito, dove ha vinto il suo unico Slam. La sua forza è stata la narrazione di sé più dei 32 tornei vinti. Mastroluca

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Andy Roddick (Nick Laham, Getty Images)
Andy Roddick (Nick Laham, Getty Images)

Non c’ è un momento giusto per decidere di lasciare. Non c’è un modo giusto per dire addio. Ma New York sembra il luogo perfetto per ritirarsi. Dopo Kim Clijsters, anche Andy Roddick smette. Anche per lui Flushing Meadows è il posto ideale per giocare la sua ultima partita. “All’inizio di quest’anno sapevo che una volta arrivato a questo torneo avrei saputo se era giunto il momento di dire basta oppure no" ha esordito nella conferenza stampa in cui ha annunciato la sua decisione. "Quando sono sceso in campo per il primo turno, ho sentito che era il momento”.

Leaving New York is never easy, è vero, lasciare New York non è facile. Lasciare a New York sembra esserlo un po’ di più.

Con lui, in un anno di bak’tun e di cicli, di nuovi inizi e di apocalittiche previsioni da interpretare, inizia ad andarsene una generazione tennistica, inizia a chiudersi la porta su una stagione alla vigilia di un cammino che potrebbe portare deviazioni e cambiamenti.

Roddick ha chiuso allo scoccare dei trent’anni, ha sentito arrivare l’autunno della sua carriera sportiva e ha scelto di smettere prima di diventare triste, solitario e finale. “Lo stato di salute del mio corpo, e la maniera nella quale riesco a giocare, non so se sia sufficiente per continuare a rimanere al vertice. Questi giocatori sono davvero molto, molto bravi e non so se sono in grado di fare ciò che voglio fare dato il mio stato di salute. Non volevo mancare di rispetto al gioco continuando a ciondolare da torneo a torneo fino alla fine. Sono stato abituato a dare tutto me stesso oppure a smettere: mi sono sempre comportato in questo modo in tutto quello che ho fatto”.

Ha chiuso una pagina per iniziare un nuovo capitolo della sua narrazione.

È sempre stata questa, infatti, la sua forza, la ragione della stima e dell’affetto che ha saputo concentrare. C’è molto di più della simpatia per chi ha ballato una sola estate nell’Olimpo del Grande Slam, c’è più della pacca sulla spalla per chi sperava di sfruttare il corridoio aperto dopo Sampras e invece ha trovato Roger Federer che l’ha fermato tre volte a Wimbledon a un passo dalla gloria.

La narrazione dell’ultimo statunitense a vincere uno Slam è l’incarnazione del sogno americano. È un diamante grezzo, Andy, quando Tariq Benabiles gli toglie la patina di “orgogliosa indolenza” e lo porta al numero 5 del mondo. Per il salto di qualità sceglie però Brad Gilbert che inizia la trasformazione del battitore della racchetta in un tennista multidimensionale. Roddick, che dal baseball ha ricavato un azzeccatissimo soprannome, A-Rod (come Alex Rodriguez, il più giovane a superare il muro dei 500 home run nella MLB), e che del baseball è grande tifoso, familiarizza con concetti come rotazioni, angoli, traiettorie.

Il passo finale è con Stefanki. E' l'ultima metamorfosi. Roddick  è un giocatore più completo e più riflessivo, che pensa di più mentre la sua arma migliore, la frustata di dritto istintuale, si depotenzia. Con lui, nel 2009, vive il suo anno migliore a livello di Slam: semifinale agli Australian Open, miglior risultato in carriera al Roland Garros (ottavi) e la finale epica a Wimbledon. Sacrifica l’istinto in nome della ragione. Diventa un giocatore migliore, ma inizia a finire.

Di lui rimane molto di più delle 610 partite e dei 32 tornei vinti, delle 13 settimane da numero 1 del mondo, della striscia positiva che l’ha visto conquistare almeno un titolo per 12 anni di fila, dal 2001 al 2012. C’è più di un gran servizio e del record di velocità che ha detenuto dal 2004 al 2011 (249,5 kmh fatti registrare contro il bielorusso Voltchkov in Coppa Davis). Rimane la narrazione di sé.

Nel suo modo di interpretare vita e carriera, la persona è venuta sempre prima del tennista. In una nazione che nei momenti bui della sua storia ha eletto due presidenti per la forza e il fascino del racconto sul futuro, questa è diventata la sua forza. Non può essere una coincidenza, né una svalutazione delle sue capacità tecniche, che di lui si ricordano quasi più le brillanti conferenze stampa delle partite giocate.

Così un Paese che si è raccontato come terra di opportunità e non di sicurezze, anche se ora sta perdendo le prime senza guadagnare le seconde, che ha ancora bisogno di icone e di riferimenti, di simboli e di eroi, come insegna la recente produzione hollywoodiana, in Roddick ha avuto un esempio, un volto familiare in cui specchiarsi. Fare di lui il volto del tennis americano del post-Sampras e poi del post-Agassi, è diventato naturale. L'inizio di una bella amicizia, di una responsabilità vissuta senza il peso del dovere ma con la consapevolezza dell'onore. "Ritengo di essere stato una persona fortunata. E’ stato un vero piacere poter fare quello che ho fatto, ho amato ogni singolo minuto”. E in ogni singolo minuto è stato riamato.

Una corrispondenza spontanea perché “Andy Roddick è come te”, per usare il fortunato titolo scelto per il ritratto firmato da Jon Wertheim su Sports Illustrated nel novembre 2003. “Anche lui non trova il telecomando, prova a convincersi che le patatine cotte al forno fanno meno male. Ha comprato una casa ordinaria non in un’enclave di lusso – Soho, South Beach o Bel-Air – ma a Austin, per poter stare più vicino ai due fratelli maggiori, John e Lawrence. È il raro esempio di atleta di vertice che non vive in un universo parallelo, ma nel nostro universo”. 

Anche in questo sta la sua forza, nella facilità di identificazione. In uno sport come il tennis il tifo procede più per affinità elettive che per fedeltà di bandiera, il tifoso sceglie il proprio beniamino per empatia. Sceglie di appoggiare chi gli è simile, chi sente simile attraverso quanto lascia trasparire di sé in campo e fuori.

Già a Wimbledon, aveva lasciato con un bacio al pubblico dopo la sconfitta con Ferrer che sapeva di malinconia, che suonava come un definitivo arrivederci, senza l’ufficialità dell’addio. ""Mi sono reso conto che non riuscivo a vedermi tornare il prossimo anno, e sono uscito dal campo sapendo che era la mia ultima partita in quel torneo”.

C'era il retrogusto agrodolce del Passato Remoto di De Gregori: "Fu senza saluto il più compiuto addio e non fu mai passato il tempo che passò".

Adesso l’annuncio è arrivato. Gli Us Open sono il suo ultimo torneo. Il suo autunno a New York.

DALL'ARCHIVIO

2009

Wimbledon, Roddick sfuma sul più bello (Comuniello)

2011

Memphis, la vittoria su Raonic e un matchpoint da leggenda (Gibertini)

2012

Australian Open: la sconfitta con Hewitt. Roddick triste, solitario e finale? (Mastroluca)

Dal sentimento alla ragione (Mastroluca)

Miami, l'ultima vittoria su Roger Federer (Nuziale)

Il titolo ad Atlanta (Giua)

L'ultimo titolo in carriera. A Eastbourne l'erba è ancora più verde (De Gaspari)

Wimbledon, il bacio al pubblico è il gesto più bello del torneo (Nuziale)

30 di questi assi, A-Rod (Nuziale)

Alessandro Mastroluca

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