03/09/2012 15:48 CEST - Approfondimento

La conoscenza al potere

TENNIS - Sempre più tennisti Usa seguono l'esempio di Isner e si iscrivono al college. Steve Johnson e Denis Novikov sono solo gli ultimi della lista. All'università i giovani possono formare il loro tennis meglio che nei Futures. Karim Nafea

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John Isner (Getty Images North America Streeter Lecka)
John Isner (Getty Images North America Streeter Lecka)

Gli Stati Uniti sono in crisi, curioso che venga anche da noi italiani un’affermazione del genere. Non hanno più un top-player, l’ultimo è stato Roddick, e non se ne vede uno all’orizzonte. Le prospettive però non mancano: c’è un buon numero di giovani che dà “sostanza” al movimento. In pratica, la scuola americana sta producendo giocatori di discreto e, in alcuni casi, ottimo livello: quelli che dovrebbero fare da appoggio al fenomeno che, purtroppo, non si può produrre.

Da notare che questi giovani hanno le classiche caratteristiche del giocatore americano, gran servizio ed ottimo dritto, ma non solo: di base, sono piuttosto completi, sanno fare qualcosa in tutte le aree del campo e hanno buona varietà di colpi su entrambi i lati.

Oltre a Ryan Harrison, che è giocatore già noto, ed a Jack Sock che si è inserito nel circuito ci sono due tennisti che hanno impressionato in maniera particolare: Steve Johnson e Dennis Novikov. Il primo, californiano classe ’89, è, numeri alla mano, il miglior giocatore NCAA di sempre il secondo, nato a Mosca il 6 novembre 1993, si è appena mostrato vincendo singolo e doppio ai campionati USTA di Kalamazoo.  Pur non essendosi mai incontrati sono nemici giurati, in quanto Johnson è un Trojan della University of Southern California mentre Novikov difende l’oro e l’azzurro di UCLA.

Nonostante tutto, hanno molto in comune: entrambi hanno buon servizio, fondamentali abbastanza solidi, capacità di variare tagli e velocità alla palla, doti difensive apprezzabili e ottima mobilità. Tuttavia il punto che più di tutti li unisce è, paradossalmente, quello che poi li divide: l’università.

Se ne era parlato per Sandgren e Williams (Rhyne, sconfitto da Roddick al primo turno di Flushing Meadows): l’università non è più una scelta di ripiego. Affidarsi ad un ateneo sta, col tempo, diventando una scelta sempre più sensata. Per un giovane giocatore, la possibilità di essere costantemente seguito da un team di tecnici, pur nell’ambiente più dispersivo della squadra universitaria, nell’ambito di una scholarship (quindi senza sborsare un centesimo) è inestimabile.

Dal punto di vista puramente tennistico invece, abbiamo visto con John Isner che il tennis collegiale insegna e forma il giocatore in maniera più completa rispetto a quanto tutta la trafila di Futures e Challenger non faccia.

Le parole di Long John sono inequivocabili:”Senza il college non sarei qui ora… Dopo l’high school non ero neanche lontanamente al livello necessario per diventare professionista”. L’esperienza collegiale permette ai giocatori di formare fin nei minimi dettagli il proprio gioco, giorno dopo giorno, senza la pressione dei punti in scadenza, pressione che arriva nelle competizioni quando, oltre agli avversari, si devono affrontare folle enormi e rumorose di studenti che non si vedrebbero mai in un challenger.

Quando escono dall’ateneo questi giocatori sono pronti al circuito, sicuri che non esista una folla che possa spaventarli, liberi di affidarsi totalmente al loro gioco, forti della propria compiutezza, rilassati ed ambiziosi.

E’ per questo motivo che la proposta dell’NCAA di eliminare il terzo set nelle competizioni universitarie, in favore di un tie-break, è stata recisamente deplorata da gran parte dei giocatori. Era comune opinione che il periodo di prime di un tennista arrivasse attorno ai 25 anni ma da quello che si vede attualmente, il momento di massimo si sta gradualmente spostando verso i 27/28 quando maturità tecnica, tattica e, in buona parte, fisica possono combinarsi in un mix letale.

In quest’ottica la corsa al professionismo adolescenziale non solo è sconsigliabile per il giocatore di medio/alto livello ma inutile.  Ed infatti, sempre più giocatori accettano le proposte di reclutamento andando a difendere i colori del proprio college con l’obiettivo di emulare le gesta di Isner.

La salvezza del tennis americano sta nelle sue Università: la Conoscenza al potere.

Karim Nafea

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