08/11/2012 15:06 CEST - Calendario ATP

"Più soldi? No, grazie" Rifiutato l'aumento montepremi

TENNIS - Il torneo di Indian Wells voleva aumentare il montepremi 2013, ma l'ATP non approva il cambiamento. Al momento nessuna decisione definitiva. Gli elettori di Miami approvano l'espansione di Crandon Park. Vanni Gibertini


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Indian Wells Stadium
Indian Wells Stadium

Per una Londra che si assicura di ospitare le ATP Finals per altri tre anni, c’è un altro dei Paesi di magggiore tradizione tennistica, gli Stati Uniti, che sta vivendo momenti di difficoltà dal punto di vista organizzativo. Nonostante l’ATP abbia deciso di posporre all’Australian Open l’ufficializzazione del proprio calendario 2014, su e giù per la O2 Arena si sono susseguite voci ed indiscrezioni che riguardano alcuni dei maggiori eventi del calendario tennistico made in USA.

Il caso certamente più singolare riguarda il BNP Paribas Open di Indian Wells, in quale si sarebbe (il condizionale è d’obbligo visto la mancanza di versioni ufficiali) visto negare il proposto aumento di montepremi per l’edizione 2013 sembra per non essere “conforme” alle linee guida ATP relative alla suddivisione dei premi in denaro tra i vari turni. Il torneo californiano di proprietà del magnate della Oracle Larry Ellison, infatti, aveva proposto di aumentare il montepremi di 800.000 dollari durante la prossima stagione, e di spalmare l’aumento solamente sulle cifre da destinare ai giocatori sconfitti nei primi tre turni. Nel corso del 2012, infatti, vi era già stato un altro consistente aumento di montepremi, che però era stato interamente dedicato ai giocatori classificati dai quarti di finale in su, che ha visto i premi per il vincitore, finalista e per i semifinalisti arrivare rispettivamente a 1 milione, 500.000 e 200.000 dollari. La misura era stata presa anche per livellare l’entità dei premi tra il tabellone maschile e quello femminile: infatti, nonostante il montepremi totale dei due tabelloni sia lo stesso, una differente regolamentazione in materia di distribuzione dei montepremi tra i vari turni aveva fatto in modo che fino al 2011 la vincitrice del torneo femminile ricevesse un assegno più sostanzioso del vincitore del torneo maschile (700.000 dollari contro 611.000). L’aumento proposto per il 2013, quindi, sebbene sia già stato ufficiosamente rettificato dalla WTA (che non sia mai che l’organizzazione del CEO Stacey Allaster dica di no a qualche dollaro in più), avrebbe incontrato il parere negativo del Board dell’ATP in una votazione che avrebbe visto i tre rappresentanti dei giocatori accettare (ovviamente) la proposta, i tre rappresentanti dei tornei rifiutarla (sembra perché Indian Wells in questo modo “alzerebbe la sbarra” ad un livello troppo elevato per gli altri) ed il CEO dell ATP Brad Drewett inspiegabilmente e pilatescamente astenersi dal voto, facendo naufragare la mozione.

Tuttavia, come detto, il condizionale è d’obbligo perché le versioni dei fatti riportate dagli interessati sono discordanti. Infatti se da una parte Jon Wertheim su Sports Illustrated cita un commento ricevuto da Brad Drewett in persona che di fatto conferma il sostanziale svolgimento degli eventi come descritto sopra, un altro dei membri del Board, l’italiano Giorgio di Palermo, che è uno dei tre rappresentanti dei giocatori, interpellato dagli inviati di Ubitennis a Londra ha negato che ci sia stata una votazione formale: “le versioni dei fatti che sono circolate in questi giorni corrispondono al vero solo in parte – ci ha spiegato – non c’è stata nessuna votazione. La proposta sul tavolo è solo una di quelle in corso di valutazione ed una decisione in proposito verrà presa in altra sede”.

In qualunque modo le cose siano andate in questa fantomatica riunione londinese, rimane il fatto che il Direttore del Torneo di Indian Wells Raymond Moore, intervistato dal quotidiano locale di Palm Springs “Desert Sun”, ha affermato di essere rimasto di stucco quando gli hanno comunicato la presunta decisione dell’ATP, precisando però che non aveva ancora ricevuto alcuna spiegazione ufficiale né da Brad Drewett in persona né da nessun altra persona interna all’ATP.

John Wertheim ha successivamente pubblicato, nel suo articolo su Sports Illustrated, la dichiarazione che l'ATP gli ha inviato per e-mail: "Siamo disponibili all'aumento del prize money dei tornei, ma in questo caso un torneo sta proponendo una distribuzione che non è in inea con le regole dell'ATP su cui i giocatori e gli stessi tornei si sono accordati e che ogni altro evento del Tour segue. Il modello di distribuzione del montepremi è disegnato in parte per proteggere la quota di guadagni dei giocatori di mezza classifica e distribuire equamente il montepremi nei vari turni. Saremmo felici di approvare un aumento del prize money, se fosse in accordo con le regole sulla distribuzione dell'ATP".

Certo è quantomeno sorprendente che, dopo una ventilata minaccia di boicottaggio dell’Australian Open per spingere gli organizzatori australiani ad aumentare i premi per gli sconfitti nei turni preliminari, l’ATP si trovi ammutinata dai rappresentanti dei tornei nel suo stesso board tanto da avere difficoltà a far rientrare nei propri parametri regolamentari l’offerta di uno dei maggiori tornei del suo circuito (gli Slam sono gestiti dalla ITF, non dall’ATP) che intende seguire la stessa strada.

E’ un problema che trova la sua origine nella natura pseudo-incestuosa dell’ATP, nel quale tornei e giocatori appartengono tecnicamente allo stesso organismo, ma naturalmente perseguono interessi divergenti: l’ATP, nato come sindacato dei giocatori, dovrebbe essere una delle due parti di un negoziato, e non l’ombrello che si prefigge di proteggere gli interessi naturalmente contrapposti di tornei e giocatori. In una situazione come quella attuale, va tutto bene fino a che tutti sono d’accordo, ma quando come in questo caso si trova una buca lungo la via, c’è il rischio che vengano prese decisioni politiche che hanno a cuore tutto tranne che il bene del gioco. Perché è chiaro come il sole che rifiutare il denaro di un munifico benefattore come il signor Larry Ellison è una colossale scemenza che non può avere lo sviluppo dello sport come suo motivo ispiratore. Se veramente c’è stata una votazione, e Drewett ha deciso di astenersi per non “bruciarsi” il consenso dei rappresentanti dei tornei così presto nel corso del suo mandato, ce n’è abbastanza per chiedersi se il sistema attuale funzioni veramente, quando può essere tenuto in ostaggio da un assurdo tecnicismo sulle regole di suddivisione dei montepremi. Nulla è compromesso per il momento, c’è da sperare in un rapido ritorno al buon senso per evitare danni seri al movimento tennistico.

E se l’affaire Indian Wells per il momento tiene in scacco i progetti a breve termine del torneo californiano, la sua controparte sulla East Coast, il Sony Open Tennis di Miami, ha potuto tirare un piccolo sospiro di sollievo durante la giornata di mercoledì quando lo Stato della Florida ha reso noti i risultati della consultazione popolare a proposito del progetto di espansione di Crandon Park. Come avevamo già spiegato in questo articolo un paio di mesi fa, nel corso della tornata elettorale che ha sancito la rielezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti, gli abitanti della Florida erano anche stati chiamati ad esprimere la loro opinione sul possibile allargamento delle strutture permanenti di Crandon Park. La sede del Sony Open infatti si trova all’interno di un parco naturale, ed ogni costruzione volta ad ampliare le strutture permanenti deve essere approvata dalla maggioranza della popolazione, anche se finanziata interamente da fondi privati. Situato a pagina 11 delle 12 che componevano la scheda elettorale in Florida (cosa che in parte spiega anche le lunghissime code che si sono registrate ai seggi, con alcuni elettori costretti ad attendere anche sette ore per votare), il quesito elettorale chiedeva di approvare la “costruzione di strutture permanenti ad espansione di strutture esistenti al Crandon Park Tennis Center ad uso del parco pubblico e del torneo di tennis, che saranno finanziate interamente dai proventi del torneo e da fondi privati” ed anche di approvare la “modifica e l’estensione dell’accordo [attualmente in scadenza nel 2018] con gli operatori del Sony Open Tennis [che al momento è la IMG] o dei loro successori”. Il 72% dei votanti si è espressa a favore dell’ampliamento e della modifica dell’accordo, segnando un importante passo avanti per il torneo nella sua battaglia per iniziare i lavori, anche se ora rimarrà da convincere lo “steering committee” voluto dalla famiglia Matheson (proprietaria originale del terreno di Crandon Park) della sostenibilità del progetto. La strada verso il via libera ai lavori per gli organizzatori di Miami non è ancora finita, ma una tappa importante è stata completata con successo.

Meno positive le indiscrezioni circolate a proposito di un altro torneo americano, quello di Los Angeles. Anche se manca l’ufficialità, sembra che a partire dal 2014 la megalopoli californiana perderà il proprio torneo che si disputa tradizionalmente a fine luglio e che fino a qualche anno fa segnava l’inizio dell’US Open Series (ora è preceduto dal torneo di Atlanta). Sarà la capitale colombiana Bogotà ad acquisire la data, segnando probabilmente quello che sarà solamente il primo dei movimenti di assestamento provocati dallo spostamento di Wimbledon che dal 2015 si disputerà durante le prime due settimane di luglio.
Altre voci circolate negli ultimi giorni sembrano confermare, a partire dal 2014, la trasformazione della superficie del torneo di Acapulco dalla terra battuta al cemento, in modo da posizionarsi come torneo di preparazione per i due Masters 1000 americani di marzo. E da sempre più parti si ipotizza che l’estensione del contratto firmata con la O2 Arena per l’organizzazione delle World Tour Finals sia stata accorciata a tre anni (gli organizzatori puntavano ad un quadriennale) per poter traslocare la kermesse finale dell’ATP a Rio de Janeiro, già sponsor del circuito, e sfruttare così l’onda lunga dei Mondiali di calcio 2014 e delle Olimpiadi del 2016.
 

Vanni Gibertini

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