07/07/2013 11:54 CEST - Wimbledon

Bencic principessa e il futuro è ancora grigio

TENNIS - La svizzera Belinda Bencic ha vinto il titolo junior superando Taylor Townsend 46 61 64. E' stato confronto di stili e ancora una volta ha vinto il tennis robotico odierno. Da Wimbledon, Riccardo Nuziale

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Wimbledon - Belinda Bencic e Taylor Townsend
Wimbledon - Belinda Bencic e Taylor Townsend

Nell’attesa degli appuntamenti “senior”, ho iniziato le ultime due mattine tentando di rendere meno imbarazzante la mia abissale ignoranza in materia junior, togliendomi la curiosità di assistere dal vivo a match di Belinda Bencic, svizzera n.1 juniores che in questo 2013 non ha ancora conosciuto la sconfitta, campionessa già di Roland Garros, Bonfiglio, Santa Croce e Roehampton.

La vittima della prima partita visionata è stata Jamie Loeb, sposotta americana di cui ricorderò solo gli occhialini a la Edgard Davids e una fastidiosa inclinazione a urlare auto incitamenti striduli, per i pochi punti che è riuscita a racimolare, mentre la seconda avversaria, la sempre statunitense Louisa Chirico, poteva quantomeno vantare un ottimo rovescio lungolinea, sebbene abbia alla fine fatto una figura ancora peggiore. Per la cronaca i match sono finiti con i punteggi di 62 63 e 60 63, ma la cronaca non saprà trovare spazio tra queste righe.

Infatti nell’assistere al monotono rincorrersi dei game non ho potuto fare a meno di chiedermi se e quando è iniziata la tendenza generale, nel circuito femminile, di trovare campionesse così simili (così indistinguibili) tra loro. Sembianze da modelle, gioco e testa granitici, totalizzanti.

La Bencic, infatti, che nella disponibilità a fotografie e autografi di fine partita palesa l’innata gentilezza dei 16 anni, incarna alla perfezione la tennista tipo odierna: nel dritto l’arma più incisiva, nel rovescio (rigorosamente bimane) il colpo più affidabile, la svizzerina è già ora una tennista mentalmente solidissima, inscalfibile, senza punti deboli. E le copertine saranno presto sue, data l'indubbia per quanto ancora acerba avvenenza.

Ma il problema rimane sempre il solito: che tali giocatrici (e giocatori) sono fedeli esponenti di un tennis che conosce una realtà monodimensionale, una sola chiave di lettura. Un tennis implacabile, ineccepibile, talmente cannibale che non ammette varianti. Infatti i match che l'hanno portata alla finale hanno visto la Bencic perfetta dittatrice di scambi contro avversarie che, come la n.1, conoscono un solo tipo di tennis, e lo sanno giocare infinitamente peggio.

Ieri però in sala stampa, mentre guardavo con l’occhio sinistro lo streaming di Djokovic-Del Potro, con il destro non ho potuto che ammirare una ragazza nativa di Chicago, classe 1996, dalle sembianze di Mami di Via col Vento e messaggera evoluzionista come il Monolite Nero di 2001 Odissea nello Spazio, a ricordarci che il tennis può ancora essere ben di più di tiepida perfezione atletica.

Taylor Townsend, campionessa 2012 degli Australian Open e n.1 junior 2012, il fisico da atleta non l’ha. Anzi, i maligni potrebbero spingerci in commenti ben più pepati, perché obiettivamente la fanciulla ha un fisico improponibile per il tennis professionistico, riempito da diversi chili in eccesso.

Eppure la qualità di gioco che questa 17enne propone è quanto di più entusiasmante vi sia, di questi tempi copiacarbonizzati: probabilmente cosciente di dover attuare una tattica che non metta a nudo gli spostamenti laterali e non la costringa al continuo braccio di ferro da fondo, la Townsend gioca un tennis fatto di tagli, smorzate, chip and charge, discese a rete in controtempo. Certo la base è puramente made in USA, con il servizio e il dritto mancino principali armi del repertorio, e la costante del suo gioco rimane comunque da fondo, ma sono rimasto sorpreso nel vedere questa ragazza pensare, ancor prima che giocare, un tennis non più attuato dalla maggior parte di giocatori e giocatrici.

Mi ha sorpreso in particolare come sia immune dal principale virus del tennis contemporaneo, l’incapacità di verticalizzazione: è infatti prassi suicida dei/lle più, anche dei grandissimi e delle grandissime, insistere nelle accelerazioni da fondo a oltranza, anziché chiudere lo specchio del campo per giocare volee spesso comodissime che risulterebbero redditizie e prevenzione di gratuiti.

Ieri ha battuto, al termine di una maratona (26 76 75), la tds n.2, la croata Ana Konjuh, altra graziosa cerbiattina pinupallettara. E nella speranza – lo confesso candidamente: d’altra parte la parzialità deve sempre far parte di questo mondo, l’importante è non perdere la lucidità per abbracciare il fanatismo – speranza di una sua vittoria, oggi mi affidavo a una statistica curiosa: se infatti gli h2h dicevano 2-0 Bencic, con vittorie recenti al Roland Garros (9-7 al terzo) e a Roehampton, la Townsend lo scorso anno si laureò campionessa dei Championships di doppio, in coppia con un’altra dea in fieri, Eugenie Bouchard, battendo in finale proprio la Bencic e la Konjuh, le sue due avversarie di questo weekend.

Il match odierno l’illusione che un po’ di giustizia poetica emergesse effettivamente l’ha data, con la Townshend scappata 4-0 a suon di vincenti, smorzate e discese a rete.

Ma nel lunghissimo quinto gioco, arrivato dopo un tentativo fallito di 5-0, ho annusato la vittoria della Bencic: l’americana ha salvato la bellezza di otto palle break e ha chiuso alla quinta palla game, ma in quel gioco è scattato qualcosa, si è intuito che l’atletismo della svizzerina stava scaldando il motore; fallita la prima opportunità di chiudere con il servizio, sul 5-4 la Townsend, sfumato lo 0-40 del triplo set point nel game precedente, ha manifestato evidente nervosismo e disagio, forse consapevole che il match le era già sfuggito di mano. Le accelerazioni erano già più scentrate, le scelte tattiche nelle variazioni più sfocate. Un annebbiamento leggero, ma costante e inesorabile, che sarebbe pian piano aumentato nel corso del match.

Vinto a fatica il primo, infatti, la Townsend ha subito avuto tre palle dell’immediato break, ma la solidità robotica della Bencic ha retto l’urto e il passante di dritto incrociato su una difficile volee bassa dell’americana che le ha dato il break del 2-0 ha sorriso a quelle nefaste intuizioni. Il secondo set è stato più equilibrato di quanto il risultato possa lasciar intuire, visto che la monolitica Taylor, oltre alla tripla chance iniziale, ha avuto nel quinto gioco il 15-40 per rientrare nel parziale (soprattutto nella seconda palla break, dove ha inebetito l’avversaria a forza di variazioni, affossando però in rete il dritto incrociato che sarebbe stato probabilmente definitivo), ma ha fatto ben intendere che la Bencic aveva più margine e riserva energetica della Townsend, che sulle gambe aveva la battaglia del giorno prima con la Konjuh.

L’americana ha lottato fino alla fine, con una cattiveria agonistica già pro (soprattutto nella responsabilità che si assume nei momenti critici, non lasciando che sia l’avversaria a prendere l’iniziativa: i dritti vincenti sulle palle break, sia pro che contro, oggi sono stati numerosissimi), e nella stop volley di controbalzo da metà campo con cui ha rifiutato la palla break, nel primo gioco del terzo set, ho visto un consolante messaggio divino, tanto che il break nel quarto game, per il provvisorio 3-1, quasi mi ha fatto cullare il pensiero del trionfo della poesia.
 
Ovviamente nulla di tutto ciò: la Bencic, trovato l’immediato controbreak da 40-15 con la sua fastidiosa solidità incolore, ha piazzato a zero nel nono gioco l’allungo definitivo, con una Townsend sempre meno incisiva al servizio e più confusa nell’attuare le variazioni tattiche.

La svizzerina, che in conferenza stampa con il suo emozionatissimo e bellissimo sorriso da latte ha risposto con il tepore che le domande cretine dei giornalisti meritavano (“hai avuto modo di vedere la Hingis?” “Hai pensato che Federer sarebbe venuto qui a vederti?”), ha vinto la 35a partita di fila. Meglio di Serena, ha suggerito qualcuno su Twitter. Di certo è la sesta junior, la prima da Amelie Mauresmo, a vincere Roland Garros e Wimbledon nello stesso anno. Applausi, ne sentiremo probabilmente parlare: i noiosissimi mezzi li ha tutti.

Sono rientrato così sconsolato in sala stampa, tra un pensiero al futuro cenerino e perfetto del tennis pinupallettaro, un occhio alla sorridente Marion Bartoli sorreggere il piatto più pesante del mondo e una maledizione affettuosa a Radwanska e Kvitova, che avrebbero dovuto salvare questo mio sabato pomeriggio.

Da Wimbledon, Riccardo Nuziale

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