30/09/2012 18:23 CEST - Personaggi

Hingis: nostalgia di un piccolo, capriccioso genio

TENNIS - Martina Hingis è tra le candidate a entrare nella Hall of Fame. In più, oggi compie 32 anni. Il ricordo delle grandi sfide con Graf e Seles e di una stagione che sembra già appartenere alla storia. Luca Pasta
 

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Martina Hingis (Getty Images North America Al Bello )
Martina Hingis (Getty Images North America Al Bello )

Le sue vittore, beninteso, ci fanno piacere. Ma il suo gioco ci appaga profondamente

Etienne Barilier, “Martina Hingis, lo stile di una campionessa”, 1997.

Roma, Foro Italico, maggio 1996.

Un pomeriggio di maggio al Foro Italico, la magica atmosfera romana, la dolcezza della primavera, la RAI che trasmette il torneo. Bei tempi. C’è da vedere Steffi, che è tornata Roma, dove non metteva piede da tanti anni. Questi impudenti italiani s’erano permessi di dire e scrivere che, anche se aveva un fisico splendido e gambe da sogno, il suo viso era irrimediabilmente condizionato dal suo brutto naso. E lei se l’era legata al dito. Ma ora la Graf è tornata e oggi gioca i quarti di finale. Davvero interessante, se si considera che gioca con questa nuova bambina prodigio, Martina Hingis si chiama. Ha poco più di 15 anni e mezzo. Sì, l’ho intravista talvolta, ma solo in immagini “mordi e fuggi”.

Nel primo set la Graf sembra in controllo, serve bene e il suo dritto volteggia come nei tempi migliori. Se ne sente tanto parlare di questa piccola elvetica, ma per adesso non pare nulla di speciale. Potente non è (come potrebbe così gracile), colpi da ko non ne ha, il servizio sembra modesto, leggero. Secondo set dunque; ora Steffi chiuderà facile come al solito, ovviamente. Succede invece che comincia a innervosirsi, a sbagliare, soprattutto a perdere centimetri di campo. Eppure la palla sembra colpirla piena. Che l’avversaria c’entri qualcosa? Mah, non so…E se non lo so la colpa è mia...

Durante lo scambio i mei occhi sono sempre sulla figura di Steffi, su come colpisce la palla. Proviamo invece a guardare anche la bambina che sta dall’altra parte della rete. Oh, guarda, sembra che si trovi sempre nel posto giusto per colpire la palla. Che vi arrivi con anticipo e molto coordinata. Oh guarda, sembra che colpendo non faccia fatica. Sembra che, nonostante sia poco più di uno scricciolo, la sua palla viaggi, e parecchio. Sembra che ogni volta disegni il campo nella maniera ottimale rispetto alla situazione nella quale si trova. Talvolta poi, rovesci bimani lungolinea leggeri e perfetti puliscono accuratamente la riga, con la Graf a metri dalla palla. Sì, ma oggi Graf è nervosa, sbaglia molto. Se perde è colpa sua. Indispettito da quello che sta succedendo, cerco di convincermene. Ma non ci riesco del tutto. E quando vedo che la bambina si permette pure, se vede un’apertura, di venire a visitare la rete per prendersi il punto (cosa che ben si guardano quasi sempre dal fare le miopi giocatrici di oggi), comincio ad avere un sospetto, che mano a mano si fa certezza. Questa qui è un fenomeno. E la Graf se ne va, 26 62 63 per la piccola svizzera, che in realtà, leggerò, in Svizzera è cresciuta, ma non nata.

Mille immagini, mille ricordi

Se penso a Martina Hingis oggi, dopo molti anni, è quello di Roma il flash più nitido, il ricordo più intenso. Poi certo, la memoria va a scorrere faticosamentee il suo archivio, e allora di ricordi ne vengono fuori tanti.
La bambina, nel corso del 1996, diventa famosa, gioca la semifinale con la Graf a New York, la porta al quinto set nella finale del Masters. I racconti su di lei si moltiplicano, la nascita in il 30 settembre 1980 in Slovacchia, l’arrivo in Svizzera con la madre che la chiamò Martina perché voleva fare di lei una campionessa. E così via…Cominciano presto gli anni della fulgida ma fugace gloria: il dominio assoluto del 1997, con il primo Grande Slam vinto in Australia a 16 anni e 3 mesi che fece di lei la più giovane vincitrice di un major del ventesimo secolo, quindi i titoli di Wimbledon e dell’Open degli Stati Uniti. Gli anni dal 1998 al 2000, che la vedono sempre al vertice del tennis femminile, ma nei quali cominciò a conoscere l’amaro della sconfitta.

In un solo anno, dai 16 ai 17 anni, ha quasi esaurito la lista degli Slam da conquistare, ma Parigi per lei, appare stregata. Nel trionfale 1997 pensa bene di cadere da cavallo prima di Roland Garros, ed il risultato è che perde la finale con una Iva Majoli che non giocherà mai più nella sua vita come quel giorno, e con quella finale, un Grande Slam che sarebbe stato suo a 17 anni non compiuti. Nel 1998 cede in semifinale alla rediviva Monica Seles. La finale del 1999 a Roland Garros è un altro ricordo indimenticabile.

Martina, che qualche tempo prima classifica la palla ed il gioco della Graf come ormai parte di un’epoca passata (cito a memoria, ma se non disse così, disse qualcosa di questo genere), Martina, che scende in campo agguerrita, Martina che vince il primo set soffocando la Graf con la sua freschezza. Poi l’incredibile. Quando vuole, il pubblico parigino sa essere letale, si chieda per informazioni recenti a Fabio Fognini. E quel giorno volle. Certo Martina comincia, già nel secondo set, a metterci del suo, fino ad arrivare ad andare dall’altra parte del campo di persona per mostrare un segno all’arbitro e a dirle che si sbaglia. Penalty point. Perde la testa. E il pubblico non ha pietà. La sosta in bagno eterna dopo aver perso il secondo set, i servizi dal basso, la continua polemica con l’intero impietoso ambiente che la circonda. Steffi che vince. Lei che sparisce, di premiazione non ne vuol sapere. Piange tra le braccia di mammma Melanie, poi a malincuore torna sul centrale. Una giornata folle e indimenticabile, nella quale insieme all’ultimo Slam di Steffi il mondo del tennis conosce definitivamente questo lato oscuro, squilibrato di Martina Hingis. E’ come se fosse pervasa da una rabbia di fondo, da un nervosismo che talvolta sfocia nell’isteria.

I fidanzati cominciano a susseguirsi, il golfista Garcia, i colleghi Alonso , Heuberger, Magnus Norman (cui seguirà in seguito Radek Stepànek ed altri personaggi, fino al matrimonio con  il cavaliere francese Thibault Hutin nel 2010), Martina è inquieta. Forse sente che le amazzoni che stanno sopraggiungendo nel circuito la schiacceranno con la loro potenza.

Il peso di Lyndsay Davenport lo ha già assaggiato in finale a Flushing Meadows nel 1998 persa in due set, quello di Venus ha cominciato da tempo a conoscerlo e, come se non bastasse arriva la sorellina di quest’ultima, una certa Serena, a dire il vero un molosso di muscoli e determinazione feroce da fare paura. A New York nel 1999 vince eroicamente contro Venus in semifinale, ma non resiste in finale a Serena. Una si, due consecutivamente no. Quando le due pantere nere non ci sono, ci pensa quel donnone della Davenport a schiacciarla, accade di nuovo, a Melbourne nel gennaio 2000, mentre è Venus a piegarla nonostante valorosissime resistenze, a Wimbledon ed a Flushing Meadows. A completare la demolizione ci pensano la Pierce a Parigi nel 2000 e la Capriati in Australia nel 2001 e nel 2002.

Puoi avere un talento smisurato, una fluidità incredibile, un’intelligenza ed un istinto rari, ma in questi tempi moderni, di fisici modellati dalle palestre e di attrezzi spaziali, la violenza brutale ti schiaccia: non puoi competere con donne a cui rendi 15-20 centimetri e molti chili, o meglio, se sei un fenomeno come Martina lo puoi fare, puoi vincere a volte, puoi arrivare ad avere 4 match point come con Jennifer nell’ultima finale Slam che la Hingis giocherà in carriera, ma alla fine devi soccombere.

E Martina soccombe: nel febbraio 2003 annucia il ritiro. Un ritiro che non sarà definitivo. Nel 2006 tornerà per un paio d’anni e sul centrale del Foro Italico rinnoverà a 10 anni di distanza da quel giorno di primavera del 1996, il miracolo di quel tennis pulito, fluido, sublime, geometricamente geniale. Saranno, il 2006 ed il 2007, un paio d’anni nei quali raccoglierà una manciata di quarti negli Slam ed aggiungerà ai 40 titoli in carriera altri 3 tornei, tra i quali appunto gli Internazionali d’Italia già vinti nel 2001. Poi l’epilogo, la sconfitta al terzo turno di Wimbledon 2007, i test che decretano l’assunzione di cocaina, la rivendicazione della sua innocenza, l’annuncio a novembre 2007 del ritiro, la sospensione della Federazione Internazionale che comunque arriva all’inizio del 2008.

Come ricordarla, che cosa insegna oggi

Mai come nel caso di Martina Hingis occorre selezionare i ricordi, che sono tanti, belli e meno belli, filtrarli ad un setaccio mentale che lasci passare solo le gemme più preziose che lei ci ha lasciato. Tali gemme non sono necessariamente i numeri sontuosi, che raccontano comunque di un fenomeno capace di arrivare a 22 anni con 5 Slam, 40 titoli (saranno 43 dopo il breve rientro), 209 settimane al posto di numero 1 del mondo. Non importa se il setaccio della memoria si lascerà sfuggire titoli, record, punteggi. Basterà che trattenga il prodigio di quei gesti fluidi, di quell'assenza di fatica, di quella palla piazzata sempre nel posto giusto, di quell'agio incredibile nel diventare offensiva senza violenza, di quella naturalezza meravigliosa nel colpire al volo senza mai esser stata giocatrice puramente di volo. Sarà allora che avremo limpida ai nostri occhi, l'immagine migliore di quella nuova Evert più geniale e talentuosa, o, se volete di quell'antenata ancor più raffinata della sua più verosimile erede Agnieska Radwanska. Molte top players di oggi farebbero bene, tra una seduta di allenamento e l’altro, ad avviare un video di Martina Hingis e ad osservarlo: scoprirebbero che aggiungere alla loro potenza l’intelligenza potrebbe dare al loro tennis una valore aggiunto non banale e che imparare in parte la sua lezione e divenire esseri pensanti è possibile.

Certo, diventare come la Hingis sarebbe troppo: lei era geniale tatticamente non per ragionamento, ma per istinto. Ecco, è forse questo alla fine, l’aspetto più sublime ed indelebile di Martina Hingis.

Luca Pasta

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