27/09/2012 13:56 CEST - IL PERSONAGGIO

Serena, siamo solo a pagina 31

TENNIS - Serena Williams ha appena compiuto 31 anni. Come festeggiarla? Con l'ennesimo elogio al suo tennis e ai suoi risultati? No, sottolineando il suo spirito libero: ha sempre detto e fatto tutto seguendo solo sé stessa. Riccardo Nuziale

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Serena Williams festeggia la vittoria degli US Open con i vigili del fuoco di New York (Photo by Mike Stobe/Getty Images)
Serena Williams festeggia la vittoria degli US Open con i vigili del fuoco di New York (Photo by Mike Stobe/Getty Images)

“Tutto ciò che voglio è divertirmi in ciò che faccio ogni giorno. Non voglio infrangere record. Diventare la più grande di sempre comporterebbe restare per altri dieci anni e non credo che a 31 anni sarò ancora qui a giocare”.

Era il 2003 quando Serena Williams disse queste parole, che oggi crollano definitivamente nel limbo delle falsità. Lei c’è eccome, il corso di voodoo per corrispondenza acquistato dalle sue avversarie non ha ancora fatto effetto.

Ma ora sorge un problema non sottovalutabile: fatta eccezione per il coetaneo Roger Federer, la statunitense è più di chiunque altro la tennista della quale è sempre più difficile scrivere senza cadere in banalità agiografiche. Negli ultimi mesi in particolare i commenti sono stati la fortuna del ctrl+c/ctrl+v: se sta bene vince sempre lei, chi la batte, potrebbe giocare contro gli uomini, serve più forte di molti giocatori ATP. Senza contare, naturalmente, l’immancabile e ormai insopportabile dibattito sul(la) più grande di sempre, puntuale come le promesse di vita eterna di Berlusconi.

Questo breve articolo non sarà quindi l’ennesimo elogio della Serena Williams tennista, i risultati sono talmente evidenti che nemmeno i molti detrattori possono ignorarli (mi limito a ricordare le parole di Billie Jean King, nel 2002, su Serena e Venus: “Per me è un commento razzista…’sono un male per il tennis’…sono la cosa migliore mai capitata nel tennis femminile!”. Entusiasmo eccessivo, ma in linea di massima condivisibile.).

Mi vorrei soffermare piuttosto su due caratteristiche di Serena da sempre controverse ma dal sottoscritto particolarmente apprezzate.

1) fin dagli esordi (fece scalpore, nel 1999, il suo “lei è una buona atleta, io sono una grande atleta” riferendosi a Steffi Graf) non ha mai esitato a dire quello che pensa. Talvolta superando certi limiti, esagerando, ma non allontanandosi mai dai suoi principi e dalle sue idee, giuste o sbagliate che fossero. Serena è da più di dieci anni la migliore medicina a quel buonismo imperante fatto di complimenti veri quanto le banconote da 3 euro e frasi-stampino di circostanza che impestano sempre più la scena tennistica (a proposito di buonismo diabetico, c’è qualche lettore che condivide con il sottoscritto la convinzione che tutti gli omicidi del mondo siano correlati al nuovo spot Bauli? In confronto la cover fanciullesca di All Together Now dei Beatles è una messa nera). La statunitense è autenticamente arrogante, senza alcun compromesso e anzi con vanto. Che piaccia o meno la sua personalità, lei si mostra per quello che è. Non è personaggio, è persona. Se piace ne è felice (e il suo sense of humour tagliente e assolutamente mai banale ha non pochi ammiratori), se non piace se ne fa una ragione, continuando imperterrita per la sua strada. Ha sempre avuto la convinzione – avvallata spessissimo dai fatti – di essere la più forte e non ha mai capito per quale ragione avrebbe dovuto dire il contrario. Giustamente.

2) Nel 2003 lo disse in modo perfetto: “Sono un’attrice, una modella e un’atleta. Metto atleta al terzo posto”. È spesso motivo di gran dibattito tra gli appassionati chiedersi che carriera avrebbero potuto avere quegli atleti dotati di grandissimo talento – si pensi ad esempio Safin e Nalbandian – che non hanno scelto la strada dell’abnegazione agonistica. Serena non ne ha mai fatto un problema e non l’ha mai nascosto: il tennis è solo una componente della sua vita. Importante, certo, ma una componente. Non ha mai fatto un segreto del suo interesse altalenante verso lo sport, non ha mai esitato a vivere a 360 gradi, coltivando tutti i propri interessi e presentandosi in campo in condizioni semipietose quando sentiva che il tennis non era certo la priorità. Si elogiano spesso, giustamente, giocatori e giocatrici arrivati/e ai vertici grazie a un grandissimo spirito di sacrificio, a una dedizione assoluta per la racchetta, ma non sono da rispettare di meno coloro che vedono il campo da tennis con un’ottica meno esclusiva. Anzi. Non di rado la dedizione dei primi implica – almeno in apparenza – una chiusura loro malgrado verso molti aspetti complementari della vita, rinunce che non possono colmare senza compromettere il loro successo tennistico. In altre parole sono in qualche modo prigionieri della loro stessa carriera. Serena è sempre stata invece un elogio alla libertà, in questo. Non ha mai dovuto seguire, ha sempre avuto il dono di modellare quello che le è stato intorno secondo le sue esigenze e desideri. Avrebbe potuto vincere di più se si fosse impegnata costantemente? Forse sì. Ma sarebbe stata un’altra persona, non Serena Williams. Il gioco non sarebbe certo valso la candela.

Trentun anni e ancora la più forte. Durerà? Quanto durerà? Non è la domanda esatta. Quel che c’è da chiedersi davvero è…ha importanza? Naturalmente il giorno del declino definitivo arriverà, ma quel che davvero importa, nei presunti ultimi anni di carriera di qualsiasi simbolo dello sport, è godersi ogni attimo, ogni torneo, come fosse l’ultimo. E non c’è dubbio che Serena, come ogni fuoriclasse che si rispetti, saprà mettere il punto dell’ultima pagina unicamente alle sue condizioni.

Perché, come disse Martina Navratilova a New York nel 1988, quando per la prima volta dal 1980 non era stata capace di vincere alcun Slam in una stagione, “l’era non è finita finché non dico io che è finita”.

Riccardo Nuziale

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