03/07/2013 02:26 CEST - WIMBLEDON 2013

Mc vs Mc, e lo show è meglio del tennis

TENNIS - Sul campo 1 si è giocato il doppio senior tra i McEnroe e McNamara-McNamee. Il tennis in pratica non c'è, ma in questi casi lo spettacolo è ancora più importante dello sport. Da Wimbledon, Nuziale

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Peter McNamara, Paul McNamee, Patrick e John McEnroe (foto di Art Seitz)
Peter McNamara, Paul McNamee, Patrick e John McEnroe (foto di Art Seitz)

“C’mon, old boy!”

Peter McNamara, tra l’ilarità generale, si ferma e guarda in direzione dell’urlo. L’australiano, poverino, ha già i suoi bei grattacapi nel non far scivolare nel ridicolo un match che lo vede sotto 1-6 1-3. D’altra parte trascinarsi Paul McNee, compagno di mille vittorie, e mascherare il fatto che sia ora più simile a un barile umano che a un ex giocatore, non è impresa facile. Soprattutto se gli avversari, a rendere il Court 1 l’apoteosi del singhiozzo scozzese, si chiamano John e Patrick McEnroe. Che sono in forma, formissima, soprattutto il genio monello, dalla silhouette ancora atleticamente invidiabile.

McNamara accetta di buon grado la provocazione e risponde scherzosamente. Questo non lo porterà a difendere il servizio. Nel game successivo tocca al McEnroe “vero” servire, con il suo inconfondibile cullarsi laterale; una prima di servizio è chiaramente out, ma qualcuno tra gli spalti grida l’urlo di battaglia, “you cannot be serious!”. Tutti ridono, vogliono il Falco e Mac, sapendo ora di essere sotto un telone a saziare spettatori paganti, li accontenta. Ovviamente la palla è fuori e il tre volte campione dei Championships recita una lotta contro quell’aggeggio tecnologico che se fosse esistito ai suoi tempi, sarebbe stato il suo acerrimo nemico.

Mancano pochi game alla fine del match (finirà infatti 61 62) e gli spettatori, diversi dei quali probabilmente non hanno mai visto i quattro atleti in attività, si prendono sempre più libertà nell’interagire con i Mc, finendo a un certo punto nello stucchevole, a cercare incitamenti sempre più improbabili nella speranza di avere il proprio secondo di gloria (lapalissiano l’incomprensibile “c’mon, Monfils!”, soffocato da pochissime risate che sono più sembrate di compassione che altro).

Il tennis non c’è, se non nella scioltezza del gioco di volo di J. McEnroe e in una demivolee, nell’ultimo gioco, che sembra del McEnroe “autentico”, tanto è perfetta, ma che invece è di Patrick. Ma il pubblico non è lì per il tennis, bensì per i nomi, per l’evento, per l’atmosfera.

Se è vero che il risultato, l’indirizzarsi verso l’esito della partita, è l’essenza stessa del tennis e dello sport tutto, è innegabile che l’esibizione riporti l’evento sportivo alla sua forma primigenia, quella di spettacolo, di creatura che nasce solo a condizione che vi sia qualcuno a vederla. Lo sport si nutre di sguardi e gli ex gloriosi del campo 1 lo sanno perfettamente.

L’unico a non credere pienamente in questo è sorprendentemente McEnroe, che non riesce mai davvero a scindere l’evento dalla partita, come ha confermato lui stesso nella propria autobiografia. D’altra parte trovare la linea di demarcazione tra il McEnroe giocatore e attore è sempre stato oggetto di studio e d’incomprensione, da parte dello stesso McEnroe in primis. Che tra un siparietto e l'altro sbuffa, s'impegna, cerca di dare autenticità a un prodotto contraffatto.

Ma buona parte del pubblico non arriva a porsi certi dilemmi, probabilmente: esce dallo stadio sazio di risate e carte truccate, con un buon ricordo di cui si dimenticheranno presto.

Da Wimbledon, Riccardo Nuziale

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