02/04/2013 15:05 CEST - Profili

Com'è dura essere la figlia del Dottore

TENNIS - Storia di Alexandra Stevenson, figlia di Julius Erving, per tutti Doctor J. Nata da una relazione extraconiugale, Alexandra per anni non può incontrare suo padre. Il segreto viene svelato dalla stampa durante Wimbledon 1999, quando Stevenson arriva a sorpresa in semifinale. Nel 2002 sale al numero 18 poi l'infortunio alla spalla e anni di tornei minori. Alessandro Mastroluca

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Alexandra Stevenson insegna a suo padre Julius Erving le basi del tennis
Alexandra Stevenson insegna a suo padre Julius Erving le basi del tennis

Tre anni fa, la sua carriera sembrava finita. Ma il 60 60 subito da Ekaterina Ivanova a Charleston, in una partita in cui ha fatto solo 15 punti, non è stata la fine per “Miss-15-Minuti-di-Celebrità”. Continua a provarci, Alexandra Stevenson, che da quel momento ha giocato quasi solo tornei ITF, che è entrata solo quattro volte in un main draw WTA, naviga al numero 485 e ha mancato la qualificazione a Monterrey (battuta 06 76 61 da Samantha Crawford). Sono lontanissimi i giorni di gloria della semifinale a Wimbledon del 1999: il suo torneo della vita, il suo millennium bug. Da allora ha vinto solo 4 partite in uno Slam, e ha giocato l'ultimo major agli Us Open nel 2004. Da allora la sua vita, personale e sportiva, non è più stata la stessa.

Figlia della stella
Nel 1980, Julius Erving, per tutti Doctor J, era la stella dei Philadelphia 76ers, MVP dei playoff 1977 (nel 1981 sarà eletto miglior giocatore della NBA). Samantha Stevenson era una giornalista che due anni prima aveva aiutato come ghost writer la moglie di Erving, Turquoise, a scrivere un articolo per il New York Times su cosa significasse avere per marito uno dei migliori cestisti d'America. Turquoise era ossessionata dalle infedeltà del marito.

Erving inizia una relazione anche con Samantha Stevenson. Alexandra, che nasce il 15 dicembre 1980 in un ospedale di San Diego, è sua figlia. Ma nessuno deve saperlo. Uno scandalo di questo tipo, una figlia nata fuori dal matrimonio, per di più da una relazione inter-razziale, sarebbe stata deleteria per la carriera di Erving. Gli avvocati negoziano un accordo. Samantha si impegna ad avere la custodia di Alexandra, a vivere 200 chilometri lontano da lui (sceglierà di stabilirsi a La Jolla, in California) e a non divulgare la notizia alla stampa.

Quando Alexandra ha 8 anni, Eeving, che si è da poco ritirato dall'attività agonistica, organizza una clinic di un giorno proprio alla palestra di La Jolla. Tutti i suoi compagni di classe muoiono dalla voglia di incontrarlo. Anche Alexandra decide di andarci, per vedere finalmente dal vivo quel padre che sua madre gli ha mostrato qualche volta in fotografia. Julius non riconosce Alexandra, anche se la madre gli ha mandato le sue foto una o due volte l'anno, e la indica come una delle migliori bambine della clinic. Il premio è un pallone autografato. Ogni bambino che ha partecipato porta sul petto una targhetta col nome e cognome; quando Julius si abbassa e legge “Alexandra Stevenson” capisce tutto. Non lo dà a vedere, però, e nella sua voce baritonale dice: “Piacere di conoscerti, Alexandra”. La prima reazione della bambina, è spiazzante. “Non voglio il tuo autografo” dice, butta via il pallone e se ne va.

Erving ha gli occhi lucidi mentre Turquoise raccoglie il pallone autografato e lo riporta ad Alexandra che lo porta a casa e quella sera lo chiude nell'angolo più buio e lontano dell'armadio insieme alle bambole che non le piacciono più. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Lontano da quel cuore che, come Samantha scoprirà solo vent'anni dopo, ha disegnato su quel pallone insieme ai nomi “Julius” e “Alexandra”.

Dal basket al tennis
Alexandra non è brava solo a basket. Ha imparato a giocare benissimo a tennis e Robert Landsdorp, ex coach di Tracy Austin, è convinto che possa diventare la nuova Margaret Court. Samantha parla anche con Peter Fischer, uno dei primi allenatori di Pete Sampras: deve intervistarlo per un articolo e gli chiede anche di dare un'occhiata a Alexandra, che ha 10 anni. Quando la vede servire a quasi 170 km/h dice a Samantha che Alexandra potrà diventare numero 1 del mondo. Fischer vuole allenarla e Julius compra per madre e figlia una Volvo station wagon bianca con cui viaggiano da La Jolla a Los Angeles tre volte la settimana.

A 12 anni, Alexandra si è già allenata con Bobby Riggs, Ellsworth Vines, Don Budge e Pete Sampras. E quando Richard Williams chiede a Fischer di seguire le figlie, Serena e Venus, il coach declina: “Ho già l'atleta migliore”.

L'inizio e la fine
Le domande su chi sia suo padre si fanno sempre più insistenti man mano che Alexandra cresce inizia a giocare tornei più importanti. Erving la definisce una “caccia alle streghe”, messa in un certo senso in moto da un articolo che Samantha ha scritto per World Tennis Magazine nel 1986: “Da cosa si vede un campione? È qualcosa che ha nel sangue. Un atleta di livello mondiale nasce con l'abilità di essere grande. E Alexandra ce l'ha questa abilità. Una madre lo sa”.

La genetica, insomma, non mente. Ma Samantha non è una campionessa: e allora questi geni da dove derivano? Le domande dirette continuano a non avere risposta. Così Charles Bricker nel marzo 1998 fa una telefonata all'anagrafe di San Diego. È lui, che lavora per il Sun-Sentinel, il primo che legge quel nome, Julius Erving, alla voce “padre” sul certificato di nascita di Alexandra Stevenson.

Il giornale per un po' non divulga la notizia: Erving è ormai un'ex stella e Alexandra non è ancora abbastanza affermata. E poi Bricker vuole prima parlare con mamma e figlia. Le avvicina di nuovo all'Orange Bowl nel dicembre 1998. “So chi è tuo padre” dice loro. Samantha lo allontana bruscamente, ma ormai il segreto non è più segreto. È solo questione di tempo perché lo scoprano tutti. Nel 1999 Alexandra salta il Roland Garros perché deve diplomarsi. Interpreta Patty Simcox, la cheerleader di Grease, nella recita di fine anno a scuola, e a giugno vola a Wimbledon. Si qualifica facilmente. Col suo servizio che sfiora i 200 orari e un fluido rovescio a una mano, il suo gioco è perfetto per l'erba. Il pubblico la adora e accoglie con una standing ovation la vittoria sulla testa di serie numero 11, Julie Halard-Decugis, al terzo turno.

Agli ottavi elimina in tre set Lisa Raymond e nei quarti parte da favorita contro Jelena Dokic. Erving, che nel frattempo è diventato vicepresidente degli Orlando Magic, riceve una telefonata da Bricker cui non conferma di essere il padre di Alexandra e aggiunge che, comunque, non sono affari suoi. Bricker rende pubblica la storia che la sera prima della sfida con Jelena Dokic viene rilanciata dall'Associated Press.

Alexandra vince il suo quarto di finale, ritardato per la pioggia, e si arrende 61 61 a Lindsay Davenport in semifinale. Anche Erving si arrende e finalmente confessa di essere davvero il padre di Alexandra, che è a Wimbledon anche senza il coach, e indubbia figura paterna, Pete Fischer, condannato a sei anni di prigione per molestie su minori nel 1998.

Dopo l'improvvisa celebrità, dopo quella straordinaria cavalcata a Wimbledon, Alexandra perde 20 volte al primo turno nei primi 32 tornei che gioca. Mentre il padre vive un altro dramma (uno dei figli, Cory, con un passato di abuso di droghe e un periodo in una clinica di disintossicazione, muore in un incidente stradale), Alexandra inizia una rinascita: alla fine del 2002 è salita al numero 18 della classifica mondiale. Ma non sta bene.

A gennaio 2003 sente come una scossa alla cuffia dei rotatori. Continua a giocare però e a marzo il dolore si è esteso fino al polso. La diagnosi è una lesione al labbro glenoideo destro (un anello fibro-cartilagineo nell'articolazione della spalla). Viene operata nel settembre 2004 dal dottor James Andrews, che ha curato tantissimi quarterback della NFL, particolarmente soggetti a infortuni alla spalla. Ma il tennis non è il football americano e Alexandra non torna più ai livelli del 2002. Accumula 42 tra ritiri e walkover fino al 2010, frequenta quasi solo i tornei satellite, il circuito minore ma riesce finalmente a ricongiungersi con il padre.

Un padre che fa fatica a chiamare “papà” ma che sta comunque imparando a conoscere. Da lui ha imparato una lezione importante. “Nel mondo dello sport non conta come entri, è importante come esci”.

Alessandro Mastroluca

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