16/09/2012 19:07 CEST - IL PERSONAGGIO

"Little Mo", glorie e drammi di una ragazza triste

TENNIS – Oggi avrebbe compiuto 78 anni, ma morì a soli 34. 9 Slam in 11 partecipazioni e Grande Slam a soli 18 anni: questi gli strabilianti numeri di Maureen “Little Mo” Connolly. Daniele Camoni

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Maureen Connolly
Maureen Connolly

Discorrere di storia del tennis senza fare almeno un giustificato riferimento alla figura di Maureen Catherine Connolly sarebbe grave dimenticanza, se non altro perché stiamo parlando della più grande tennista del tennis d’epoque (à la française), assieme alla “Divina” Suzanne Lenglen e “Little Miss Poker Face” Helen Wills Moody. Troppo spesso non celebrata a sufficienza (la lontananza cronologica certo non aiuta), la commovente storia di “Little Mo” merita assolutamente di essere raccontata, per non dimenticarne le importanti gesta e l’indelebile lascito.

Nata a San Diego nel 1934, sin da piccola Maureen mostrò grande passione per i cavalli, ma fu presto costretta a rinunciare in quanto la madre non poteva pagarle le lezioni. Iniziò così a giocare a tennis, diventando presto, soprattutto sotto la guida di Eleanor Tenant (già allenatrice della plurilaureata Alice Marble) un’ottima giocatrice da fondocampo, potente e precisa, avente nello stellare rovescio la sua arma fondamentale.

Nel 1949, a neanche 15 anni, prese parte al suo primo torneo del Grande Slam, ma la vera gloria arrivò due anni dopo, quando si impose agli US Open sulla esperta Shirley Fry Irvin (peraltro, l’unica in grado di strapparle un set in una finale Slam), diventando la più giovane vincitrice dello Slam americano (record che le verrà più tardi sottratto da Tracy Austin nel 1979).

Nel 1952 si impose per la prima volta in quel di Wimbledon e confermò il titolo di New York. L’immortalità tennistica, la porta verso la gloria eterna ed l’immortale ricordo della storia, le sarebbe arrivata l’anno dopo : nel 1953 assunse come allenatore il mitico Harry Hopman, capitano di Davis e scopritore della “generazione dorata” di talenti australiani, e, per la prima (ed unica) volta partecipò ai quattro Slam stagionali. Grazie al suo smisurato talento, “Little Mo” si impose assai agevolmente in Australia su Julie Sampson Haywood ed a Parigi, Wimbledon e New York su Doris Hart, cedendo un solo set nei quattro tornei ma, soprattutto, diventando la prima tennista a realizzare il mitico Calendar Year Grand Slam e la seconda persona dopo Donald Budge nel 1938. Solo Margaret Court Smith nel 1970 e Steffi Graf nel 1988 saranno in grado di ripetere una simile impresa a livello femminile (a livello maschile, tutti sono a conoscenza dei Grandi Slam del 1962 e 1969 di Rod Laver).

Nessuno era più in grado di fermare lo strepitoso “ciclone Connolly” : nel 1954 saltò lo Slam australiano e non ebbe poi nessun problema a confermare i titoli al Roland Garros e Wimbledon, in uno schiacciante dominio degno della miglior Helen Willis Moody. Purtroppo il destino le riservò un’amarissima sorpresa : due sole settimane dopo il suo terzo Wimbledon, mentre andava a cavallo, un’incidente con un camion le causò un grave infortunio alla gamba destra, forzandone, inaspettatamente, il ritiro dai campi da tennis a soli 19 anni.

Sebbene assai popolare a livello nazionale e mediatico (venne nominata Associated Press Female Athlete of the Year nel triennio 1951-1953), la stessa Connolly ebbe modo di riconoscere il “lato oscuro” della sua breve quanto gloriosa carriera tennistica : “I have always believed greatness on a tennis court was my destiny, a dark destiny, at times, where the court became my secret jungle and I a lonely, fear-stricken hunter. I was a strange little girl armed with hate, fear, and a Golden Racket” (“Ho sempre pensato che il trionfo sui campi da tennis fosse il mio destino, alle volte un destino oscuro, dove il campo diventava la mia giungla segreta ed io un cacciatore solitario e terrorizzato dalla paura. Ero una ragazzina strana, armata di odio, paura ed una racchetta d’oro”).

Una riflessione che, proiettata nel tempo, può benissimo essere accostata anche a Steffi Graf, condannata sin da piccola al successo sul campo quanto insicura e piena di paure, soprattutto fuori dal rettangolo di gioco : il campo da tennis era infatti diventato il suo rifugio, il luogo dove esorcizzare le paure e le ansie dettate, ad esempio, dall’arresto del padre e dalle indagini per evasione fiscale, l’unico terreno dove sentisse di essere pienamente sé stessa, padrona del proprio destino e della propria vita.

Nel 1955 contrasse matrimonio con Norman Brinker, già membro della squadra statunitense di equitazione alle Olimpiadi di Helsinki ’52 ; continuò comunque a mantenere contatti con il mondo del tennis, collaborando con diverse riviste di settore inglesi ed americane. Insieme al marito creò anche una fondazione, la “Maureen Connolly Brinker Foundation”, al fine di promuovere il tennis a livello giovanile.

Se già la sorte gli aveva riservato un’amara sorpresa, costringendola al ritiro, il peggio, purtroppo, doveva ancora arrivare : nel 1966 le venne diagnosticato un cancro, di cui perirà drammaticamente nel 1969, a soli 34 anni. Giovanissima, venne poi introdotta nella mitica Hall of Fame di Newport. Personalmente, ho sempre trovato di affascinante bellezza le cerimoniose parole con con cui gli “eletti/Hall of famers” vengono ricordati a perpetua memoria nell’Arca della gloria, il tutto con una fluida ed armonica corrente di aggettivi propria della lingua anglofona ; ecco qui quelle dedicate alla piccola Maureen :

A dynamo coming off the courts of California to dominate the world of tennis with sweeping authority, “Little Mo” Connolly was among the best ball strikers the game has ever seen. Gifted with uncanny court sense, unerring ground strokes, and the strongest possible disposition, she established herself as the first woman ever to achieve a Grand Slam in 1953, before she had even turned 18. But the following year her career was abruptly ended by a horse-riding accident. In 1969, at 34, she passed away from cancer, leaving behind a reputation for unimpeachable integrity and fundamental decency.

Il destino ha voluto in serbo a “Little Mo” un successo precoce, una carriera luminosa ma breve ed una sorte drammatica. Il suo ricordo rimane comunque vivo, la sua storia è leggenda allo stato puro ; forse era davvero volontà dei numi tutelari del tennis che, a noi comuni mortali, la visione di un talento così cristallino fosse concessa solo per poco tempo, sufficiente però per non dimenticarla mai…

Mario Camoni

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