04/09/2013 23:40 CEST - Wimbledon

Murray nella storia Dopo 77 anni, l'attesa è finita

TENNIS - Dopo 77 anni, un britannico torna a vincere a Wimbledon. Andy Murray pone fine al digiuno iniziato con Fred Perry nel 1936. Lezione a Djokovic, sconfitto 64 75 64. Murray si arrampica per abbracciare Lendl e mamma Judy. "Non ricordo niente dell'ultimo punto" dice Da Wimbledon, Riccardo Nuziale

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Andy Murray con il trofeo di Wimbledon 2013
Andy Murray con il trofeo di Wimbledon 2013
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Murray b Djokovic 64 75 64
La festa è iniziata troppo presto.

Sul 40-0 per una volta il pubblico del Centre Court si fa molesto, stupido. Addirittura nemico. Eccede nel voler diventare protagonista dell’evento, rumoreggia durante i punti, decreta la fine del match su un presunto ace, in realtà fuori di una spanna, regalandosi un divertimento autoreferenziale ma finendo per disturbare i due contendenti.

Ed Andy Murray s’innervosisce. I primi due Championships point li annulla bene Novak Djokovic, il terzo lo butta lui. Il sogno così ritorna essere anticamera di incubo: palla break. Annullata con il servizio. Ma sulla smorzata si addormenta, si dimentica di coprire la diagonale più ovvia, quella incrociata, trovata puntualmente dalle gambe di gomma di Djokovic. E sul nastro degno di quattro dee bendate che addormenta la pallina appena aldilà della rete, sul campo dello scozzese, i pensieri del serbo eroe di miracolosi recuperi con match point si fanno vivissimi.

Ma Murray non molla nessun punto, non perde la concentrazione, non si spaventa: i tempi dello scozzese bellissimo perdente sono finiti. E c’è un appuntamento accarezzato questa volta davvero troppo da vicino per poter pensare di ritirarsi. Tre palle break, tre match point. Arriva il quarto, quello “giusto”, a liberare una nazione e un uomo: sul rovescio in rete il mondo si ferma.

Glielo chiederanno per tutta la vita: non saprà mai dare una risposta fedele. Certo parlerà, l’ha già fatto nella cerimonia, in sala stampa. Lo farà ogni volta che si tornerà sull’argomento, soprattutto quando sarà un giocatore ritirato, una statua vivente del tennis britannico. Di descrivere, descrivere, descrivere. Ma Andy Murray non potrà mai dire cos’ha provato in quell’esatto istante, perché semplicemente non lo sa. Ci vorrà un cammino che durerà l’intera vita per arrivarlo a capire, senza riuscirci davvero.

Murray ha vinto una partita che un paio di anni fa non avrebbe mai vinto: nervosa, balbettante, dalla qualità altalenante. E proprio in una partita così dispendiosa da un punto di vista mentale, dove i passaggi a vuoto vanno subito cancellati, è crollata la solidità di Djokovic, autore di una partita alquanto mediocre (che va oltre i 40 gratuiti), sempre incapace di incidere nei punti cruciali.

Murray ha vinto perché è un giocatore da erba superiore a Djokovic, che anche oggi è scivolato continuamente in cerca di appoggi che sul cemento avrebbe trovato. Ha vinto perché è un giocatore in piena maturità, senza più pressioni interne, completo tecnicamente. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che Nole fosse stanco per la partita con Del Potro (lo stesso Del Potro che un anno fa ai Giochi cosse per bene Federer in semifinale), ma personalmente credo che abbia semplicemente sentito la pressione del campo e giocato molto peggio di Murray, soprattutto sulla diagonale del dritto, che nelle loro partite così a specchio spesso decide le sorti del risultato finale.

Il match è iniziato subito cantando “God save the Queen”: Con la complicità di Djokovic Murray è subito salito 0-40, ma il serbo non ha lasciato effettive possibilità di break, amministrando con il servizio. La fuga è comunque arrivata al termine di un lunghissimo e piuttosto nervoso (malgiocato) terzo game, con Murray incapace di convertire le prime tre palle break ma, annullata una palla game, ha piazzato il comodo rovescio lungolinea in contropiede per il 2-1 e servizio.

Ci ha però messo molto meno Djokovic ad attuare il controbreak, costringendo per tre volte all’errore Murray per lo 0-40 e, fallita la prima occasione, piegando il rovescio incrociato scozzese.

Ma Djokovic, forse scoraggiato da un primo 15 perso per un’ingenuità a rete, ha perso nuovamente il servizio nel settimo gioco e nonostante nuovi tentativi di aggancio nel gioco successivo, perfettamente annullati da Murray, ha potuto solo rendere meno severo il parziale, recuperando sul 3-5 da 0-30.

Il secondo set, dopo un 15-30 a favore dello scozzese, ha visto la reazione del campione 2011: nel quarto gioco ha fallito il rovescio lungolinea, concedendo il 15-40 e, con il dritto a sventaglio in rete, il 3-1 Djokovic.

Sul 4-2 il nastro ha reso mortifero un passante di Murray, ma lo scozzese ha giocato male le due palle del 15-40; si è comunque fatto perdonare con una risposta vincente ad annullare la palla del 2-5 e a trovare una terza palla break giocando un bellissimo back lungolinea a cui ha fatto seguire un dritto fotonico incrociato. Djokovic, stordito, ha concesso il controbreak con il doppio fallo.

Sul 5-5 Murray ha trovato un rovescio lungolinea di tale efficacia da farlo avanzare per il comodo schiaffo al volo del 15-30, ma Djokovic ha protestato per un colpo precedente, per lui troppo lungo, trovando di tutta risposta il pollice verso del pubblico. Sul dritto in rete del serbo l’ovvia esplosione del Centrale. Sull’ace a chiudere a zero un comodissimo turno di servizio, l’estasi.

I fantasmi accumulati in 77 anni sembravano svaniti: nel primo gioco del terzo Murray si è procurato una palla break con un back corto a chiamare a rete Djokovic e sulla palla corta di quest’ultimo ha vinto il corpo a corpo, mentre sul 30-40 un impressionante pallonetto difensivo ha rimesso in discussione il punto, fino all’errore di Nole.

Un doppio fallo e una volee filosofica (troppo pensata) hanno fatto precipitare il serbo sullo 0-30, sentore di uno 0-3 che sarebbe stato probabilmente definitivo; ma la reazione è stata da n.1, con quattro punti vincenti.

Così nel quarto gioco Murray si è irrigidito: due errori per lo 0-30, un capolavoro di Djokovic per il 30-40 (braccio di ferro infinito con smorzata e passante in spaccata conclusivi), ma sulla palla break lo scozzese ha fallito una smorzata assurdamente facile, con il n.1 impotente dopo aver recuperato la palla corta.

Palla corta che è stata usata da Djokovic spessissimo in questo frangente, quasi sempre con eccelsi risultati; ma soprattutto Perry ha ripreso a prendere a bastonate le spalle di Murray, autore di tre gratuiti per un nuovo break, a 15: 2-4 da 2-0.

La stranezza di questo parziale è proseguita nel settimo gioco, con Djokovic nuovamente, incomprensibilmente, incapace di trovare profondità e un Murray ritrovatosi padrone dell’inerzia degli scambi: Nole ha annullato con servizio e dritto la prima palla break, ma sulla seconda il dritto lungolinea del n.2 mondiale ha sfondato.

Sui due chirurgici (tutt’altro che facili) passanti di Muzza, per il 15-30 e 40, i decibel hanno affossato Perry, 77 anni di attesa, la storia, gli imbarazzi. Per far spazio al tappeto rosso.

Per quell’ultimo game.

Una nota finale: la perfidia del pubblico del Centrale è stata geniale, nella sua cattiveria molto poco sportiva, ma tutto sommato molto british. Applauditi tiepidamente i suoi punti durante il match (com’era prevedibile e ovvio che fosse), ha accolto con un boato Novak Djokovic durante la cerimonia. Come dire “ora che hai perso, ti vogliamo bene”.

Il cuore di Murray sorride, quello di Lendl pure: finalmente pure lui, in qualche modo, ha vinto quella coppa.

Fred Perry è morto, evviva Fred Perry.

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Le dichiarazioni a caldo di Andy Murray ai microfoni della ESPN:

"Gli ultimi punti sono stati i più difficili che ho dovuto giocare nella mia vita. L’ultimo game mi ha davvero provato".
"Dalla sconfitta dello scorso anno ho imparato molto, ho lavorato duramente, ho delle persone straordinarie intorno a me che mi hanno aiutato a non abbattermi dopo le sconfitte. Il mio team mi ha visto molto arrabbiato dopo alcune di quelle sconfitte, hanno lavorato molto con me. Questa vittoria significa molto anche per tutti loro".
"La scorsa notte ho sognato che stavo giocando Radek Stepanek o Denis Kudla nella finale – chiaramente la mia testa era molto confusa, ho dovuto sopportare molto stress in questi giorni. E’ stata una sensazione davvero strana svegliarmi questa mattina".

Da Wimbledon, Riccardo Nuziale

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