21/02/2013 14:23 CEST - Personaggi

Rebecca Marino: "Sono depressa, lascio il tennis"

TENNIS - Rebecca Marino lascia il tennis. "Sono depressa, ne soffro da sei anni. Non c'è niente che mi piaccia quanto il tennis, ma non mi piace abbastanza da sacrificare ancora la mia felicità per raggiungere il livello che potrebbe competermi". L'anno scorso è stata fuori sette mesi dopo aver ricevuto insulti via internet. Alessandro Mastroluca (ha collaborato Vanni Gibertini)

| | condividi
Rebecca marino
Rebecca marino

Lascio il tennis perché sono depressa”. In un'intensa conference call, cui ha partecipato anche il nostro corrispondente dal Canada Vanni Gibertini, a 22 anni Rebecca Marino ha annunciato il secondo addio all'attività agonistica. “Non sento la passione, lo spirito, la voglia che servirebbero per tornare al livello in cui sono stata. Non credo che valga la pena, per me, sacrificare ancora la mia felicità per provarci. Ci sono giorni in cui non riesco nemmeno ad alzarmi dal letto”.

Marino è esplosa nell'estate del 2010: agli Us Open 2010 ha messo in seria difficoltà, al secondo turno degli Us Open, Venus Williams che ha dichiarato a fine partita: “Ora so che vuol dire giocare contro di me”. Un anno dopo ha giocato la sua prima finale WTA, a Memphis. Nello stesso torneo ha raggiunto la finale anche Milos Raonic, anche lui a 20 anni. E il Canada ha cominciato a sognare. Su di lei Tennis Canada ha investito molto, anche in termini di comunicazione (l'ha portata anche in “parata” su un carro a Toronto): evidentemente è più difficile capire se un ragazzo o una ragazza ha la pelle abbastanza dura per sopportare la vita da professionista piuttosto che realizzare se sa tirare bene il diritto.

A luglio del 2011 ha toccato il suo best ranking, di numero 38 del mondo. Poi è arrivata una serie di sconfitte, accompagnate da insulti e offese su Facebook e Twitter. I  tifosi che avevano perso dei soldi scommettendo su di lei “dicevano: 'Hai regalato la partita, mi sei costata un sacco di soldi, dovresti bruciare all'inferno' o ancora 'Dovresti morire'. Mi ha messo paura”, ha spiegato l'anno scorso al New York Times.

“Sono abbastanza sensibile a queste cose” ha raccontato allora al New York Times, “forse non avrei dovuto leggerle ma sono abbastanza 'ficcanaso' per cui sono andata a vedere cosa dicevano di me. A volte le persone mettono gli atleti su un piedistallo e dimenticano che alla fine sono anche loro delle persone”.

Così, a febbraio 2012 Rebecca ha scelto di prendersi una pausa indefinita. Ha fatto domanda per lavorare come cassiera in un fornaio e come direttrice di sala in un ristorante. “Ma il proprietario del ristorante aveva giocato a tennis con me anni prima, sapeva che sarei tornata sul circuito e non mi ha dato il lavoro”.

Poco tempo dopo quel colloquio, Marino è tornata. Era ormai fuori dalle prime 500, ma al quinto torneo disputato vince un titolo, in un ITF da 25 mila dollari in South Carolina. Quest'anno ha beneficiato del ranking protetto ed è entrata nel main draw degli Australian Open, perdendo però al primo turno.  Poi il nuovo addio, proprio dopo il torneo di Memphis, dove tutto era cominciato.

Quello che sembrava un caso di cyber-bullismo, però, era solo un indicatore, l'epifenomeno di una malattia che Rebecca ha tenuto nascosta quasi a tutti per sei anni. I primi segnali della malattia arrivano quando lascia il Canada. Marino, che inizia a viaggiare per i tornei giovanili a 13 anni, a 17 lascia la scuola, a 18 si allena per 5-6 mesi in Svizzera. E qui comincia a sentire il peso della solitudine e della lontananza. A 19 è tornata in Canada, a Montreal, che però è comunque lontana (geograficamente, culturalmente, linguisticamente) dalla sua Vancouver.

“La vita del tennista non è la vita glamour che molti pensano” ha spiegato Rebecca nella conference call. “Si passa molto tempo da soli, si sta a lungo lontani dalla famiglia, si mancano compleanni e anniversari: sono stanca di non essere con loro nei momenti importanti”. Qui, nell'assoluta sensibilità, nel delicato rispetto che la malattia richiede, rimangono delle domande e un coacervo di emozioni contrastanti. Innanzitutto, è vero che la carriera del tennista non è solo glamour, ma questo un giovane che inizia lo sa, o almeno dovrebbe saperlo, e se non lo sa lo scopre presto. E una domanda sorge spontanea: perché cominciare, se una voce dentro di te ti dice che quella vita non fa per te? O comunque perché continuare per sei anni portandosi dietro un passeggero oscuro? C'entra quello che il musicista Mauro Pagani ha definito in una recente intervista “il ricatto morale che si fa ai giovani dicendo: il treno passa una volta sola e bisogna essere pronti ad afferrarlo al volo”?

Non ho ovviamente risposte. Però credo che c'entri anche dell'altro, che c'entri la consapevolezza delle aspettative che ti vengono proiettate addosso quando inizi un percorso di questo tipo e degli investimenti emotivi ed economici di chi ti sta intorno che sono il risultato di quelle aspettative. E c'è l'ottimismo della volontà, il senso di responsabilità che spinge a continuare, che spinge a provarci perché quegli investimenti meritano rispetto, e meritano che ci si impegni al massimo per ripagarli.

Un atteggiamento che, per esempio, non ha avuto un'altra giovane promessa canadese, seppur di minor potenziale: Valerie Tetreault, che ha abbandonato nel 2010, a 22 anni, perché le mancava la famiglia e voleva uno stile di vita più stabile. Ora lavora per Tennis Canada e fa la commentatrice per il canale sportivo di lingua francese TVA Sports.

Rebecca no, Rebecca Marino ci ha provato, ha sacrificato una parte della sua felicità in nome di quella strada che aveva scelto. E che aveva scelto perché, e l'ha confermato nella conference call, “non c'è niente che mi piaccia quanto il tennis e non escludo un mio ritorno in qualche forma. Però ho capito che, evidentemente, non mi piace abbastanza da continuare”. Alla luce della sua confessione assume ancora maggiore significato la sua scelta di rientrare alla fine dell'anno scorso dopo i sette mesi di pausa. “Stavo giocando con degli amici, e mi sono accorta che mi dava ancora degli stimoli, che mi appassionava ancora” ha raccontato, “e ho deciso di riprovarci, anche perché avevo cambiato medicine e terapia e mi sentivo meglio, ero più ottimista. Ma ho capito che questa vita non fa per me, che il mio livello attuale non è adeguato alle mie aspettative e allo stesso tempo non me la sento di fare quello che serve perché lo sia”.

“Già dopo l'ultima sconfitta” ha ammesso, “sentivo dentro di me che avrei fatto questa scelta. Ho iniziato perciò a confidarmi. In questi anni, devo dire, sono stata seguita da un terapista che mi ha molto aiutato. Poche persone sapevano della mia depressione, ho scelto di non condividerla se non con i miei familiari e con il mio team, almeno fino a questo momento. Questa condizione ha iniziato a influire sul mio gioco da due, tre anni. Lasciare per sette mesi l'anno scorso è stata la scelta più difficile ma anche la migliore di tutta la mia vita. Ora voglio rendere pubblica la notizia perché arrivi chiaro il messaggio che la depressione è una malattia (il 12 febbraio si è celebrata in Canada la Giornata della sensibilizzazione contro le malattie mentali, inclusa la depressione, e questo rinforza la carica simbolica del messaggio, NdA). Sarei felice se questo mio annuncio spingerà anche una sola persona a cercare aiuto”.

Non resta che augurare buona fortuna a Rebecca Marino per il suo futuro. Evitando in ogni caso la retorica del “era una privilegiata, facendo la tennista avrebbe guadagnato abbastanza da non dover più lavorare nella vita”. In fondo, come diceva il teologo Howard Thurman, un cervello (e ancor di più uno malato) è un cervello, e la confezione non conta.

Alessandro Mastroluca (ha collaborato Vanni Gibertini)

comments powered by Disqus
QS Sport

Si scaldano le trattative di mercato: Milan e Juventus attivissime, la Roma blinda Florenzi; Thohir dice no all'Atletico Madrid per Icardi e Handanovic. Maxi Lopez è del Chievo, Trezeguet torna al River Plate

Ultimi commenti