24/01/2013 11:07 CEST - Personaggi

Sloane Stephens: baby Serena è diventata grande

TENNIS - La vittoria di Serena Williams suona un po' come un cambio della guardia. Sloane Stephens è passata in due anni da top-200 a top-20. Ha raggiunto la prima semifinale Slam in carriera. Ha colpito per qualità di gioco e personalità, dentro e fuori dal campo. Il rapporto con la madre, il dolore per la morte di un padre conosciuto tardi e con un segreto spiacevole. Alessandro Mastroluca

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Sloane Stephens
Sloane Stephens

Il tennis non fa parte della mentalità degli afro-americani, scrivera Arthur Ashe negli anni Ottanta. Poi sono arrivate le sorelle Williams e qualcosa è cambiato. Soprattutto Serena è riuscita dove i pionieri Althea Gibson e lo stesso Ashe non erano riusciti del tutto. E la vittoria di Sloane Stephens sarà ricordata per questo: non come un match di grande qualità, non come un incontro epico con una trama intessuta di pathos e tensione, ma come "il cambio della guardia". E pazienza se il legame tra Sloane Stephens e Serena Williams non è quello del protegé con il suo mentore, come in molti avevano presentato questa partita, il primo quarto di finale tra due giocatrici Usa in uno Slam dal 2008 (Serena contro Venus agli Us Open).

"Non le ho mai dato consigli, non sento alcuna responsabilità verso di lei" ha detto Serena. In fondo si sono incrociate la prima volta solo un anno fa, a Brisbane: si parlano per meno di cinque minuti, per Sloane lei è ancora "come una divinità", la campionessa di cui tiene il poster in camera, anche se non è per seguire le sue orme che ha iniziato a giocare a tennis. “Adoro vederla giocare” ha raccontato, “ma non ho mai cercato di imitarla o cose del genere”. Serena, invece, non aveva idea di chi fosse quella ragazzina di colore.

Un anno però può renderti diverso, e dodici mesi dopo, sempre sullo stesso sfondo, la divinità è diventata abbastanza terrestre che Sloane la accusa di essere irrispettosa con i suoi continui pugnetti, le esultanze rabbiose e i "come on". E alla vigilia del quarto di finale di Melbourne, a caldo dopo aver battuto Jovanovski, conquista la folla: "Serena dice che non grido abbastanza in campo, che non faccio abbastanza rumore: spero che oggi stesse guardando". Che abbia guardato o no, ha avuto modo di vedere di persona, più da vicino quella ragazzina trasformarsi nell'immagine di una campionessa.

Sloane ha giocato il suo primo quarto di finale Slam contro quella che è considerata la più forte giocatrice in attività e l'ha vinto. Adesso, a due mesi dal suo 20mo compleanno, tutti vorranno un po' della sua luce riflessa.

Dopo la vittoria contro una Serena comunque frenata da un dolore alla schiena, sembra figlio di movimenti sbagliati per compensare il dolore alla caviglia destra slogata dopo la caduta al primo turno, Sloane prende in mano il suo smartphone: i messaggi sono troppi per essere letti lì, sul campo, prima dell'intervista a caldo. Un solo numero attrae la sua attenzione: ha raddoppiato i follower su Twitter, ora sono 35 mila.

Serena, che aveva perso solo una partita dal Roland Garros 2012, non ha voluto cercare scuse per giustificare quella che ha definito la peggior serata di sempre in uno Slam. Sotto 2-1 nel terzo, ha distrutto la racchetta sul plexicushion e l'ha poi lanciata verso la sua panchina: "Mi ha reso felice" ha ammesso. Quando, sul 4-4, dopo la prolungata alternanza di errori e vincenti, di break persi e ripresi, Serena ha la palla del 5-4 che la porterebbe a servire per il match, il finale a sorpresa sembra allontanarsi. Ma Sloane tira un dritto dei suoi e tutti, nella Rod Laver Arena, in Australia, negli Usa capiscono che è il suo giorno, che sarà quello il palcoscenico del suo trionfo.

A fine partita risponde per un attimo male a Doug Robson di Usa Today, che le chiede se avesse pensato di ritirarsi (dal match): "Doug mi stai prendendo in giro? Certo non mi sto ritirando!". Poi scoppia in una risata delle sue quando si rende conto di non aver capito la domanda: "Scusa, per un nanosecondo ho pensato che stessi parlando della mia carriera". Ma è probabile che da qui in avanti le domande così, sulla sua carriera, non saranno poche.

Anche Stephens, passata da top-200 a top-20 in poco più di due anni, ha avuto la sua dose di infortuni. L'anno scorso si è strappata un muscolo addominale al Roland Garros, dove è comunque riuscita a raggiungere gli ottavi di finale. Ha continuato a giocare, ma dopo l'uscita al terzo turno agli Us Open ha seguito il consiglio dei medici: due mesi di pausa così da non dover ricorrere alla chirurgia. Per evitare ulteriori rischi, non sta giocando in doppio. Ma con la semifinale degli Australian Open in singolare potrebbe avvicinare la top-15 e andare molto al di là degli obiettivi fissati a inizio 2012: avere una posizione migliore di Sam Querrey, con cui condivide il coach, David Nainkin. “Non era una vera scommessa, solo una questione d'orgoglio” ha detto. “Ma nel tennis l'ego conta”.

E conta ancor di più quando le sofferenze non si fermano a qualche muscolo strappato. Stephens vive a Westwood, vicino al campus della UCLA. Vive con sua madre, Sybil Smith, psicologa con un passato da nuotatrice alla Boston University, la prima donna di colore nella storia della NCAA a essere eletta "first team All American", e con il fratello minore, Shawn. Non sono venuti in Australia per gli impegni di Shawn a casa. Da quando Sloane ha 11 anni, con la madre hanno firmato Il Contratto, un foglio con tre frasi in cui Sybil si è impegnata a supportare la figlia sempre e comunque ma a fare solo la madre senza superare i limiti della perfetta relazione mamma/figlia nel tennis.

Nel 2007 il suo secondo marito, Sheldon Smith, muore di cancro. Due anni dopo il primo marito si ammala di un grave morbo degenerativo alle ossa. È John Stephens, ex star del football americano, miglior runningback esordiente nel 1988 con i New England Patriots. È il padre di Sloane, ma non ha avuto praticamente rapporti con lei. Dopo la scoperta della malattia, John la cerca, la chiama nel tentativo di recuperare almeno un po' del tempo perduto. Una volta riesce anche ad andare a vederla giocare. “Stava morendo e voleva conoscermi. Sono felice abbia deciso di fare quella telefonata. Conoscerlo è stato importante” disse Sloane.

Il 1° settembre 2009 mentre è impegnata agli US Open junior, una sorellastra la chiama dalla Louisiana: il padre è morto a 43 anni, in un incidente stradale, sul camion della ditta di trasporti per cui  lavorava. Si è schiantato ad alta velocità contro un albero in una zona rurale non lontano da Shreveport. “Subito dopo aver appreso la notizia Sloane ha pianto per circa un'ora e mezzo”  ha raccontato mamma Sybil al New York Times. “Poi ha detto che voleva andare sul campo da tennis, ed è rimasta a colpire palline per un paio d'ore”.

Ricevuta la notizia, ha vinto il suo primo incontro. Gli organizzatori le hanno concesso un giorno libero in più per andare in Louisiana al suo funerale. Fondamentali, nel convincerla a partire, le parole di Brian de Villiers, il coach di Melanie Oudin che in quell'edizione degli Us Open ha vissuto il suo più grande, e finora unico, momento di gloria. Anche De Villiers ha perso presto il padre ma scelse di non partecipare alla cerimonia funebre. “Mi ha detto che è qualcosa di cui porta rimpianto tutt'ora” ha spiegato Sloane, che al ritorno a New York ha perso 46 60 61 da Julia Cepelova. Un anno dopo, vinceva il suo terzo Slam di fila in doppio, sempre in coppia con Timea Babos.

Ma in quei giorni del 2009 ha scoperto anche qualcos'altro su John Stephens, un segreto che non avrebbe voluto conoscere. “Aveva conosciuto solo la parte positiva di lui. Era riuscita a diventare orgogliosa di suo padre” ha detto sua madre. Ma cercando informazioni su internet, legge che John Stephens è stato accusato di stupro nel 1994 e che si è dichiarato colpevole di quel reato. “E' rimasta sconvolta, mi ha chiesto perché non gliel'avessi detto” ha spiegato Sybil. "Volevo che fossi orgogliosa di lui: era un uomo molto buono, anche se con problemi di tossicodipendenza”.

“Devi giocare con le carte che il destino ti dà” ha detto Sloane dopo la vittoria. “Penso di essermela cavata abbastanza bene. Mia madre ha fatto un lavoro straordinario con me e mio fratello, ho imparato molto da quello che mi è successo. Non ho un papà, ho perso anche il mio padre adottivo, ma ho avuto tutto, la migliore famiglia del mondo. C'è chi sta molto peggio di me”.

Con le carte del destino, Sloane si è giocata la partita migliore, ha trasformato quella potenzialità già intuita da Donald Dell in azione. La giovane promessa non è più una ragazzina. E forse è arrivato il momento di un nuovo cambiamento. “Penso che in camera metterò un poster di me stessa adesso”.

Alessandro Mastroluca

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